domenica 31 ottobre 2021

L'anfibologico "che"

 Riproponiamo un nostro vecchio intervento sull'uso ambiguo del pronome "che", perché i giornali (e non solo)...

 Il pronome relativo “che“ non collocato al posto giusto nel corpo della proposizione può creare ambiguità (nel gergo linguistico questa "mala collocazione" si definisce anfibologia e i giornali(sti), purtroppo, sono maestri in questo campo).

Vediamo, dunque, piluccando qua e là dalla stampa, come consuetudine, alcuni pronomi che mal collocati. In corsivo i che errati e in parentesi quelli messi al posto giusto.

Il generale che stimò di più Napoleone (che Napoleone stimò di più) fu Massema; lo scopo che si prefigge l'inchiesta (che l'inchiesta si prefigge) è di scoprire, naturalmente, il colpevole; dentro la gabbia c'era il cagnolino che prediligeva il bimbo (che il bimbo prediligeva): un barboncino bianco; i fiori che coltivano i giardinieri (che i giardinieri coltivano) con maggiore cura sono le rose e i garofani; la belva che aveva ucciso il cacciatore (che il cacciatore aveva ucciso) era una magnifica tigre.

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L'esclamazione (o interiezione)

Due parole, due, sull'esclamazione, "figura linguistica" che esprime un moto improvviso dell'animo; è affatto indipendente e sostituisce una proposizione. Un esempio? "Ahimè, quanto soffro!"

Ci sono, dunque, interiezioni che esprimono meraviglia, gioia, desiderio, sdegno, disapprovazione, allegria, minaccia ecc. Vediamo le principali:

a) minaccia: guai!

b) dolore: ohi!

c) gioia: evviva!

d) meraviglia: perbacco!

e) desiderio: deh!

f) disapprovazione: auf!





venerdì 29 ottobre 2021

Un uragano angloamericano si abbatte sull'italico idioma

 Riceviamo e pubblichiamo

Caro dott. Raso,

ormai non c’è sforzo che tenga per “salvare” l’italiano.

Una decina di giorni fa il dott. Antonelli si è scagliato contro l’abuso di “day”. In passato, sempre su Lo SciacquaLingua, più volte s’è criticata (anche da parte mia) questa mania anglofona tutta nostrana.

Da circa quarantotto ore imperversa il “Medikéin”. Leggo: “In gergo tecnico, volendo scomodare gli inglesi, tale fenomeno è chiamato "MEDICANE", dalla buffa unione delle parole MEDIterranean hurriCANE ovvero Urgano del Mediterraneo, ma in sostanza si tratta di un uragano.

Ma che gergo tecnico! Gergo di beoti che vogliono fingersi colti, e che – nella versione scritta – confondono un uragano con un veterinario specializzato nella cura dei nostri amici a quattro zampe.

Stamane, nel giornale radio Rai 1, parlando della legge sulla parità retributiva uomo-donna, è uscita la bella espressione “gender gap”.

Parlo di me: dovrei recarmi in un “hot spot” per ricevere l’iniezione “buster” [lo scrivo volutamente come l’ho sentito dire]. Credo che non mi presenterò, a meno che me lo dicano in italiano.

Cordialmente,

Pier Paolo Falcone 


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L'indice e l'endice

Vediamo qualche curiosità linguistica, anzi alcune storie di parole che adoperiamo ogni giorno senza conoscerne il significato recondito.

Cominciamo con gazzarra che significa – come tutti sappiamo – «suono tumultuoso di voci umane e di strumenti», «strepito». Questo termine non è affatto volgare, come alcuni erroneamente ritengono, ed è di origine araba: algazara. In arabo, appunto, significa grido di guerra.

Il gallo, l’animale da cortile a tutti noto, trae il nome dal latino gallus che, a sua volta, si riattacca alle radici indoeuropee gal o gar che significano chiamare, gridare. Il gallo, per tanto, è il volatile che grida, che canta, che chiama. Il gallo ci ha fatto venire alla mente la... gallina e le sue uova.

E a proposito di uova, sapete perché l’uovo di marmo che si mette nel nido della gallina per invitarla a deporvi le sue uova si chiama endice? Semplice, non è altro che il latino index (indice). L’endice (l’uovo di marmo) è, quindi, un oggetto che si lascia per indicazione, per segno.

Restando in tema di animali, in particolare canori, vediamo da dove trae il nome il cardellino, l’uccello canoro simile a fringuello. Guarda caso, occorre richiamarsi sempre al... latino. I Latini chiamavano carduelis questo uccellino perché lo sapevano ghiottissimo di semi di... cardo.




giovedì 28 ottobre 2021

La stampa "assassina"


 Sí, ha ragione un cortese lettore che ci ha inviato una lettera nella quale definisce una mostruosità linguistica l'uso errato che la stampa (ma non solo) fa dei verbi giustiziare e assassinare. Ma il lettore non deve meravigliarsi più di tanto; dovrebbe aver fatto il callo, ormai, a questo assassinio linguistico, anche se sappiamo benissimo di pretendere molto da una persona linguisticamente onesta. Come si fa, infatti, a restare insensibili di fronte a un delitto? Soprattutto quando gli autori dell'assassinio non danno prova alcuna di pentimento? Questa gente dovrebbe essere giustiziata o assassinata? In senso metaforico, ovviamente. Giustiziata, senza ombra di dubbio. Giustiziare significa, infatti, punire eseguendo una condanna a morte. E chi può punire, quindi giustiziare, se non un'autorità costituita? Se esistesse, per assurdo, la pena capitale contro i colpevoli di lesa lingua lo Stato (autorità costituita) avrebbe il diritto-dovere di... giustiziarli, non di assassinarli, anche se ai fini pratici purtroppo non cambierebbe nulla. 

È un gravissimo errore, quindi, scrivere in un articolo di cronaca nera che il malvivente è stato giustiziato dai suoi complici; è stato assassinato, non giustiziato, in quanto gli autori del delitto o, se preferite, della punizione non sono un'autorità costituita, la sola, ripetiamo, abilitata a giustiziare. Vediamo, ora, sotto il profilo prettamente linguistico, come sono nati i due verbi che la stampa ritiene sinonimi ma che tali non sono. Il primo, giustiziare, è la traduzione del francese medievale justicier, tratto dal latino iustitia (da iustum, secondo il diritto; e chi ha il dirìtto se non, appunto, un'autorità?). L'altro, assassinare, è tratto dalla voce turca hasciashin, non dal latino, come ci si aspetterebbe. 

Vediamo, per sommi capi, la storia di questo verbo. Nel secolo XIII gli aderenti a una setta musulmana, nata in Persia, divennero famosi per le loro azioni violente e terroristiche perpetrate ai danni della Siria, della Palestina e della Mesopotamia. Questi eroi si macchiavano dei più atroci delitti, impensabili in persone normali: non erano banditi ma belve assetate di sangue umano che uccidevano anche quando nessuno li contrastava. Per caricarsi prima di compiere le loro imprese sanguinarie facevano uso di una droga arrivata, purtroppo, fino a noi: l'hashish. I malcapitati, quando li vedevano arrivare, li chiamavano hasciashin, bevitori di hashish. Il termine, giunto a noi, è stato adattato in assassini, donde il verbo assassinare. Giustiziare e assassinare sono sinonimi dunque? Sotto il profilo linguistico no, sotto quello 'pratico' sí.

 S.O.S. scrittura. Primo soccorso linguistico - Carlo Picozza - Fausto Raso  - - Libro - Mediabooks - Media & Comunicazione | IBS

 

 

mercoledì 27 ottobre 2021

Salvatore Claudio SGROI, Trittico sciasciano con "giallo". Quaquaraquà, mafia, pizzo

Salvatore Claudio SGROI, Trittico sciasciano con "giallo". Quaquaraquà, mafia, pizzo, Torino, UTET Università  2021, pp. XII-292.

 «Diciamo subito che il lettore può avviare la lettura di questo Trittico sciasciano muovendo dalla curiosità per un titolo qualsiasi dei 9 capitoli del volume, i quali mettono a fuoco prioritariamente tre aspetti della personalità di Leonardo Sciascia (1921-1989). Ovvero Sciascia scrittore e la sua lingua (cap. 3), Sciascia linguista 'in erba' che riflette come tutti gli scrittori sulla lingua (capp. 2, 7), e Sciascia scrittore che diffonde in italiano e nel mondo certi lessemi (senza esserne il glottoplaste ovvero l'onomaturgo), come quaquaraquà, mafia, pizzo. I quali sono l'oggetto per una analisi intralinguistica (quaquaraquà, ancora equivocato, cap. 5; mafia e derivati, cap. 8), interlinguistica (diffusione di quaquaraquà nel mondo, in lingue romanze, germaniche e non-indoeuropee, cap. 6), in chiave storico-etimologica (mafia, oggetto di 'allucinazioni' spagnole, cap. 7; taddema, cap. 4; e pagare il pizzo, cap. 9). Il tutto preceduto da un "giallo" sulla (tardiva) laurea postuma del nostro autore (cap. 1)» (Quarta di copertina).

Un trittico sciasciano con «giallo». Quaquaraquà, mafia, pizzo - Salvatore Claudio Sgroi - copertina



martedì 26 ottobre 2021

L'editore al femminile

 Ancora una volta ─ e ci dispiace veramente ─ dobbiamo dissentire dai linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota che nel loro libriccino "Ciliegie o ciliege?" sostengono la tesi secondo la quale il sostantivo editore nella forma femminile può rimanere invariato: l'editore Stefania Stefanelli o l'editrice Giuliana Giulianelli. Francamente non capiamo su quali basi "logico-grammaticali" fondino la loro tesi. La grammatica "parla" chiaro: il femminile dei sostantivi maschili in "-tore" si ottiene mutando il suffisso "-tore" in "-trice": autore/autrice; venditore/venditrice; scultore/scultrice. Non capiamo, quindi, come si giustifichi l'invariabilità. Tutti i vocabolari che abbiamo consultato riportano il femminile (editrice), nessuno accenna anche all'indeclinabilità del lemma in oggetto.


In proposito riportiamo l'istruttiva "Nota d'uso" di "Sapere.it" (De Agostini):

Il femminile regolare di editore è editrice, e così si può chiamare una donna che eserciti il mestiere di editore. Alcuni preferiscono però chiamare anche una donna editore, al maschile. Si tratta di una scelta che non ha basi linguistiche ma sociologiche, e che comunque può creare, nel discorso, qualche problema per le concordanze. 

(Vi suona bene "ecco il catalogo dei libri dell'editore Stefania Stefanelli"?).


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Uso corretto dell'avverbio "mai"

Mai è un avverbio di tempo con due accezioni distinte: qualche volta (una volta) e nessuna volta.
Quando sta per una volta non richiede la negazione non: dicesse mai (una volta) la verità.
Deve essere necessariamente preceduto dalla negazione (non) quando vale nessuna voltanon l'ho mai incontrato; nell'uso corrente si tende a omettere il nonmai incontrato, meglio non l'ho mai incontrato.


lunedì 25 ottobre 2021

La fabbra? Sí, e in regola con la "legge della lingua"

 Oggi le donne possono accedere a tutte le professioni e a tutti i mestieri, un tempo riservati ai soli uomini, ma il nome indicante il mestiere è rimasto maschile anche per le donne. Abbiamo consultato tutti i vocabolari in nostro possesso (De Mauro, DOP, Devoto-Oli, Gabrielli, Palazzi, Olivetti [in rete], Sabatini Coletti, Treccani) alla "ricerca" del femminile di fabbro. Nessuno dei dizionari "esaminati" attesta la forma femminile. Eppure il femminile è...  lapalissiano: fabbra. Tutti i sostantivi in "-o" hanno il femminile in "-a": sarto/sarta; cuoco/cuoca; fabbro... fabbra. Qualche linguista sobbalzerà sulla sedia? Dovrebbe sobbalzare anche per la ministra, la sindaca, la magistrata, l'architetta, la deputata, l'ingegnera. Diciamo e scriviamo, dunque, la fabbra senza tema di essere tacciati di analfabetismo. Anzi...

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Abbiamo spulciato altri due vocabolari, il Garzanti e lo Zingarelli. Il primo mette a lemma, regolarmente, il femminile; il secondo dà il lemma al femminile come raro. Insistiamo, quindi, nessun timore: la fabbra è perfettamente in regola con la "legge grammaticale".

 

domenica 24 ottobre 2021

Avvocatessa? Voce legittima per il vocabolario Gabrielli in rete

 Nel libriccino "Si dice o non si dice?" di Aldo Gabrielli, a proposito del femminile di avvocato, a pagina 95 leggiamo: « (...) Una donna che abbia ottenuto questo incarico (persona deputata a rappresentare in parlamento un certo numero di elettori) non può essere che 'una deputata', e non una 'deputatessa', come alcuni anche oggi insistono a dire. Per 'avvocato' la stessa cosa: (...) maschile in '-o', femminile in '-a': 'avvocata', e niente 'avvocatessa' (...) ». Ma i revisori del suo vocabolario lo hanno "tradito" mettendo a lemma ─ nel dizionario in rete avvocatessa.

Vocabolario Gabrielli (in rete)

avvocatessa
[av-vo-ca-tés-sa]
s.f.

1 Donna laureata in diritto che esercita l'avvocatura.

2 scherz. Moglie dell'avvocato
‖ fig., spreg. Donna chiacchierona, ottima sostenitrice delle proprie o altrui ragioni.

Ma c'è di piú. Si danno la zappa sui piedi, perché in "Si dice o non si dice?" (revisionato e messo in rete) condannano 'avvocatessa' (e legittimano il maschile avvocato riferito a una donna).

"Si dice o non si dice?" (in rete)

Avvocata, avvocato (fem.) o avvocatessa: come si scrive?

Si dice: avvocata, avvocato (fem.)

Non si dice: avvocatessa

 

Povero prof. Gabrielli, si starà rivoltando nella tomba.





sabato 23 ottobre 2021

Personificare o impersonificare?

 Pregiatissimo Direttore del portale, 

approfitto della sua nota disponibilità perché pubblichi questa lettera aperta indirizzata all’ A.N.Pa.Vi.G.I. (Associazione Nazionale Parole Vittime Giornalisti Ignoranti), affinché la predetta Associazione possa accertare se sia rimasto vittima dell’ignoranza dei media – e, quindi, inoltrare la pratica riguardante il mio caso ai probiviri – o se, invece, abbia un fratello gemello di cui ignoravo l’esistenza fino a qualche giorno fa. Mi accorgo, ora, di non essermi presentato, mi scuso e rimedio subito: sono il verbo Personificare.

 Espongo, dunque, il mio caso. Scartabellando tra le mie cose, ho ritrovato una vecchia copia di un giornale sportivo nelle cui pagine interne un titolo recitava: «Virenque sgradito: impersonifica il doping». 

Sono rimasto di stucco. Vuoi vedere, mi son detto, che ho un fratello gemello e non lo sapevo? Che sia stato dato in adozione, subito dopo la nascita, alla grande famiglia dei giornalisti sportivi (e no)? Finora sono sempre stato io, Personificare, a essere adoperato in casi del genere; la cosa, quindi, oltre che scioccarmi mi ha incuriosito.

Ho consultato tutti i vocabolari della lingua italiana in mio possesso: di questo ipotetico fratello – Impersonificare – nessuna traccia. Tutti gli incunaboli che ho potuto consultare, insomma, non lo attestano. Nel titolo in questione, dunque, i verbi che avrebbero fatto alla bisogna sarebbero stati Impersonare o Personificare: «Virenque sgradito, impersona (o personifica) il doping».

Leggo, infatti, in un vocabolario alla voce impersonare: verbo transitivo e intransitivo pronominale. Nel primo caso è sinonimo di personificare: gli antichi impersonavano la fortuna in una dea bendata; nel secondo caso costituisce «la personificazione di un concetto, di un’idea»: secondo gli antichi Greci l’amore s’impersonava in Cupido.

Vediamo, ora, ciò che dicono di me – Personificare – i dizionari: «verbo transitivo, dare a qualcosa, soprattutto a un’idea o a un’entità astratta, la forma di persona viva e concreta» (personificare l’invidia) e, per estensione, «rappresentare in sé qualche cosa, essere il simbolo» (il Parlamento personifica la nazione).

Nel titolo incriminato Virenque non simboleggia il doping? Non lo personifica? Donde è spuntato, amici dell’A.N.Pa.Vi.G.I., questo verbo impersonificare? Vi prego, indagate; se non esiste ed è stato adoperato in mia vece colpite senza pietà: la stampa deve finirla – una volta per tutte – di divulgare imperfezioni linguistiche che inducono in errore i lettori sprovveduti.

Certo che la mia richiesta sarà presa in seria considerazione dagli amici dell’Associazione, ringrazio il Direttore della sua squisita ospitalità e auguro a tutti una serena giornata.

Il vostro amico

 Personificare


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La lingua "biforcuta" della stampa

 STALKING

Bruzzone, offese infamanti sul web: a giudizio avvocatessa e ex amica della criminologa

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Nessun commento, anzi, sí: ci piacerebbe sapere se continuano a scrivere "avvocatessa" per... ignoranza o per presunzione (ecco un caso in cui dovrebbe intervenire l'ipotetica associazione su menzionata).









venerdì 22 ottobre 2021

Il femminile di "ispettore"

 


Siamo rimasti "sorpresi" nell'apprendere che secondo i linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota il lemma "ispettore" nella forma femminile può rimanere invariato. Si può dire, insomma, stando ai glottologi su menzionati, tanto «l'ispettore Giovanna Giovannina» quanto «l'ispettrice Rita Ritina». Siamo rimasti sorpresi, dicevamo, perché nessun "sacro testo" consultato riporta la tesi dei due linguisti. Ma tant'è. 
   Questa "sorpresa" ci ha dato lo spunto per trattare di una particolarità ─ che le comuni grammatiche scolastiche non riportano ─ del femminile dei sostantivi maschili in "-tore". 
   Secondo la norma grammaticale, dunque, i nomi in "-tore" nella forma femminile mutano il suffisso "-tore" in "-trice": conduttore/conduttrice; spettatore/spettatrice; attore/attrice; ispettore/ispettrice
   Se prima del suffisso "-tore" ─ ecco la particolarità ─ c'è una consonante diversa dalla "t" i  sostantivi in oggetto possono avere il regolare femminile, cambiano, cioè, la "e" finale in "a": gestore/gestora; pastore/pastora. Il suffisso "-tora", però ─ è importante  ─  si può riferire esclusivamente a una persona. 
   Vediamo, ora, alcuni femminili in "-tora", cosí come ci vengono alla mente: tintora, impostora, sartora, avventora, tessitora, disertora, cucitora. Un'ultima notazione. Il femminile di "cantore" (colui che canta in un coro) non è "cantrice" ─ come ci è capitato di sentire e di leggere ─ ma cantora (perché prima della "t" c'è, appunto, una consonante diversa).





mercoledì 20 ottobre 2021

Cartapesta: quale plurale?

 Crediamo far cosa utile e gradita dare i plurali corretti di alcuni nomi composti il cui primo elemento è il sostantivo carta.
Non tutti i vocabolari concordano ingarbugliando, così, le idee. Alcuni, addirittura, non ammettono il plurale.

Cartacarbone — nella forma plurale muta la desinenza del primo sostantivo: cartecarbone

Cartamoneta — nel plurale muta la desinenza del secondo elemento: cartamonete

Cartapecora — nel plurale muta la desinenza del secondo sostantivo: cartapecore

Cartapesta — il plurale si ottiene modificando entrambe le desinenze dei vocaboli: cartepeste

Cartastraccia - nella formazione del plurale mutano le desinenze di entrambi i termini: cartestracce

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La parola proposta da questo portale: machera. Sostantivo femminile, aulico, che sta per spada, coltello e simili. È tratto dal latino "machaera", spada.

 S.O.S. SCRITTURA (Primo soccorso linguistico) - Ordine Dei Giornalisti 

Presentato al Salone del libro di Torino 2021

 

martedì 19 ottobre 2021

“Italian language week”

 Dal dr Claudio Antonelli riceviamo e pubblichiamo

La settimana della lingua italiana andrebbe ribattezzata “Italian language week”, o meglio ancora “Italian language seven days”, perché ci sono poche altre parole che godano in Italia altrettante simpatie quanto il termine “day”.  

Il “click day” è forse l’ultimo in ordine di tempo di una sfilza di “day” che non sembra aver mai fine.  

Io non so quale fu il primo avvenimento a venir designato in Italia con un titolo composto con la desinenza “day”, suscitatrice di grandi entusiasmi presso l’intellighenzia e il popolo della penisola. Da allora, questo fortunato anglicismo ha fatto “carne di porco” ; è proprio il caso di dire così, visti i tanti “porchetta-day” che si sono da allora succeduti. Molti ormai chiamano cosi’ le sagre paesane all’insegna della porchetta. Un’altra porcata linguistica, insomma…
Mi azzardo a dire che la popolarità di “day” è forse dovuta all’assonanza che “day” ha con “gay”, parola nobilitante che ha rimpiazzato gli insultanti termini di un tempo come “fro…”, “chec…”, “culat…” finiti fortunatamente al macero. Oso poi a dire che nel subcosciente di noi Italiani, figli della Liberazione, agisca il mitico “D-Day” dello sbarco degli Alleati in Normandia, e del precedente sbarco in Sicilia che installò da noi, insieme con le basi militari americane, anche la passione per la lingua pseudo inglese.
Da allora gli italiani tutti, e non solo i filoamericani ma anche gli antiamericani, non smettono mai con i loro “days”.  

Oltre all'“Election Day”, legge del parlamento italiano, vi sono stati il “Family day”, lo “Young day” (sic), voluto da Alfonso Pecoraro-Scanio per rimettere al centro il problema dei giovani e del precariato, i “Referendum days” dei radicali, il “Maiale day” dei leghisti contro la costruzione di una moschea, il “No tax day” del Pdl contro il sindaco di Milano Pisapia, il “No porcellum day”, il “No Berlusconi Day”, il “No Salvini Day”, il “No Renzi Day”… E tanti altri “day” che sarebbe troppo lungo menzionare, o di cui si è persa la memoria.
Alcuni “day” sono durati solo qualche giorno, altri sono durati molto di più rendendo molto bene. L'”Election Day”, ad esempio, ha avuto gran successo per diversi politici, tra cui una sfilza di nostri primi ministri, compreso l’attuale, divenuti tali senza essere mai stati eletti. È dunque vero: perché una legge abbia successo in Italia occorre darle un titolo inglese. Vedi la legge sullo stalking che ha dato origine a moltissimi procedimenti penali.
Io proporrei oggi, invece, una legge contro i personaggi che ci perseguitano in Tv nei quotidiani “talk show”, veri “stalker show”.
Lo slogan della campagna di reclutamento della marina militare italiana di un paio di anni fa – “Be cool and join the Navy” – non ebbe gran successo, benché il marziale invito fosse stato rivolto agli italiani interamente nella magica parlata inglese. Ma il messaggio non conteneva il fatidico, imprescindibile “day”. Fu un errore imperdonabile.
Nell’attuale periodo, in cui l’indice di riproduzione da coronavirus (Rt) desta ancora qualche preoccupazione, il mio pensiero va al “Fertility Day” – lanciato nel 2016 dal ministro della salute Beatrice Lorenzin. Un “Fertility Day” che purtroppo partori’ solo polemiche; tra cui quella innescata da Roberto Saviano, secondo il quale “Fertility Day” era “un insulto a chi non riesce a procreare e anche a chi vorrebbe ma non ha lavoro”.
È doveroso anche ricordare il glorioso “Vaffa… day” di Beppe Grillo contro i politici italiani.
A suo tempo, a dire il vero, io proposi un “F… off day” o “F… you day” o “Go f… yourself day”, secondo i gusti, per tutti i ridicoli scimmiottatori della parlata americana, legioni nella Belpaese. Ma la mia richiesta non fu accolta, e per me quello fu un “dies” – pardon: un “day” “nigro signanda lapillo”.

Claudio Antonelli (Montréal)



 

lunedì 18 ottobre 2021

L'avverbio "eccetera" e la virgola

 Dal sito "Pennablu.it" leggiamo:

Come si scrive l’abbreviazione della parola eccetera? Be’, visto che ho scritto appunto eccetera, sorge spontaneo dire che la sua abbreviazione sia ecc.

Eppure in molti sono soliti scrivere etc. Ma etc. si scrive nel mondo anglosassone, poiché la parola è rimasta tale e quale, più o meno, al latino: etcetera.

In latino si scrive et cetera, che significa letteralmente “e tutte le altre cose”, quindi e tutto il resto. Eccetera, appunto.

Ora, dal momento che siamo in Italia e scriviamo in italiano, cominciamo a usare la giusta abbreviazione di questa parola. Una semplice “e” seguita da una coppia di “c”.

E lasciamo etc. a inglesi e americani.

Per quanto riguarda, invece, la punteggiatura da usare, prima dell’abbreviazione ecc. va usata una virgola, perché è appunto una parola. Non importa che in quella parola sia contenuta la congiunzione “e”, ormai è diventata una parola unica.

Dunque sarà corretto scrivere “A pranzo mangio pasta, carne, pane, verdure, ecc.” e non “A pranzo mangio pasta, carne, pane, verdure ecc.”

Dissentiamo totalmente da "Pennablu" sugli ultimi due periodi in quanto la "legge grammaticale" lascia allo scrivente la facoltà di mettere o no la virgola prima dell'avverbio "eccetera". Personalmente non la mettiamo perché non ci piace stilisticamente ma, ripetiamo, l'uso della virgola prima di "ecc." è facoltativo, non obbligatorio.

Presentato al Salone del libro di Torino 2021








domenica 17 ottobre 2021

Giramondo: si pluralizza?

 Il Dop, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, è il solo — tra i vocabolari che abbiamo consultato — a legittimare il plurale di giramondo (oltre all'invariabilità) ed è anche l'unico a definirlo solo sostantivo maschile. Gli altri dizionari non ammettono il plurale e lo attestano come ambigenere: il giramondo, la giramondo.

La garzantilinguistica.it, invece, stupisce: non attesta il termine, digitando giramondo compare la voce inglese globetrotter.

Perché, dunque, il Dop, al contrario degli altri vocabolari, non disdegna il plurale di giramondo? Perché, secondo chi scrive, segue la regola della formazione del plurale dei nomi composti. Tale regola stabilisce che i nomi composti di una voce verbale e di un sostantivo maschile singolare formano il plurale regolarmente: il passaporto / i passaporti; il parafango / i parafanghi; il giramondo... i giramondi.

Personalmente preferiamo lasciare il sostantivo invariato per un motivo di logica: il mondo è uno solo. Ma non è da censurare chi segue le indicazioni del Dop. Una ricerca con Googlelibri dà un leggera preferenza alla forma plurale: 23.300 occorrenze per i giramondo e 23.700 per i giramondi.

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La lingua "biforcuta" della stampa

LA STORIA

Passpartout: il passaporto dei bambini per tornare a scoprire musei, cinema e teatri

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Correttamente (visto che vogliono adoperare termini "barbari"): passe-partout. Il barbarismo, oltre tutto, non significa "passaporto". Treccani: passe-partoutpas partù› s. m., fr. (propr. «passa dappertutto»). – 1. a. Chiave che serve ad aprire parecchie serrature (per es., quella di cui è munito il personale di servizio negli alberghi), comunella. b. fig. Sistema per ottenere facilmente ciò che si desidera o per risolvere qualsiasi problema: finalmente ha trovato il passe-partout che gli occorreva. 2. Pezzo di cartone, spesso foderato di tela, velluto, o altro, tagliato in modo da costituire un margine più o meno ampio fra un quadro, un disegno, una stampa, ecc., e la cornice.

sabato 16 ottobre 2021

I corrimano o i corrimani?

 Ancora una volta ─ nostro malgrado ─ dobbiamo dissentire dai linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota che nel loro "Ciliegie o ciliege?" sostengono che il sostantivo "corrimano" può restare invariato nel plurale: i corrimano o i corrimani. C'è una "legge grammaticale" che stabilisce che il plurale dei nomi composti con una voce verbale e un sostantivo maschile singolare si ottiene mutando la desinenza del secondo elemento: il parafango i parafanghi. Direte: mano non è un sostantivo maschile ma femminile e i nomi composti con un verbo e un nome femminile singolare non cambiano nel plurale. È cosí, infatti. Ma nel caso specifico mano, terminando con la "-o", desinenza tipica del maschile, si considera tale e nel plurale segue la regola su menzionata. Come "asciugamano" che nel plurale muta la "-o" in "-i": asciugamani. Il Dop, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, specifica chiaramente il plurale (e non l'invariabilità). Cosí la consulenza linguistica dell'Accademia della Crusca (di cui lo stesso Patota è accademico).


 

venerdì 15 ottobre 2021

Uso corretto dei verbi ausiliari

 I verbi essere e avere hanno una coniugazione propria (non appartengono alla prima coniugazione, né alla seconda né alla terza) e sono chiamati verbi ausiliari perché sono di aiuto agli altri verbi per la coniugazione dei tempi composti; molto spesso, però, siamo in dubbio su quale dei due ausiliari adoperare.

Non è possibile stabilire una regola precisa, è indispensabile, quindi, consultare un buon vocabolario.

Possiamo dire però, in linea di massima, che l'ausiliare essere si adopera con i verbi impersonali, con i riflessivi e per la forma passiva dei verbi transitivi.

Avere, invece, si usa con i verbi intransitivi che indicano un movimento o moto fine a sé stesso (ho volato, ho camminato, ho corso), con quelli intransitivi che indicano un'attività dello spirito e del corpo (ho pensato, ho dormito) e per formare i tempi composti di tutti i verbi transitivi (ho letto una poesia).

Da notare, a margine di queste noterelle, che l'uso dell'uno o dell'altro ausiliare fa cambiare il significato al verbo principale: ho mancato (ho commesso una colpa), sono mancato (non ero presente).

  Libro S.O.S. scrittura. Primo soccorso linguistico - C. Picozza -  Mediabooks - Media & Comunicazione | LaFeltrinelli

mercoledì 13 ottobre 2021

Il femminile di capo? Capa (perfettamente in regola con le leggi della grammatica)!

 Non strabuzzate gli occhi, cortesi amici lettori, avete letto bene: capa. Sí, sembra che alcuni linguisti e lessicografi si siano "convertiti" e abbiano accettato l'idea di femminilizzare il sostantivo capo: la capa, con il rispettivo plurale cape (il lemma in oggetto ha perso, infatti, quella carica ironica o dispregiativa che aveva nel passato). I sostantivi maschili in "-o", del resto, nella forma femminile mutano la desinenza "-o" in "-a": il sarto/la sarta; l'amico/l'amica; il cuoco/la cuoca. Per quale illogico motivo capo non dovrebbe sottostare alla legge grammaticale e rimanere invariato al femminile? Ne avevamo discusso anche qui

A questo punto sorge, però, il problema dei nomi composti con capo. Quale sarà il plurale di capaufficio? Capeufficio. Si applicherà, dunque, la medesima regola del maschile. Quando capo indica la persona che ha un ruolo di guida (di "comandante") prende la desinenza del plurale e resta invariato il sostantivo che segue: il caposervizio/i capisevizio; il capostazione/i capistazione.

 Questa  medesima regola per il femminile: la capaservizio/le capeservizio; la capastazione/le capestazione. Se capo, invece, sta per "primo", "principale", resta invariato e si pluralizza il nome che segue: il capocuoco ("primo cuoco")/i capocuochi; il capolavoro/i capolavori. Secondo tale regola, quindi, il plurale di capacuoca sarà capacuoche. La capa e le cape "suonano" male? Come "sonavano" (sic!) la sindaca e le sindache, la ministra e le ministre, la prefetta e le prefette, la soldata e le soldate, la carabiniera e le carabiniere, la notaia e le notaie, l'assessora e le assessore? Basta abituare l'orecchio.

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La lingua "biforcuta" della stampa

WhatsApp, dal 1° novembre non sarà più utilizzabile sugli smartphone Android versione 4.0

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Correttamente: dal 1 (senza esponente). Il primo giorno del mese è un ordinale e si scrive come si legge.

Crusca: Le indicazioni comprendenti anche mese e giorno sono introdotte modernamente da un articolo maschile singolare: «il 20 settembre 1870»". Per estensione, si può aggiungere che, nel caso di una data come 11/10/1989, l'articolo che vi si anteporrà sarà l' (seguendo la pronuncia della data: l'undiciottobre millenovecentoottantanove); stessa regola vale per le date che iniziano con 1: anche per queste, si considera il modo in cui tali date vengono pronunciate e quindi si scriverà il 1/2/2003 (cioè il primo febbraio duemilatré). Infatti, come specifica Serianni, "Per i giorni del mese si usa l'ordinale per il giorno iniziale [...], ma il cardinale per i giorni successivi, siano o non siano accompagnati dal giorno del mese [...]."

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TEST PER IL PASS

Le farmacie: siamo pronti a raddoppiare i tamponi in Piemonte

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Da quando il sostantivo farmacia ha cambiato "sesso"? Forse volevano scrivere: I farmacisti: (...).

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TOR PIGNATTARA

Vigilessa investita: indagano i carabinieri

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I massinforma (operatori dell'informazione) ancora insistono (presuntuosamente?) con vigilessa. La grafia corretta è vigile (con l'articolo femminile, eventualmente): vigile investita.

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USA

Per due anni cervo vive con uno pneumatico al collo: l'animale salvato dai guardiaparco

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Correttamente: guardaparchi. Treccani: guardaparco s. m. e f. [comp. di guarda- e parco2] (pl. m. -chi). – Guardiano addetto alla sorveglianza di un parco, spec. nazionale.


lunedì 11 ottobre 2021

Sgroi - 116 - La lingua italiana messa al bando dal Minist(e)ro della Università e della Ricerca (MUR)?

Ministero dell'Università e della Ricerca (@mur_gov_) | Twitter

     di Salvatore Claudio Sgroi

    1. L'evento

Come annunciato dal presidente dell'Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, in "Italiano Digitale" l'8 ottobre, il Decreto Ministeriale n. 841, emanato dal MUR (leggi: Ministero dell'Università e della Ricerca; prima MIUR, poi distinto nel 2020 dal MI = "Ministero dell'istruzione") il 15 luglio ed applicato il 28 settembre, prevede un FIS (leggi: "Fondo Italiano per la Scienza", ovvero per la ricerca scientifica comprensiva delle discipline umanistiche) di ben 150 milioni di euro per il 2022.

 2. Proibito scrivere e anche parlare in italiano

Come sottolineato con preoccupazione e vigorosamente dallo stesso Marazzini, le norme per la presentazione dei progetti prevedono:

a) che essi siano presentati in lingua inglese (e solo in inglese, con esclusione della lingua italiana), sulla stessa linea dei progetti PRIN (Progetti di ricerca di interesse nazionale) del 2017;

e b) -- novità assoluta -- che la presentazione orale dei progetti anche a commissari italiani avvenga in inglese (e non in italiano), e così pure quanto agli scambi verbali tra i membri dei comitati.

Tutto ciò nella logica dell'uso esclusivo dell'inglese nei corsi triennali e nei dottorati di ricerca dell'Università introdotto fin dal 2012, che suscitò l'intervento della Magistratura.

 3. L'italiano, idioma di serie C, votato al depotenziamento strutturale

L'esclusione della lingua nazionale -- a tutti i livelli, parlati e scritti a livello scientifico -- è invero gravida di conseguenze. Non solo significa declassare e squalificare la lingua da ogni punto di vista, a livello nazionale e internazionale, ma significa depotenziarla strutturalmente.

Ogni idioma è infatti caratterizzato dalla proprietà della "onnipotenza semantica" o "onniformatività". Ovvero qualunque lingua consente al nativofono di poter dare forma, realtà a qualsiasi pensiero, concetto in maniera sempre perfettibile, purché venga utilizzata.

Escludere l'italiano dagli usi parlati e scritti a livello scientifico, comporta un suo impoverimento a livello lessicale, sintattico, testuale, anche per gli stessi studiosi delle varie discipline, obbligati all'uso di una lingua straniera, non-nativa, una gabbia e ostacolo alla fine per la più completa espressione e comunicazione dei propri pensieri. La stessa verbalizzazione in una lingua non-nativa ne verrebbe alla fine compromessa.

 4. Scelta ministeriale: una scelta anti-costituzionale?

La domanda, naturale, che viene da porsi è allora: ma il Minist(e)ro della Ricerca Universitaria e Scientifica (MUR) non ha il compito e il dovere di "difendere" la lingua nazionale? Non è naturale attendersi una "macro-fedeltà" alla lingua nativa per i suoi usi nei diversi ambiti, da quelli quotidiani, informali a quelli più alti, formali e astratti?

Non rischia questa scelta del MUR, alla fine, di essere una scelta anti-costituzionale?