Il linguaggio è uno degli strumenti più potenti dell’umanità. Ogni parola può evocare immagini, emozioni e concetti profondi, arricchendo la comunicazione con sfumature e significati nascosti. Tra le figure retoriche più affascinanti troviamo la metonimia e la sineddoche, spesso confuse tra loro ma con differenze sostanziali. La loro etimologia ci aiuta a comprenderne meglio il significato e il loro funzionamento nella lingua.
Il termine metonimia deriva dal greco metōnymía, composto da meta- (oltre, cambio) e onyma (nome). Indica dunque un cambiamento di nome, ovvero la sostituzione di una parola con un’altra che ha con essa un legame diretto di contiguità logica o materiale. Un esempio classico è leggere Dante, dove l’autore viene usato per indicare le sue opere, oppure bere un bicchiere, in cui il contenitore sostituisce il contenuto. Altri esempi di metonimia: ascoltare Chopin, intendendo la sua musica, oppure ho comprato un Picasso, riferendosi a un quadro del celebre pittore. In ambito giornalistico, è comune dire Il Cremlino ha rilasciato una dichiarazione, dove si usa il palazzo governativo per indicare i “leader” russi che vi lavorano. Ancora, si può dire ho letto Shakespeare, invece di specificare l’opera, oppure la penna è più potente della spada, dove penna rappresenta la scrittura e spada il combattimento.
La sineddoche ha invece un’origine differente: proviene dal greco synekdokhḗ, formato da syn- (insieme) e ekdokhḗ (comprendere, accogliere). Questo suggerisce il suo principio fondamentale: una parte può sostituire il tutto, o viceversa. Dire vedere molte vele in mare per riferirsi alle barche è un chiaro esempio di sineddoche, così come l’Italia ha vinto il mondiale, dove il Paese rappresenta la squadra nazionale. Altri esempi: ha cento primavere sulle spalle, per indicare cent’anni di età, oppure chiedere la mano di qualcuno, in cui la parte del corpo rappresenta la persona intera. In ambito economico, dire il ferro è in rialzo oggi, riferendosi all’industria siderurgica, è un altro caso di sineddoche. Si usa anche dire ho bisogno di un tetto, per indicare una casa, oppure gli uomini in divisa hanno fermato il sospetto, dove divisa rappresenta le forze dell’ordine.
Mentre la metonimia sfrutta un legame concettuale tra due elementi, la sineddoche si basa su una relazione di quantità o inclusione. Entrambe, però, contribuiscono ad arricchire la lingua, rendendo il discorso più evocativo e suggestivo. Da secoli vengono impiegate nella letteratura, nella retorica e persino nella comunicazione quotidiana, dimostrando la straordinaria capacità del linguaggio di trasformare e trasmettere significati con eleganza e incisività.
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“Trafugnare”: il verbo che mancava
La lingua italiana si evolve costantemente, accogliendo parole che nascono dall’uso quotidiano. "Trafugnare" potrebbe essere una di queste: un termine perfetto per descrivere il tentativo di compiere un’azione in modo furtivo, ma con un tocco di goffaggine che finisce con il tradire le intenzioni.
Quante volte qualcuno ha cercato di trafugnare un biscotto dalla dispensa senza farsi notare, solo per far cadere l’intera scatola e attirare l’attenzione di tutti? Oppure ha provato a trafugnare fuori da una riunione con discrezione, salvo poi urtare una sedia e generare un rumore imbarazzante? Anche lo studente che tenta di trafugnare il cellulare sotto il banco per controllare un messaggio, ma viene scoperto immediatamente dall’insegnante, incarna perfettamente il senso del verbo.
Il termine nasce da una fusione fra "trafugare" e un suono che suggerisce un'azione maldestra. Trafugare indica il sottrarre qualcosa furtivamente, con discrezione e astuzia. Trafugnare, invece, introduce un elemento di goffaggine: è il tentativo di agire con furbizia, ma senza successo, perché qualcosa tradisce l'intento.
La desinenza "-gnare" richiama verbi italiani che esprimono movimento o azione come, per esempio, sguinzagliare (liberare improvvisamente). In questo caso, la desinenza contribuisce a rendere il termine intuitivo e a richiamare un'azione poco fluida.
Possiamo dire, quindi, che "trafugnare" si colloca perfettamente tra un tentativo di astuzia e un'esecuzione imprecisa, facendo emergere il contrasto tra furbizia e maldestrezza. Forse un giorno sentiremo dire: "Non trafugnare, tanto ti vedo!, e sapremo che il verbo ha trovato il suo posto nella lingua di Dante.

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