giovedì 28 settembre 2023

La soldata non rispecchia la lingua di Dante e di Manzoni?


Da "Domande e risposte" del sito Treccani:

Il termine "soldata" come altri da Voi registrati ultimamente nel vocabolario non hanno niente a che vedere con la lingua italiana di Dante e di Manzoni. Perdonate la franchezza ma i dizionari servono anche a conservare ed a educare i giovani alla cultura della propria nazione non a importare termini da altre culture che vanno si conosciute ed apprezzate ma che non possono sostituire o minimizzare in nessun modo la propria identità. Grazie per l'attenzione e auspico da un Istituto glorioso e prestigioso come il Vs. una difesa puntuale della ns. amata lingua che discendendo dal latino chiede di essere rispettata in particolar modo da questi imbarbarimenti del mondo cosiddetto moderno.

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 Una cosa va premessa: in italiano è spesso difficile formare il femminile dei nomi di mestiere e professione o indicanti una carica. Perché, pur avendo presenti le elementari norme grammaticali della lingua, succede che la coscienza pre-linguistica del parlante si ribelli alle conseguenze dei profondi cambiamenti sociali e culturali avvenuti nel Paese negli ultimi decenni.

 

Decenni che hanno visto, pur contrastato (ancor oggi contrastato), l’ampliamento della presenza femminile nei mestieri, nelle professioni e nelle istituzioni, anche in posizioni apicali. Ma avvocatamedicanotaiasoldata – impeccabili nella formazione del femminile – non piacciono a molti perché dispiace o urta o non ci si capacita, sotto sotto, del fatto che una donna possa occupare posizioni in passato di esclusivo, o quasi, appannaggio maschile.

 

Quando il dibattito corre sui binari dell’ideologia, c’è il rischio che la lingua venga trattata strumentalmente. Niente di male, vuol dire che essa è viva e cambia, riflettendo i cambiamenti sociali e mettendo in crisi stereotipi e luoghi comuni. La dinamica cambiamento-reazione al cambiamento è normale. Di una cosa siamo certi: l’italiano non si sta “imbarbarendo”.

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Cortese redazione Treccani, mi permetto di inserirmi  nella "polemica" del vostro lettore il quale sostiene che il termine "soldata" (e altri) non ha nulla (a) che vedere con la lingua di Dante e di Manzoni. Al lettore faccio osservare che ha preso una topica tremenda. Soldata è il regolarissimo femminile di soldato, dal participio passato dell'antico verbo italianissimo "soldare", e questo dal latino (quindi 'italiano') "solidus". Tralascio i termini "avvocata", "medica", "notaia", ai quali potrei aggiungere "ministra", "magistrata", "prefetta" , "ingegnera" ecc. Tornando a "soldata" è un femminile in regola con la "legge grammaticale italiana". Tale legge stabilisce che il femminile dei sostantivi (maschili) in -o si ottiene mutando la desinenza "-o" del maschile in "-a": sarto/sarta; cuoco/cuoca; ladro/ladra; soldato... soldata. Non concordo sulla certezza circa il "non imbarbarimento" dell'italiano. Purtroppo il dilagare dei vari anglismi lo stanno "imbarbarendo". Eccome!




 












(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauraso@hotmail.it)

lunedì 25 settembre 2023

Mezzobusti? Ineccepibile


A
ncora un plurale regolarissimo, ma di uso raro, non lemmatizzato nei vocabolari dell'uso: mezzobusti. Questo sostantivo si può scrivere anche in grafia analitica (due parole), mezzo busto, il cui plurale regolare, ovviamente, è mezzi  busti. I dizionari (consultati) attestano il plurale modificando la desinenza di entrambi i componenti: mezzibusti. Questo plurale, a nostro modo di vedere, è irregolare perché non rispetta la regola della formazione del plurale dei nomi composti; tale regola stabilisce che il plurale dei nomi composti di un aggettivo (mezzo) e di un sostantivo (busto) si ottiene modificando la desinenza del solo sostantivo: piattaforma/piattaforme; francobollo/francobolli; mezzobusto/mezzobusti. Esiste, dunque, anche se ritenuto di uso raro, il plurale "regolare" mezzobusti, come riporta il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia e come si può leggere in numerose pubblicazioni. Invitiamo, pertanto, i lessicografi a lemmatizzare  nei vocabolari dell'uso il "regolare" plurale che, ripetiamo e non capiamo il perché, è considerato raro se non, addirittura, errato.

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Gentile dott. Raso,

la ringraziamo della segnalazione e prenderemo senz’altro in considerazione la sua osservazione,

cordialmente,

Segreteria Treccani online

Silverio Novelli responsabile magazine Lingua italiana - Treccani.it

Istituto della Enciclopedia Italiana
Piazza della Enciclopedia Italiana 4, 00186 Roma


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La lingua "biforcuta" della stampa

La nuova scena / In anteprima "Urlare" di Fra' Melito

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Correttamente: fra (senza apostrofo, essendo un troncamento). In proposito stupisce il constatare che alcuni vocabolari, tra i quali il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, ammettano l'apostrofo o l'accento. Non ci stupisce, invece, il dizionario Gabrielli in Rete perché, anche in questo caso, i "revisionisti" contraddicono il Maestro. Riportiamo quanto scrive il linguista Vincenzo Ceppellini  nel suo "Dizionario grammaticale": Accorciativo della parola frate. (...) È errore scriverlo con l'apostrofo poiché si tratta di un troncamento. (...).


 

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venerdì 22 settembre 2023

Sul plurale di purosangue (2)



 La risposta della redazione del vocabolario Treccani in Rete alla nostra "elettroposta" sulla variabilità del sostantivo purosangue.




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martedì 19 settembre 2023

Il plurale di pescecane



T
utti i vocabolari consultati, tra cui il dizionario Gabrielli in rete, danno due occorrenze circa il plurale di pescecane: pescicani/pescecani. A nostro modesto avviso la forma plurale pescicani non rispetta la "legge grammaticale" secondo la quale il plurale dei nomi composti di due sostantivi dello stesso genere formano il plurale mutando solo la desinenza del secondo elemento: il plurale di pesce(maschile)cane(maschile) sarà, quindi, pescecani. Pescespada pluralizzerà, invece, in pescispada, mutando la desinenza solo del primo composto, perché è formato di due sostantivi di genere diverso: pesce(maschile), spada (femminile). Per quanto attiene al vocabolario Gabrielli, non è la prima volta che i "revisionisti" contraddicono il Maestro (che si starà rivoltando nella tomba). L'insigne linguista scomparso scrive infatti, nei suoi pregevoli volumi, "Dizionario Linguistico Moderno" e "Si dice o non si dice?", che il plurale di pescecane è pescecani.

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Uno strafalcione ortografico che si perde nella notte dei tempi e duro a morire: colluttorio. La grafia corretta è con una sola "T" (la colluttazione non c'entra nulla) perché viene dal latino "collutus", participio passato di "colluere" (sciacquare).



 

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lunedì 18 settembre 2023

Spigolature linguistiche

 


D'intorno o dintorno?

Crediamo di fare cosa gradita ai gentili lettori, che seguono le nostre modeste noterelle, spendere due parole su una… parola che può essere tanto avverbio quanto sostantivo: dintorno. Quando è in funzione avverbiale, con il significato di “intorno”, “da ogni parte”, “tutto in giro”, si può anche scrivere con la “d” apostrofata (d’intorno): gli sedevano tutti dintorno/d’intorno per festeggiarlo. Quando, invece, è in funzione di sostantivo e vale “vicinanza”, “luogo vicino”, la grafia deve essere tassativamente univerbata e si usa, per lo piú, nella forma plurale: i dintorni di Roma; il mio amico abita nei dintorni.

Lo sputapepe

Abbiamo notato che non tutti i vocabolari dell'uso attestano questo termine, che si riferice a una persona dalla parlantina facile, arguta ma petulante. I dizionari che lo registrano lo danno come sostantivo invariabile. No, il vocabolo, riferito al maschile, si pluralizza normalmenteuno sputapepe, due sputapepi. Segue, infatti, la regola della formazione del plurale dei nomi composti. Tale regola stabilisce che un sostantivo composto di una voce verbale (sputa) e un sostantivo maschile singolare (pepe) nella forma plurale cambia regolarmente. Resta invariato solo se si riferisce a un femminile: Giovanna è una sputapepe; Luisa e Anna sono delle emerite sputapepe.


Ultra

Questo termine viene adoperato nel linguaggio politico e sportivo per indicare gli estremisti di un partito o di una squadra. Consigliamo di scriverlo, in buona lingua italiana, senza accento sulla "a" e senza la "s" finale, anche se  quest'ultima forma è invalsa nell'uso. Il vocabolo deriva dall'avverbio latino "ultra" (oltre, al di là, di piú) trasportato in italiano come sostantivo maschile invariabile.

Sguainare

Il verbo "sguainare" - contrariamente alla pronuncia diffusa e ritenuta, quindi, corretta -  ha l'accentazione sulla "i", non sulla "a": io sguaíno. Il motivo va ricercato nel fatto che è un verbo denominale, proviene, cioè, dal sostantivo "guaína" (fodero, involucro, custodia). E questo dal latino "vagína" (con l'accento sulla "i"). I Latini dicevano: "gladium e vagína educere" (estrarre la spada dalla guaína). Non capiamo, quindi, come abbia potuto "prender piede" la pronuncia errata.

Beninteso e ben inteso

Due parole su questo avverbio e aggettivo, che si può scrivere in grafia unita o staccata (i vocabolari non fanno distinzione alcuna).  In funzione avverbiale, con il significato di “certo”, “certamente”, “naturalmente” e simili si scriverà rigorosamente in grafia unita: tutti, beninteso (naturalmente), dovrete rispondere delle vostre azioni. Si scriverà in grafia scissa o unita quando è adoperato in funzione aggettivale con il significato di “opportuno”, “con discernimento”, “a proposito” e simili: una benintesa elemosina non è mai offensiva. Sempre in grafia scissa, ovviamente, quando il termine ha valore schiettamente verbale: se ho ben inteso, non verrete alla cerimonia.

 

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La lingua "biforcuta" della stampa

Tredicenne travolto e ucciso da un’auto pirata mentre attraversava la strada davanti casa. Rintracciato il mezzo, ma il conducente è scappato

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Molto meglio, come suggerisce la Crusca, davanti a (alla) casa.


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sabato 16 settembre 2023

Sul plurale di purosangue

 


Abbiamo inviato questa "elettroposta" alla redazione del vocabolario Treccani in Rete circa la variabilità del sostantivo purosangue. Tutti i vocabolari, e lo stesso Treccani, non ammettono il plurale: il purosangue/i purosangue. Il sostantivo in oggetto, invece, può prendere, benissimo, la regolare forma plurale (i purosangui), anche se di uso raro, come si evince dalle numerose e autorevoli pubblicazioni. Se il nostro suggerimento sarà accolto, il vocabolario Treccani sarà l'unico (?) ad attestare anche la regolarissima forma plurale. Dal Treccani in Rete:

purosàngue agg. e s. m. [comp. di puro e sangue], invar. – 1. Detto di animali, spec. cavalli, di razza pura, per distinguerli dagli ibridi, o mezzosangue: cavallo p., o semplicem. un purosangue, come sost. 2. Per estens., e per lo più scherz., riferito a persona: è un torinese, un siciliano p., ecc., appartenente a famiglia che da molto tempo risiede a Torino, in Sicilia, ecc., o, con uso fig., che ha tradizioni, costumi, sentimenti tipicamente proprî di quella città o regione.

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Cortese redazione Treccani, suggerisco un emendamento al lemma ‘purosangue’ attestando, accanto all’invariabilità, anche il plurale, raro, purosangui. Detto plurale è immortalato in vari testi e nel libro “Parlare italiano” del linguista Leo Pestelli. QUI

 Cordialmente

Fausto Raso

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La lingua "biforcuta" della stampa

Oggi, al contrario del passato, pochi giovani militano nelle fila dei vari partiti.

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Correttamente: nelle file (non 'fila'). Qui. Si veda anche qui.


 

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giovedì 14 settembre 2023

Sgroi - 157 - Il "Manuale di Linguistica italiana" di Elvira Assenza - Fabio Rossi - Fabio Ruggiano



di Salvatore Claudio Sgroi


 1. Novum librum habemus!

Diciamo subito che il Manuale di Linguistica italiana, di Elvira Assenza - Fabio Rossi - Fabio Ruggiano, Milano, Pearson 2023, pp.xii-400, è un ottimo testo per gli studenti universitari della triennale e della magistrale, aggiornatissimo come emerge anche dalla ricca bibliografia (pp. 363-76), e con spazio notevole rispetto ad analoghi manuali dedicato a "Parlato, scritto, mediale" (cap. 8), e ancora particolarmente attento alla comprensibilità come emerge dai "Riepiloghi" alla fine dei 24 capp. e al glossario con definizione di molti tecnicismi (pp. 377-400).

 

2. Tra approccio sincronico e approccio diacronico

Il Manuale è organizzato in prospettiva sincronica -- (Parte 1 "Aspetti strutturali" in 6 capp. La struttura della lingua, Fonetica e fonologia, Morfologia, Lessico, Sintassi, Semantica, Parte 2 "Aspetti testuali" in 2 capp.: Testualità, Parlato, scritto mediale" e Parte 4 "Le varietà diatopiche del repertorio linguistico italiano" in 5 capp. Variazione diatopica, I dialetti d'Italia, Gli italiani regionali, Minoranze linguistiche in Italia, L'italiano popolare) -- e in prospettiva storico-diacronica (Parte 3 "Storia della lingua e grammatica storica" in 11 sintetici capp.: uno "Dal latino volgare all'italiano" e dieci per la storia della lingua da "I primi testi 'italiani, al Duecento, al Novecento e il Duemila)".

 

3. Alcune novità del Manuale

Nella eccellente caratterizzazione del linguaggio verbale e non verbale (cap. 1) con riferimento alla linguistica saussuriana e alla "doppia articolazione" martinetiana, un cenno poteva forse essere fatto alla cosiddetta "onnipotenza semantica" o "onniformatività", ovvero alla possibilità di poter dire con le parole (verbalizzare) tutto, in maniera peraltro sempre perfettibile.

Nel cap. 2 su "Fonetica e fonologia" e grafematica il valore fonologico della lunghezza consonantica es. pala/palla (p. 21) andava invero sottolineato. Il lettore non troverà in tale cap. l'analisi della "interpunzione", che è stata invece molto opportunamente inserita nel denso cap. 7 sulla "Testualità", vista la funzione sintattico-testuale e non solo fonologica della punteggiatura (pp. 168-70). Contro ogni posizione neopuristica il Manuale si sofferma sia sulla "virgola tematica" (es. Io, non ci voglio parlare p. 105), ma stranamente sorvola sulla "virgola pesante", quella cioè che separa un soggetto con espansione sintattica dal suo predicato (es. Mio padre che aveva 90 anni, è morto tempo fa). Anti-puristicamente lo stesso testo analizza il "Punto anomalo" (p. 169), o per meglio dire "enfo-punto", es. Non è solo la festa di D. È anche la vostra con la funzione di indicare un "notevole risalto comunicativo".

Nel cap. 3 sulla "Morfologia" flessiva e lessicale, eccellente è tra l'altro riguardo al genere grammaticale la distinzione (pp. 37-38) tra "nomi indipendenti" (es. uomo/donna), "nomi ambigeneri" al singolare (ess. il/la collega, i colleghi/le colleghe), "nomi comuni" al singolare e al plurale (ess. il/la nipote, i/le nipoti), "nomi promiscui o epiceni" (ess. la spia 'uomo/donna', la giraffa 'maschio /femmina'), "nomi di genere mobile" (pp. 39-40) (ess. bimbo/a, pittore/pittrice, leone/leonessa). Da sottolineare comunque la funzione prioritaria del genere, che è quella dell'accordo ai fini della coesione sintattica, e secondaria quella di indicare nei nomi animati il sesso biologico, ovvero la "corrispondenza tra genere grammaticale e genere inerente" (p. 37), peraltro con eccezioni es. il soprano s.m. ma con referente femminile ('donna').

Nella nitida analisi della "morfologia lessicale" (pp. 59-68), ex è collocato, come si legge anche in altri testi, tra i "prefissi [...] diventati autonomi", es. ho incontrato la tua ex. Ma in realtà il morfema lessicale ex è l'abbreviazione di ex-moglie, ex-fidanzata. Il s.f. convalida non è deverbale da convalidare (p. 60), ma piuttosto denominale da convalidazione, un es. cioè di "sottrazione di morfema". Ovvero il rapporto fra i tre lessemi è di derivazione "a catena": convalidare (av. 1540) >      convalidazione (av. 1556) >      convalida (1941), e non già di derivazione "a raggiera" (p. 66)                  

  > convalidazione

         convalidare

                       > convalida

 

Nel ricco cap. 5 sulla "Sintassi", presentata nelle diverse teorie: generativista, valenziale-tesnieriana (argomenti, circostanti, espansioni), pragmatica (frasi marcate), frasi argomentali, relative, avverbiali-circostanziali ecc., fa piacere tra l'altro osservare la distinzione tra l'oggetto preposizionale animato post-verbale tipico dell'italiano regionale meridionale (per es. Ho chiamato a Mario p. 98, chiama a Mario p. 345), normativamente giudicato "molto trascurato" (p. 98) e lo stesso oggetto ma preverbale tipico dell'italiano standard, es. A me la tua spiegazione non mi ha convinto, che vale pragmaticamente 'Quanto a me, la tua spiegazione non mi ha convinto'.

Molto ricco e ben articolato è il complesso cap. 7 sulla "Testualità". Particolarmente fluido il cap. 20 su "La variazione diatopica", dove si distinguono tra l'altro con E. Coseriu i "dialetti primari, secondari ('italiani regionali' p. 396) e terziari" (pp. 313-14, 341) e dove i "dialett[al]ismi" (a livello diacronico) ovvero ex-regionalismi ess. passamontagna, buonuscita sono opportunamente distinti (pp. 77-78, 339) dai "regionalismi" (a livello sincronico) ess. entro la biancheria (p. 345), villa 'giardino pubblico' (p. 348). Una rapida carrellata sono i 10 capp. sulla storia della lingua italiana dall'VIII sec. all'800 (pp. 231-89). Sullo stesso tema un recentissimo e originale manuale è ora costituito dal Profilo storico della lingua italiana di Rita Librandi (Carocci, Roma 2023, pp. 445).

 

4. Il congiuntivo

Numerosi sono i luoghi in cui il Manuale si sofferma sul congiuntivo. Andava forse chiarita subito la distinzione tra il congiuntivo con valore semantico nelle frasi principali (ess. entri pure, volesse il cielo p. 92; it. merid. venisse 'venga' p. 345) e il congiuntivo con valore puramente sintattico (a-semantico) nelle frasi dipendenti (pp. 115-17). Ma nel Manuale si oppone "l'indicativo, che esprime perlopiù certezza (il tempo fugge)" al "congiuntivo, che esprime per lo più possibilità (temo che fugga)" (p. 55).

A p. 114 si legge anche che "La proposizione relativa richiede il modo indicativo [...]. Può prendere il congiuntivo per esprimere una sfumatura semantica speciale, di solito consecutivo-finale", es. Luca ha bisogno di un amico che lo aiuti nel lavoro [= 'tale che lo possa aiutare' o 'perché lo aiuti']" (p. 114). In realtà il valore consecutivo dipende non dal congiuntivo ma dal relativo che.

Peraltro nello stesso testo si accenna en passant anche all'alternanza indicativo / congiuntivo dell'italiano medio (registro informale il primo, formale il secondo): "L'indicativo [...] nella lingua d'uso medio in molti contesti in cui il congiuntivo sarebbe possibile e persino più in linea con le convenzioni d'uso di questo modo" (p. 97), ess. Immagino che (tu, lui, lei) venga, Immagino che vieni/viene. Ovvero si parla della "preferenza per il modo indicativo nelle subordinate che possono avere anche il congiuntivo, molto spiccata nel parlato informale e mediamente formale, più moderata nello scritto formale, e persino in quello informale" (pp. 186-87). Ancora (con una punta di neopurismo) si sottolinea la "iperestensione dell'indicativo a scapito del congiuntivo" (p. 297) nell'italiano dell'uso medio, l'imperfetto "ipotetico-controfattuale" (p. 58) es. se tirava in porta segnava 'se avesse tirato in porta, avrebbe segnato'; "il congiuntivo (che molti erroneamente, [...] vorrebbero utilizzato sempre, anche laddove l'uso dell'indicativo è ed è sempre stato perfettamente corretto)" (p. 299).

 

5. Normativismo

L'aspetto normativo di stampo puristico nel Manuale è molto contenuto. Condivisibilmente si giudica "substandard" (p. 51) il che relativo indiretto in ess. come La casa ha una terrazza che [ = di cui] si può ammirare il panorama, C'era quel ragazzo che gli [= a cui] avevo chiesto di uscire. Non meno condivisibile è quanto si legge nel cap. 24 sull'"italiano popolare", invero non "sgrammaticato" (p. 353) ma caratterizzato da una peculiare grammatica, ess. cong. morfol. vadi (p. 355), il superlativo il più migliore (p. 356), il paese che ['in cui'] sono stato domenica scorsa (ibid.), periodo ipotetico col doppio condizionale o col doppio congiuntivo (ibid.), ecc., "lingua selvaggia" (p. 358) ancora esistente, al di là delle opinioni di linguisti francesi come Gadet 2003.

Esagerato ci sembra invece sostenere che "infrangono regole flessibili" (p. 83) frasi come Luca arrivava domani 'sarebbe arrivato', propria dell'italiano medio (o neostandard), giudicata "scorretta" (ibid.), ovvero con valore "potenziale" (p. 58) es. doveva ['sarebbe dovuto'] arrivare prima, "epistemico" es. ordinavano ['avrebbero ordinato'] di sicuro il pesce, ma c'era solo carne, "retrospettivo" es. dovevo ['avrei dovuto'] seguire il tuo consiglio

Analogamente non condivisibile è ritenere "italiano parlato di registro medio-basso" (p. 47) esempi col partitivo ("ampiamente diffusi") come Si sono messi in delle situazioni difficili, Cammina su dei tacchi altissimi, quando si tratta di "italiano medio" tout court. Non poco contraddittoria ci sembra da un lato l'analisi della "virgola tematica" (p. 169), di cui sopra, es. Io, non ci voglio parlare (p. 105) e dall'altro affermare che "nello scritto, però, il corrispondente inserimento della virgola comporta la separazione del oggetto dal predicato, considerata un errore" (ibid.).

Per contro è attribuito all'"italiano dell'uso medio" (p. 114) una frase come la seguente che ci sembra invece tipica dell'italiano popolare: Sono stufo di questo problema che ci [= a cui] sto lavorando da tre ore.

 

6. Conclusione

Condivisibilmente con gli AA. riteniamo che "Gli errori più gravi e diffusi riguardano la gestione della coerenza e della coesione nei testi, anche brevi" (p. 299).

 

Sommario

1. Novum librum habemus!

2. Tra approccio sincronico e approccio diacronico

3. Alcune novità del Manuale

4. Il congiuntivo

5. Normativismo

6. Conclusione




 

 


martedì 12 settembre 2023

"*Cospiquo" e "*profiquo"


 Non ci stancheremo mai di ripetere che ciò che si trova in Rete -- soprattutto per ciò che attiene alla lingua italiana -- va preso con le pinze, come usa dire. 
Abbiamo avuto bisogno di un cardiotonico alla vista di simili orrori: cospiquo e profiquo. Forse è il caso di ricordare che ambi (sic!) gli aggettivi provengono dal latino in cui "è presente" la consonante "c". Correttamente, quindi: cospicuo e proficuo. Riguardo agli orrendi strafalcioni si veda qui e qui.

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Colui (che)

Probabilmente ci attireremo gli strali di qualche linguista se sosteniamo che non è scorretto l'uso di colui (o colei) - in funzione di soggetto e di complemento - non seguito dal pronome relativo (colui che, colei che). Abbiamo l'avallo di Luciano Satta, che riporta gli esempi di autorevoli scrittori: «- Buon giorno - disse colui scappellandosi...» (Bacchelli); «... Ella ha amato a tal punto colei da poter quindi pronunciarsi» (Santucci).



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mercoledì 6 settembre 2023

Una locuzione errata e ridicola


A
bbiamo notato che tutti coloro che recensiscono libri scritti da due autori usano l'espressione "scritto a quattro mani". Locuzione errata quanto ridicola. Ci sono delle persone che adoperano due mani per scrivere (non prendendo in considerazione la macchina per scrivere o, oggi, il computiere
, "aggeggi" per i quali si usano due mani)? Chi scrive a mano, quante mani adopera? Una. Un'opera scritta da due autori, quindi, è un'opera scritta "a due mani". Vediamo dal nuovo vocabolario De Mauro in linea la differenza che intercorre tra le espressioni "a due mani" e a "quattro mani".

a due mani

loc.avv. CO loc.agg.inv., di opera, scritta, composta insieme da due persone: romanzo a due mani | loc.avv., con il contributo, l’intervento di due persone: il libro è stato scritto a due mani.

a quattro mani

di brano per pianoforte, suonato contemporaneamente da due esecutori; anche loc.avv.: suonare a quattro.











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lunedì 28 agosto 2023

Sbagliare è umano ma 'imperversare' è diabolico

 Il linguista Massimo Arcangeli "analizza" l'italiano del libro scritto dal generale Roberto Vannacci.

QUI

 Correggiamo i primi tre strafalcioni:

"Suon di politici" in luogo di fior di politici;

"Imperversare" invece di perseverare;

"Spiaccicano" al posto di spiccicano (anche se non è un buon italiano).

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La lingua "biforcuta" della stampa

Riacquisire voce ed espressioni facciali grazie a un interfaccia cervello-computer. È stato possibile per Pat Bennett, grazie ai risultati di una sperimentazione portata avanti dai ricercatori dell'Università della California. Lo studio su Nature

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Secondo la norma grammaticale: un'interfaccia (con l'articolo indeterminativo femminile apostrofato). Riacquisire? Riacquisisce.


sabato 26 agosto 2023

Whisky e whiski: quale grafia?


N
el nostro volume "S.O.S. Scrittura" si legge: Whisky, voce inglese di provenienza irlandese, 'uisce beatha' ("acqua di vita"). Improvvido qualsiasi tentativo di italianizzazione. Ma navigando in Rete, con sorpresa, ci siamo imbattuti nella grafia "whiski", con la seconda "i" normale.

 


Interno di un bar di Edimburgo


L'Italia che scrive: rassegna per coloro che leggono, ...

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Il whiski è vivo nel libro, come è vivo quando lo si gusta. Tutto un mondo ruota attorno al prezioso liquido, dalla produzione dei due tipi fondamentali, alla miscelazione, alla vendita. Non fu sempre facile la vita del whiski , di cui si ...

 A questo punto siamo disorientati. La grafia "whiski" (con la seconda i normale) è errata o no? Chiediamo lumi a qualche illustre anglista.




 






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Una sottigliezza linguistica

La testa e il capo - nell’uso corrente - sono sinonimi; tuttavia c’è - a voler sottilizzare - una piccola differenza. Con il termine “capo” ci si riferisce piú spesso all’anatomia umana, mentre con quello di “testa” ci si può riferire tanto all’anatomia dell’uomo quanto a quella degli animali. Inoltre nelle espressioni di uso comune e in quelle adoperate in senso figurato i due termini (testa e capo) hanno, talvolta, usi completamente distinti e non sempre sono interscambiabili nella medesima proposizione. Qualche esempio. Ricevere un colpo tra capo e collo (e non “tra testa e collo”); andare a testa alta (non “a capo alto”); fare a testa e croce (non “a capo e croce”); testa di rapa (non “capo di rapa”); essere in capo al mondo (non “in testa al mondo”); venirne a capo (non “a testa”); andare a capo; capo d’aglio ecc. Testa e capo, insomma, non sono sinonimi assoluti: occorre tenerlo presente, quando si scrive.


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giovedì 17 agosto 2023

Il suffisso -ale


 Riproponiamo un nostro intervento del 29 agosto 2020

Dal vocabolario Treccani in rete:

-ale. – Suffisso usato nella terminologia chimica per indicare la presenza, in un composto organico, di un gruppo aldeidico, come in citrale, geraniale, ecc.

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Riteniamo sia il caso di ampliare la "dicitura" del lemma in oggetto perché il predetto suffisso (anche "-iale" e "-uale), dal latino "alis", serve principalmente per la formazione di aggettivi derivati da sostantivi che indicano uno stato, un'appartenenza, una condizione, una relazione: autunnale, collegiale, intellettuale ecc. Si usa anche per formare sostantivi derivati da altri sostantivi: viale, portale, grembiale. Si adopera anche, con valore "accrescitivo", in alcuni sostantivi denominali maschili: piazzale. Certi che la nostra segnalazione sarà tenuta nella dovuta considerazione dai responsabili del prestigioso vocabolario.

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Abbiamo segnalato, di nuovo, il "caso" alla redazione. Vedremo gli sviluppi.


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La lingua "biforcuta" della stampa

Mara Venier, il ritorno a Roma dopo le vacanze in Repubblica Domenicana: «Bèccate sto tramonto»

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Alcuni  operatori dell'informazione dovrebbero ripassare (se non studiare) oltre alla  lingua di Dante anche la geografia. La repubblica in questione si chiama Dominicana (non ha nulla che fare con la domenica).












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Le accademie militari più prestigiose del mondo

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Quanto è "prestigioso" il mondo? Lo sanno solo gli operatori dell'informazione.



 (Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauraso@hotmail.it)

martedì 15 agosto 2023

Buon Ferragosto

 Un sereno Ferragosto alle amiche e agli amici che amano la lingua di Dante e di Manzoni (e aborriscono dai barbarismi, sempre più dilaganti, che inquinano l'italico idioma).




(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauraso@hotmail.it)



giovedì 10 agosto 2023

Sgroi - 156 - Sulla "nuova filosofia" della neo-lessicografia

 


di Salvatore Claudio Sgroi

 

1. Un auspicio (difficilmente realizzabile)

Il lettore Teo si auspica da parte mia, dopo quella del Devoto-Oli 2023, del 18 luglio, "anche una recensione del Nuovo Treccani 'monovolume'" (2022).

Che io possa recensire il "Nuovo Treccani 'monovolume'" a c. di G. Patota - V. Della Valle (c. 1000 pagg.), tutto votato alla "parità di genere" con lemmi indipendenti dei lessemi maschili e femminili, lo escludo perché dovrei comprare un testo costosissimo (credo 300 euro), non inviato in saggio dall'editore per recensione.

 

2. Una "nuova filosofia" lessicografica della Treccani

Che questo testo rientri in una "nuova filosofia che vorrebbe diffondere le opere lessicografiche della Treccani a tutti i livelli di istruzione e cultura", come ricordato dal lettore Teo, stando agli informatori in occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino 2023, è invero ampiamente contraddetto dal costo non indifferente del vocabolario.

 

2.1. Una politica "democratica"

Una politica invece 'democratica' è stata quella perseguita dalla Treccani del direttore Massimo Braj nel precedente ventennio, con la pubblicazione del Dizionario Treccani a c. di R. Simone (2003, 2009), monovolume, costo 60 euro, o con la straordinaria Enciclopedia della lingua italiana a c. di R. Simone-G. Berruto- P. D'Achille 2011, monovolume, costo (solo) 60 euro (ora anche in rete).

 

3. Lemmario (ridotto) del Nuovo Treccani

Il rilievo ampiamente critico da parte di Teo, docente di filosofia, riguardo al lemmario del Nuovo Treccani, con censura di non pochi termini filosofici come aporia o falsificazione, o ancora olismo, o di linguistica come semiosi, semasiologia, paragrafematico, monema, prefissoide e suffissoide ecc., non può che essere condiviso. E tale censura non è certamente giustificata dalla novità (di superficie) di lemmatizzare i sostantivi maschili e quelli femminili. 




 

lunedì 7 agosto 2023

La vigilessa? Per carità!


S
iamo rimasti basiti -- per usare un termine, oggi, tanto di moda -- consultando il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, al lemma vigile:

vigile [v&Jile] agg. e s. m. e f. — come sost., femm. vigilessa [viJil%SSa], ma anche (e meglio, quando non sia scherz. o spreg.) (la) vigile.

 Nonostante tutti i linguisti e la stessa accademia della Crusca "condannino" il femminile vigilessa (la forma femminile corretta è la vigile), il predetto dizionario lemmatizza quella errata addirittura come prima occorrenza. Lo stesso dizionario cartaceo, nell'edizione del 1981, non menziona il femminile "vigilessa" ma scrive: "Vigile, aggettivo e sostantivo maschile". Ci auguriamo che i responsabili del dizionario rimedino all'orrore.

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La lingua "biforcuta" della stampa

Trovata la medusa più antica del mondo: nuotava prima che comparissero i dinosauri

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È nata prima la medusa e poi il mondo? I "massinformisti" (operatori dell'informazione) ne sono certi.

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Balenottera azzurra morta trovata spiaggiata sulla costa: è il mammifero più grande della Terra

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Senza commento, per non ripeterci.

 

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I suoi proprietari muoiono sotto le bombe a Mariupol, il cane sopravvive 49 giorni senza cibo e acqua. Ora rivede in Italia la figlia della coppia scomparsa

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Correttamente: senza cibo acqua. Quando si escludono due (o più) cose la congiunzione correlativa corretta (a senza) è né.

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Nuovi escamotagi per truffare gli anziani: ecco cosa è successo ieri nell'ultimo episodio

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Correttamente: nuovi escamotage. L'adattamento italiano di questo termine barbaro (francese) è escamotaggio il cui plurale, naturalmente, è escamotaggi. Quindi o si usa il barbarismo corretto o si italianizza. Luciano Satta si starà rivoltando nella tomba.














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giovedì 3 agosto 2023

"Indubbiare"


 Una provocazione linguistica indirizzata ai lessicografi (o vocabolaristi) perché lemmatizzino un neologismo lessicale: indubbiare (non-dubbiare), vale a dire non mettere in dubbio, non dubitare. Poiché questo verbo è inesistente nel lessico italiano si deve ricorrere a perifrasi per esprimere l'idea di indubitabilità. Con somma sorpresa -- "interrogando" Google -- abbiamo visto, invece, che il predetto verbo (indubbiare) esiste ed è immortalato in numerose pubblicazioni (anche di autori... autorevoli). Perché, dunque, non (ri)dargli il posto che merita nei vari dizionari dell'uso?

PS:. Abbiamo scoperto, sempre con sorpresa, che il verbo in oggetto è a lemma nel vocabolario del De Mauro e in quello del Tommaseo (registrato come desueto), con l'accezione, però di "dubitare", "mettere in dubbio" e simili. Essendo un verbo desueto si potrebbe, quindi, "riesumare" e lemmatizzarlo con un altro significato (neologismo semantico): non dubitare, non mettere in dubbio e simili: i giovani non dovrebbero indubbiare le parole degli anziani, avendo, questi ultimi, una maggiore esperienza.

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La lingua "biforcuta" della stampa

VIOLENZA SULLE DONNE

Picchia la ex e il figlio in strada e spintona vigilessa che finisce in ospedale

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Speriamo che prima o poi gli operatori dell'informazione si rendano conto che il femminile di vigile è... vigile, muta solo l'articolo: il vigile, LA vigile. In proposito siamo rimasti esterrefatti  consultando  il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, alla voce in oggetto. Riportiamo anche la "Nota d'uso" di "Sapere.it": Il nome vigile, secondo le normali regole della lingua italiana, è maschile o femminile secondo se si riferisce a uomo o a donna: il vigile, la vigile. È in uso anche vigilessa, che però può avere anche tono scherzoso o valore spregiativo, come tradizionalmente hanno avuto diversi femminili in -essa. Alcuni poi preferiscono utilizzare il nome vigile al maschile anche per una donna. Si tratta di una scelta che non ha basi linguistiche, ma sociologiche, e che comunque può creare, nel discorso, qualche problema per le concordanze. Il vigile urbano può avere nomi diversi a livello regionale: per esempio ghisa a Milano (per allusione scherzosa al cappello alto e rigido della divisa tradizionale), civico in alcune regioni dell’Italia settentrionale e pizzardone a Roma. Si tratta però di denominazioni antiquate, sempre meno usate se non quando si vuol fare del “colore locale”.