lunedì 30 gennaio 2012
Oboe: plurale invariato?
Buona parte dei vocabolari, tra i quali il “ Sabatini Coletti” e il “Gabrielli”, entrambi in rete, attestano lo strumento musicale “oboe” come sostantivo invariabile.
(DISC): oboe[ò-bo-e] s.m. inv.• Strumento musicale a fiato ad ancia doppia, formato da un tubo cilindrico di legno forato munito di chiavi e imboccatura.
(Gabrielli): oboe
[ò-bo-e]
ant. oboè
s.m. inv.
MUS Strumento a fiato, di legno, ad ancia doppia, simile al clarinetto
‖ estens. Suonatore di oboe: un o. della Scala.
A nostro modo di vedere, invece, il sostantivo cambia regolarmente nel plurale: l’òboe, gli òboi. Siamo confortati, in ciò, dal DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, di cui diamo il collegamento in calce. L’invariabilità, probabilmente, si può spiegare con il fatto che anticamente il vocabolo era scritto con l’accento sulla “e” (oboè) e tutte le parole tronche, come si sa, nel plurale restano invariate: la virtú, le virtú. Chi predilige l’invariabilità del termine adoperi, quindi, il vocabolo “antico”: l’oboè, gli oboè.
http://www.dizionario.rai.it/poplemma.aspx?lid=32009&r=3476
domenica 29 gennaio 2012
Lingua italiana: cinque "istantanee"
Cinque "istantanee" della lingua italiana.
Si clicchi su:
http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/lingua/mainSpeciale.html
sabato 28 gennaio 2012
Lo stadio e la stadia
Chissà se gli appassionati di calcio che ogni domenica affollano il campo sportivo dove gioca la loro squadra del cuore sanno perché si chiama “stadio”. Vogliamo vedere, anche, se esiste una parentela tra lo stadio, vale a dire il campo di gioco, e lo stadio inteso come fase terminale di una malattia? Lo stadio, dunque, alla lettera significa “misura”, provenendo dal greco “stadion” (misura, appunto), e in origine era un'estensione determinata di 600 piedi greci o 625 romani, vale dire 125 passi geometrici. Lo stadio, insomma, è una misura greca di lunghezza corrispondente a circa 178 metri. Oggi, per stadio si intende, comunemente, un “campo per lo svolgimento di gare sportive, attrezzato in modo da poter ospitare un certo numero di spettatori”. Il nome riprende quello originario greco in quanto in Olimpia il “campo” in cui si svolgevano le gare atletiche era della lunghezza di uno stadio, per l'appunto. Per quanto riguarda lo stadio inteso come “periodo” di una malattia, la parentela con il campo di gioco si giustifica con l'uso figurato della parola stessa. Lo stadio, come abbiamo visto, è una misura, e in senso figurato “misura”, appunto, il periodo di una determinata malattia: malato all'ultimo stadio, cioè alla fine. Non possiamo concludere questa “chiacchierata” senza accennare allo stadio, adoperato in senso estensivo, per indicare “ciascuno dei segmenti propulsivi di un missile, che si staccano da questo allorché il propellente è esaurito”. Per finire. Sempre da stadio abbiamo il femminile “stadia”, cioè l' “asta graduata” adoperata per rilevamenti topografici.
http://www.etimo.it/?term=stadio&find=Cerca
venerdì 27 gennaio 2012
Toponimo: quale genere?
Gentile dott. Raso
spero che lei possa togliermi questo dubbio: in tutte le grammatiche si dice
che i nomi di città sono di genere femminile, però esistono molti toponimi con
l'aggettivo maschile (es. Ariano Irpino, Scanzano Ionico, Misano Adriatico
etc).
Queste città sono quindi da considerare di genere maschile o femminile?
La ringrazio anticipatamente
Luca
(Località omessa)
--------------
Cortese Luca, la questione è molto complessa, spero di riuscire a essere il piú chiaro possibile.
I toponimi sono di genere femminile perché si sottintende "città". Milano e Torino, per esempio, sono femminili perché, appunto si sottintende "città": la (città di) Milano operosa; la (città di) Torino sabauda. Quanto ai toponimi con l'aggettivo maschile (Ariano Irpino) dipende dal fatto che l'aggettivo si riferisce, generalmente, al capostipite che ha fondato la località cui ha dato il nome. La località, comunque, resta sempre di genere femminile perché si sottintende "città" o "cittadina": la bella (cittadina di) Misano Adriatico.
Una piccola annotazione personale: quando la città o cittadina ha chiaramente morfologia maschile la località va declinata al maschile.
spero che lei possa togliermi questo dubbio: in tutte le grammatiche si dice
che i nomi di città sono di genere femminile, però esistono molti toponimi con
l'aggettivo maschile (es. Ariano Irpino, Scanzano Ionico, Misano Adriatico
etc).
Queste città sono quindi da considerare di genere maschile o femminile?
La ringrazio anticipatamente
Luca
(Località omessa)
--------------
Cortese Luca, la questione è molto complessa, spero di riuscire a essere il piú chiaro possibile.
I toponimi sono di genere femminile perché si sottintende "città". Milano e Torino, per esempio, sono femminili perché, appunto si sottintende "città": la (città di) Milano operosa; la (città di) Torino sabauda. Quanto ai toponimi con l'aggettivo maschile (Ariano Irpino) dipende dal fatto che l'aggettivo si riferisce, generalmente, al capostipite che ha fondato la località cui ha dato il nome. La località, comunque, resta sempre di genere femminile perché si sottintende "città" o "cittadina": la bella (cittadina di) Misano Adriatico.
Una piccola annotazione personale: quando la città o cittadina ha chiaramente morfologia maschile la località va declinata al maschile.
giovedì 26 gennaio 2012
La febbre
Gentile dott. Raso,
sono di nuovo a disturbarla per un altro quesito. Qualche giorno fa tutti i miei familiari sono stati “aggrediti” dal male di stagione: l’influenza. Mi piacerebbe sapere che cosa è questa influenza, naturalmente sotto il profilo meramente linguistico. Grazie, come sempre, per la sua non comune disponibilità.
Cordialmente
Ludovico L.
Arezzo
--------------
Cortese Ludovico, può soddisfare la sua curiosità linguistica leggendo un mio vecchio articolo cliccando su:
http://faustoraso.ilcannocchiale.it/2008/01/29/epidemia_influenzale.html
* * *
Mucchero
Forse pochi sanno che l’acqua profumata per infusione di rose e viole si chiama “mucchero”. Il termine, infatti – se non cadiamo in errore – non è attestato nei comuni vocabolari. Lo riporta solo il dizionario etimologico di Ottorino Pianigiani, di cui diamo il collegamento in calce.
http://www.etimo.it/?term=mucchero&find=Cerca
martedì 24 gennaio 2012
«Gli» per «loro»?
Alcuni amici blogghisti desiderano sapere se è corretto l’uso di “gli” per “loro”. È corretto. Diamo la “parola” al settore consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca: «… Per riassumere, l’uso di gli in luogo di loro, a loro, a essi e a esse è da considerare senz’altro corretto (Ora vado dai tuoi amici e gli dico che la devono smettere di fare chiasso), tranne che, forse, nel caso di registri altamente formali (Il parroco espresse loro le sue più sentite condoglianze). L’utilizzo, invece, di gli per le, è sentito più scorretto dell’altro perché ha subito e continua tutt’ora a subire una maggiore censura scolastica; quindi se ne tende a sconsigliare, nella maggior parte dei contesti, l’impiego». Meno corretto è, invece, l’uso dell’apostrofo in “tuttora”, come scritto dall’articolista.
Lo dice proprio la... Crusca:
Lo dice proprio la... Crusca:
http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=4026&ctg_id=93
sabato 21 gennaio 2012
L'icona (e i suoi plurali)
Leggiamo dal “Treccani” in rete: «icòna s. f. [dal russo ikona, e questo dal gr. biz. εἰκόνα, gr. class. εἰκών -όνος «immagine»]. –
1. Immagine sacra (rappresentante il Cristo, la Vergine, uno o più santi) dipinta su tavoletta di legno o lastra di metallo, spesso decorata d’oro, argento e pietre preziose, tipica dell’arte bizantina e, in seguito, di quella russa e balcanica.
2. letter. Immagine sacra in genere, dipinta o scolpita; in questo sign. è usata anche la forma icòne (ripresa direttamente dal greco class., così come i varî composti con icono-).
3. In semiologia, secondo la terminologia di Ch. S. Peirce (1839-1914), uno dei tre tipi fondamentali di segni (gli altri due sono l’indice e il simbolo), distinti secondo il rapporto che li unisce alla realtà esteriore: è il segno che è con questa in rapporto di somiglianza, in quanto presenta almeno una delle qualità o ha la stessa configurazione dell’oggetto significato (per es., una macchia di sangue per il colore rosso, oppure un’onomatopea, un diagramma, la pianta di un edificio, e sim.).
4. In informatica, nei sistemi operativi dotati di interfaccia grafica, piccola immagine che rappresenta in modo simbolico un comando, una funzione o anche un documento o un programma operativo, che appare sullo schermo di un computer (spesso con le caratteristiche di un pulsante) e che, quando venga selezionata dall’utente mediante un apposito strumento (come un mouse o una penna ottica), dà l’avvio alla funzione o al programma che simboleggia (per es., la figura di un cestino per la cartastraccia per il comando «elimina il documento»): cliccare sull’i. del programma; trascinare l’i. da una cartella all’altra.
5. Figura o personaggio emblematici di un’epoca, di un genere, di un ambiente: Marylin Monroe è l’icona della femminilità».
1. Immagine sacra (rappresentante il Cristo, la Vergine, uno o più santi) dipinta su tavoletta di legno o lastra di metallo, spesso decorata d’oro, argento e pietre preziose, tipica dell’arte bizantina e, in seguito, di quella russa e balcanica.
2. letter. Immagine sacra in genere, dipinta o scolpita; in questo sign. è usata anche la forma icòne (ripresa direttamente dal greco class., così come i varî composti con icono-).
3. In semiologia, secondo la terminologia di Ch. S. Peirce (1839-1914), uno dei tre tipi fondamentali di segni (gli altri due sono l’indice e il simbolo), distinti secondo il rapporto che li unisce alla realtà esteriore: è il segno che è con questa in rapporto di somiglianza, in quanto presenta almeno una delle qualità o ha la stessa configurazione dell’oggetto significato (per es., una macchia di sangue per il colore rosso, oppure un’onomatopea, un diagramma, la pianta di un edificio, e sim.).
4. In informatica, nei sistemi operativi dotati di interfaccia grafica, piccola immagine che rappresenta in modo simbolico un comando, una funzione o anche un documento o un programma operativo, che appare sullo schermo di un computer (spesso con le caratteristiche di un pulsante) e che, quando venga selezionata dall’utente mediante un apposito strumento (come un mouse o una penna ottica), dà l’avvio alla funzione o al programma che simboleggia (per es., la figura di un cestino per la cartastraccia per il comando «elimina il documento»): cliccare sull’i. del programma; trascinare l’i. da una cartella all’altra.
5. Figura o personaggio emblematici di un’epoca, di un genere, di un ambiente: Marylin Monroe è l’icona della femminilità».
Ci interessa, particolarmente, il punto 2. Accanto a icòna, dunque, esiste anche la variante “icòne” il cui plurale, naturalmente, è “iconi” (come tutti i plurali dei femminili in “-e”), non “le icona”, come ci è capitato di leggere in uno scritto di uno dei cosí detti giornalisti di grido. Ricapitolando: l’ icòna, le icòne; l’icòne, le icòni. È interessante anche notare che la pronuncia della “o” può essere tanto aperta (icòna) quanto chiusa (icóna). A questo riguardo stupisce il constatare che il Dop, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, fa confusione con le due pronunce. Ascoltate la dizione cliccando sul collegamento in calce.
* * *
Cortese dr Raso,
la tragedia della nave “Concordia” ha portato alla ribalta la figura del “sommozzatore”. Donde deriva il termine? Grazie.
Augusto T.
Olbia
------------
Gentile Augusto, le faccio “rispondere” dal "Garzanti" (Garzantilinguistica.it):
[som-moz-za-tó-re] Deriv. del napol. sommozzare 'tuffarsi', dal lat. volg. *subputea¯re 'sommergere, immergere', comp. di su°b 'sotto' e un deriv. di pute°us 'pozzo'.
giovedì 19 gennaio 2012
La «metania»
Gentile dott. Raso,
mi permetta di ringraziare, tramite il suo sito, il cortese Matteo Pepe, per le “aggiunte” alla sua risposta circa la “toparchia”. Aggiunte che – come scrive lo stesso signor Pepe – evidenziano una differenza minima. A lei, invece, e non voglio approfittare della sua cortese disponibilità, un altro quesito. Che cosa è la “metania”? Anche questo termine, se ho visto bene, non è attestato nei comuni vocabolari. Spero in lei. Grazie ancora.
Cordialmente
Ludovico L.
Arezzo
------------------
Cortese Ludovico, la metania è un’espressione di pentimento, un atto di prostrazione. Può vedere l’origine e il significato “completo” cliccando su questo collegamento:
mi permetta di ringraziare, tramite il suo sito, il cortese Matteo Pepe, per le “aggiunte” alla sua risposta circa la “toparchia”. Aggiunte che – come scrive lo stesso signor Pepe – evidenziano una differenza minima. A lei, invece, e non voglio approfittare della sua cortese disponibilità, un altro quesito. Che cosa è la “metania”? Anche questo termine, se ho visto bene, non è attestato nei comuni vocabolari. Spero in lei. Grazie ancora.
Cordialmente
Ludovico L.
Arezzo
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Cortese Ludovico, la metania è un’espressione di pentimento, un atto di prostrazione. Può vedere l’origine e il significato “completo” cliccando su questo collegamento:
http://books.google.it/books?id=9vWTalKulyIC&pg=PA59&dq=%22metania%22&hl=it&sa=X&ei=tQYXT-_FCOPa4QSrjqHiAw&ved=0CEAQ6AEwAg#v=onepage&q=%22metania%22&f=false
martedì 17 gennaio 2012
La toparchia
Esimio dott. Raso,
ricorro ancora una volta alla sua nota cortesia per un quesito al quale i vocabolari consultati non hanno saputo rispondere. Che cosa è la “toparchia”? Mi sono imbattuto in questo termine leggendo un vecchio giornale, dalle pagine ingiallite, mentre cercavo di riassettare la cantina. Certissimo di una sua cortese ed esauriente risposta, le porgo i miei sentimenti di ossequio.
Ludovico L.
Arezzo
------------
Gentile Ludovico, il termine non ha nulla che vedere con i… topi, come di primo acchito si potrebbe credere. Il vocabolo, in effetti, non è attestato nei comuni vocabolari dell’uso (lo troviamo solo nel Treccani, se non sbaglio, di cui le do il collegamento in calce). La “toparchia”, dunque, è una piccola nazione, un piccolo stato composto di una sola città (lo stato della Città del Vaticano, per esempio, si potrebbe considerare una toparchia). Il vocabolo, di formazione dotta, è composto con le voci greche “topos” (luogo) e “arca” (‘colui che comanda’). Le toparchie si trovavano, nell’antichità, in Egitto e in Palestina.
ricorro ancora una volta alla sua nota cortesia per un quesito al quale i vocabolari consultati non hanno saputo rispondere. Che cosa è la “toparchia”? Mi sono imbattuto in questo termine leggendo un vecchio giornale, dalle pagine ingiallite, mentre cercavo di riassettare la cantina. Certissimo di una sua cortese ed esauriente risposta, le porgo i miei sentimenti di ossequio.
Ludovico L.
Arezzo
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Gentile Ludovico, il termine non ha nulla che vedere con i… topi, come di primo acchito si potrebbe credere. Il vocabolo, in effetti, non è attestato nei comuni vocabolari dell’uso (lo troviamo solo nel Treccani, se non sbaglio, di cui le do il collegamento in calce). La “toparchia”, dunque, è una piccola nazione, un piccolo stato composto di una sola città (lo stato della Città del Vaticano, per esempio, si potrebbe considerare una toparchia). Il vocabolo, di formazione dotta, è composto con le voci greche “topos” (luogo) e “arca” (‘colui che comanda’). Le toparchie si trovavano, nell’antichità, in Egitto e in Palestina.
http://www.treccani.it/vocabolario/toparchia/
lunedì 16 gennaio 2012
«Anfaneggiare»
Probabilmente pochissime persone sanno che coloro che parlano a vanvera, farneticano, vaneggiano non fanno altro che “anfaneggiare”. Questo verbo, infatti, è poco conosciuto perché non attestato da tutti i vocabolari e fra questi, se non cadiamo in errore, il Sabatini Coletti in rete, il Garzanti (Garzantilinguistica.it) e altri. Per la verità è un verbo intransitivo, di uso letterario, iterativo di “anfanare” (questo, forse, più conosciuto). Per quanto attiene all’origine diamo la “parola” a Ottorino Pianigiani, cliccando sul collegamento in calce.
http://www.etimo.it/?term=anfanare&find=Cerca
Si veda anche quest'altro collegamento:
http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22anfaneggiare%22&btnG=
http://www.etimo.it/?term=anfanare&find=Cerca
Si veda anche quest'altro collegamento:
http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22anfaneggiare%22&btnG=
domenica 15 gennaio 2012
La senografia
Crediamo far cosa utile "avvertire" gli amici blogghisti, amatori della lingua, che – contrariamente a quanto si è portati a credere in base alla “formazione” della parola – la senografia non è propriamente sinonimo di mammografia. Il termine, di “fattura classica” essendo composto con parole di origine greca, indica, come si può leggere nel dizionario di Ottorino Pianigiani (di cui diamo il collegamento in calce), la “conoscenza delle scritture in lingua straniera”. Inspiegabilmente i vocabolari… tacciono.
http://www.etimo.it/?term=senografia&find=Cerca
* * *
«Aorcare»
Che cosa significa il verbo che avete appena letto? Lo scoprirete cliccando sul collegamento in calce. Da parte nostra vogliamo solo mettere in evidenza il fatto che il vocabolo suddetto è "snobbato" dai vocabolari perché... antiquato. Ci piacerebbe, invece, che fosse riesumato.
http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22aorcare%22&btnG=
venerdì 13 gennaio 2012
«Porta-» e «posa-»
I prefissi "porta-" e "posa-" non sono interscambiabili. 'Porta' designa oggetti fatti per portare a lungo ciò che esprime il nome (portaritratti, portapenne); 'posa' per indicare oggetti per posarvi temporaneamente qualcosa (posacenere, posaferro).
In proposito riportiamo ciò che dice Aldo Gabrielli nel suo Dizionario Linguistico Moderno.
... Le voci, infatti, composte col prefisso porta- (...) indicano oggetti fatti per portare a lungo la cosa espressa dal nome; quelle, invece, composte col prefisso posa- indicano oggetti fatti solo per posarvi temporaneamente la tal cosa o la tal altra (...).
In proposito riportiamo ciò che dice Aldo Gabrielli nel suo Dizionario Linguistico Moderno.
... Le voci, infatti, composte col prefisso porta- (...) indicano oggetti fatti per portare a lungo la cosa espressa dal nome; quelle, invece, composte col prefisso posa- indicano oggetti fatti solo per posarvi temporaneamente la tal cosa o la tal altra (...).
* * *
Dalla rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete:
raffaela scrive:
Se dovessi diventar donna, dovrei ringraziarvi per avermi ascoltata o per avermi ascoltato?
Se dovessi diventar donna, dovrei ringraziarvi per avermi ascoltata o per avermi ascoltato?
linguista scrive:
Entrambe le forme sono corrette. L’accordo tra il participio e il complemento oggetto, infatti, è proprio della tradizione. Attualmente, però, si tende a lasciare invariato il participio.
Anna Colia
-------------------
Forse è bene completare la risposta della dr.ssa Colia. Con i pronomi “lo”, “la”, “li” e “le” l’accordo del participio con il complemento oggetto è obbligatorio: hai visto Mario e Giovanni? No, non li ho visti. Errato: non li ho *visto.
Entrambe le forme sono corrette. L’accordo tra il participio e il complemento oggetto, infatti, è proprio della tradizione. Attualmente, però, si tende a lasciare invariato il participio.
Anna Colia
-------------------
Forse è bene completare la risposta della dr.ssa Colia. Con i pronomi “lo”, “la”, “li” e “le” l’accordo del participio con il complemento oggetto è obbligatorio: hai visto Mario e Giovanni? No, non li ho visti. Errato: non li ho *visto.
P.S.: Avevamo inserito questa precisazione nei commenti alla rubrica di lingua del quotidiano in rete, ma il nostro intervento è stato "democraticamente" cassato.
giovedì 12 gennaio 2012
«Far mula di medico»
Ancora un modo di dire della nostra bella lingua relegato nella soffitta: far mula di medico. Chi fa, dunque, mula di medico? La persona che, per un motivo o un altro, deve sempre aspettare (qualcuno o qualcosa). La locuzione fa riferimento ai medici condotti dei tempi andati. Un tempo, appunto, i medici si recavano a visitare i malati su una mula e una volta giunti a casa dell’infermo lasciavano la povera bestia per la strada e questa, legata a un arpione, doveva allungare il collo… aspettando il dottore. Di qui, il modo di dire.
mercoledì 11 gennaio 2012
Lo «sciloma»
Ci piacerebbe che i vocabolari riesumassero un vocabolo atto a indicare un discorso lungo, noiso e privo di contenuti: sciloma. Non è bello ed "elegante", secondo voi, dire a una persona che ci annoia con i suoi discorsi lunghi e insulsi: «basta con questo sciloma, mi hai stancato!»?
Il termine, ribadiamo, non è attestato nei dizionari, si può "vedere", però, cliccando sul collegamento in calce.
http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22sciloma%22&btnG=
martedì 10 gennaio 2012
Una grande «stanchità»
Caro signor Raso,
il nuovo anno mi ha fatto imbattere, casualmente, nel suo sito. L’ho trovato interessantissimo tanto che lo ho segnalato ad alcuni amici, amanti del “bel parlare e del bello scrivere”. Come non approfittare, dunque, della possibilità che ci offre rispondendo ai quesiti che le vengono posti? Io ne ho uno bello “caldo” da porle. Esiste il sostantivo “stanchità” come sinonimo di stanchezza? È in ballo una scommessa con un amico, che sostiene il sostantivo essere esistito in passato, quindi arcaico. I miei dizionari non ne fanno menzione. Lei che dice?
Grazie e buon anno
Felice B.
Rovigo
---------------
Cortese Felice, il suo amico ha ragione, il vocabolo è esistito ed è stato relegato nella soffitta della lingua; per questo motivo non è più attestato nei vocabolari. Oggi nessuno direbbe, infatti, “ho una grande stanchità”, anche se ancora adoperato – mi sembra – da qualche scrittore. Veda, in proposito, questo collegamento:
il nuovo anno mi ha fatto imbattere, casualmente, nel suo sito. L’ho trovato interessantissimo tanto che lo ho segnalato ad alcuni amici, amanti del “bel parlare e del bello scrivere”. Come non approfittare, dunque, della possibilità che ci offre rispondendo ai quesiti che le vengono posti? Io ne ho uno bello “caldo” da porle. Esiste il sostantivo “stanchità” come sinonimo di stanchezza? È in ballo una scommessa con un amico, che sostiene il sostantivo essere esistito in passato, quindi arcaico. I miei dizionari non ne fanno menzione. Lei che dice?
Grazie e buon anno
Felice B.
Rovigo
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Cortese Felice, il suo amico ha ragione, il vocabolo è esistito ed è stato relegato nella soffitta della lingua; per questo motivo non è più attestato nei vocabolari. Oggi nessuno direbbe, infatti, “ho una grande stanchità”, anche se ancora adoperato – mi sembra – da qualche scrittore. Veda, in proposito, questo collegamento:
http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22stanchit%C3%A0%22&btnG=
domenica 8 gennaio 2012
«Entizzare»...
Questo verbo, pur non essendo attestato nei vocabolari, si trova in numerose pubblicazioni. Si clicchi sul collegamento in calce. Speriamo, però, che "non prenda piede" e non entri nella "coscienza linguistica" di qualche lessicografo "d'assalto". Non vorremmo, insomma, vederlo un giorno immortalato in qualche vocabolario. Perché? Perché, fa notare il linguista Luciano Satta, è un «brutto neologismo, e ha perduto anche quella carica d'ironia con la quale era nato, allorché si volle mettere in evidenza e criticare la propensione dei governi a togliere le imprese dalle mani dell'iniziativa privata per trasferirle nelle mani dello Stato».
http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22entizzare%22&btnG=
http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22entizzare%22&btnG=
venerdì 6 gennaio 2012
«Soventemente»? Di uso raro
A proposito di soventemente, adoperato dal dr Nichil (nella rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete), forse è il caso di chiarire che siffatto avverbio è attestato e marcato “BU” (basso uso) solo dal GDU. Il Treccani scrive, infatti:«sovènte avv. [dal fr. ant. sovent (fr. mod. souvent), che è il lat. subĭnde «subito dopo, ripetutamente» (comp. di sub «sotto» e inde «quindi, dipoi»)]. – Spesso, frequentemente. Sentito come letter. e ricercato, non è tuttavia raro nella lingua dell’uso: ci vediamo s., m’accade s. di dimenticare l’ombrello; Facea s. pe’ boschi soggiorno (Poliziano); Lungo il cammino stramazzar s. (Parini); mi invitavano s. a cena (Bassani). Ant. e raro come agg., frequente: soventi battaglie (G. Villani); su questo si è formata un’ant. e rara forma avverbiale, soventeménte».
* * *
Qualche consiglio linguistico
Malacitano – così si chiama l’abitante di Malaga, città dell’Andalusia, non malagalese.
Malcostume – nella forma plurale il termine si scinde in due parole: mali costumi.
Mettere in guardia – l’espressione significa avvisare qualcuno di guardarsi da persone o da cose dalle quali potrebbe averne un danno e si costruisce, per tanto, con la preposizione da, non su: Paolo ha messo in guardia Giovanni dai risultati che otterrebbe se intraprendesse quella strada.
Mezzogiorno – il suo plurale è mezzogiorni: l’appuntamento è tutti i mezzogiorni.
Mica – sostantivo femminile adoperato come particella rafforzativa di una negazione, deve essere sempre accompagnato con il non, altrimenti non nega nulla. Non diremo, pertanto, mica l’ho chiamato ma, correttamente, non l’ho mica chiamato.
Malcostume – nella forma plurale il termine si scinde in due parole: mali costumi.
Mettere in guardia – l’espressione significa avvisare qualcuno di guardarsi da persone o da cose dalle quali potrebbe averne un danno e si costruisce, per tanto, con la preposizione da, non su: Paolo ha messo in guardia Giovanni dai risultati che otterrebbe se intraprendesse quella strada.
Mezzogiorno – il suo plurale è mezzogiorni: l’appuntamento è tutti i mezzogiorni.
Mica – sostantivo femminile adoperato come particella rafforzativa di una negazione, deve essere sempre accompagnato con il non, altrimenti non nega nulla. Non diremo, pertanto, mica l’ho chiamato ma, correttamente, non l’ho mica chiamato.
giovedì 5 gennaio 2012
Gerundio: il suo uso corretto
Segnaliamo alla redazione del vocabolario Gabrielli in rete un errore al lemma “gerundio”: «Uno dei tre modi infiniti del verbo che, usato in preposizioni secondarie implicite, indica contemporaneità d'azione rispetto alla proposizione principale, con funzione causale, temporale, condizionale, modale o concessiva». L’errore, ci sembra evidente, è “preposizioni secondarie” in luogo di “PROPOSIZIONI secondarie”. Ne approfittiamo per spendere due parole, due, sull’uso corretto di questo modo del verbo, che si riferisce esclusivamente al soggetto dell’azione espressa dal verbo principale. Se diciamo (o scriviamo), per esempio, “ lo ascoltavo ridendo”, chi rideva? Io, non c’è dubbio. Perché la frase, ‘tradotta’, sta per “io lo ascoltavo mentre io ridevo”. Non ci sembrano corrette, dunque, e si sentono spesso, frasi tipo: ho visto il sole tramontando. Va da sé che nei costrutti impersonali la relazione del gerundio con il soggetto è da escludere: essendo presto, il fanciullo tornò a letto. Ma nella locuzione “lo vidi uscendo”, chi usciva, io o lui?
* * *
Gentile Dottor Raso,
negli ultimi tempi ho notato il diffondersi delle scritte "raccolta pile esauste" e "raccolta pile esaurite" sui contenitori predisposti per la raccolta differenziata. Perché non utilizzare l'aggettivo "scariche" come abbiamo sempre fatto ("pile scariche")? Qual è la Sua opinione?
La ringrazio
In.Somma
Ferrara
-----------------
Cortese In.Somma, concordo con Lei. Esauste ed esaurite, pur non essendo assolutamente voci scorrette riferite a cose (pozzo esausto, teatro esaurito) mi sembrano piú appropriate per le persone. Direi, quindi, raccolta pile “scariche”.
martedì 3 gennaio 2012
Co-fondatore? No! Confondatore
Siamo lieti di constatare che il “Treccani” in rete è l’unico (?) vocabolario ad attestare la voce, correttissima, “confondatore”, anche se non come lemma principale. Il Dop (Dizionario di Ortografia e Pronunzia), alla voce “cofondatore” rimanda a “confondatore”, il che sta a significare che “confondatore” è grafia da preferire. Non si dice, del resto, “condirettore”? Per quale illogico motivo i soloni della lingua condannano “confondatore”?
Dal “Treccani”:
cofondatóre (o confondatóre) s. m. (f. -trice) [comp. di co-1 (o con-) e fondatore]. – Chi è fondatore di un’istituzione insieme con altra persona; in partic., nel linguaggio eccles., chi ha avuto parte rilevante nell’esecuzione del disegno concepito dal fondatore di un ordine o di una congregazione religiosa, così da poter essere considerato come un vero e proprio collaboratore intimo del fondatore stesso.
lunedì 2 gennaio 2012
L'astemio e l'emiandro
Lo sapevate, cortesi amici, che gli astemi in questi giorni di festa hanno brindato lo stesso? Sí, perché l’astemio, stando all’etimologia, non beve vino ma non disdegna le altre bevande. La persona astemia, insomma, dovrebbe “ripudiare” solo il vino, come si può apprendere da Ottorino Pianigiani cliccando sul collegamento in calce. E sapevate che l’uomo dai tratti marcatamente femminili si chiama “emiandro”? Il vocabolo, snobbato dai vocabolari, è correttissimo essendo composto con le voci greche “hiemi” (mezzo, metà) e “andros” (uomo). Non si confonda, però, l’emiandro con l’eunuco, quest’ultimo è privo delle ghiandole che servono alla riproduzione.
http://www.etimo.it/?term=astemio&find=Cerca
domenica 1 gennaio 2012
La riffa (e la raffa)
Per il Capodanno riproponiamo un nostro vecchio articolo. Si clicchi su:
http://faustoraso.ilcannocchiale.it/2007/12/26/la_riffa.html
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Neofita o neofito?
Dal sito Garzantilinguistica.it:ne-ò-fi-ta] Dal lat. tardo neophy°tu(m), dal gr. neóphytos, comp. di néos 'nuovo' e phy/ein 'piantare, generare'; nel sign. 2, sul modello del fr. néophyte o neofito , s. m. e f. [pl. m. -ti]
1 chi si è di recente convertito a una religione
2 (estens.) chi ha abbracciato di recente un'idea, una dottrina, un partito: l'ardore dei neofiti.
Per un uso "piú corretto" si veda questo collegamento:
http://www.dizionario.rai.it/poplemma.aspx?lid=34833&r=3334
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