venerdì 31 marzo 2023

Le malAfatte e le... malEfatte


Il sostantivo "malafatta" o "malefatta", che significa "errore morale", "cattiva azione" e simili, presenta -- ad avviso di chi scrive -- due plurali: malafatte e malefatte. Il primo segue la regola del plurale dei nomi composti di un aggettivo (mala) e di un sostantivo (fatta, nell'accezione di azione, comportamento) e i nomi così formati nel plurale mutano la desinenza del sostantivo: malafatte. E questo plurale si trova in alcune pubblicazioni. Il secondo, malefatte, di gran lunga più adoperato, si ha perché si dà a "male" un valore avverbiale (malamente) e gli avverbi -- come si sa -- sono invariabili. Da malefatta abbiamo, quindi, il plurale malefatte. Attendiamo, come sempre, gli strali di qualche linguista. Ma tant'è.

***

La lingua "biforcuta" della stampa

IL BANDO

Veterinari cercasi: disponibili nei festivi e di notte. Il compenso? Meno di 800 euro

----------------

Correttamente: cercansi (o si cercano). Non è un "si impersonale", ma "passivante".

 

 *

La storia del "Polizeiregiment" e dell'agguato di via Rasella che scatenò la vendetta nazista e l'eccidio delle Fosse Ardeatine

------------------

Correttamente: con l'eccidio.

 

 

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)

giovedì 30 marzo 2023

Friúli, non Fríuli (con accentazione piana, non sdrucciola)


A
bbiamo sempre denunciato la “pochezza linguistica” di taluni mezzibusti televisivi ai quali viene affidata la conduzione dei telegiornali, pagati con i soldi dei teleutenti i quali, appunto perché pagano, hanno il sacrosanto diritto di pretendere un’informazione… corretta, sotto il profilo linguistico, intendiamo. La faziosità è sempre in agguato, e in questa sede non c’interessa. C’interessa, dicevamo, la correttezza linguistica, nella fattispecie la corretta accentazione delle parole. Molto spesso, per non dire sempre, i giornalisti radiotelevisivi pronunciano il nome della regione friulana, Friúli, con l’accento sulla “i” invece che sulla “u”. La pronuncia corretta è, dunque, quella piana (accento sulla “u”) perché si deve rispettare l’origine latina del nome, che risale al «Foru
m Iulii», l’antica denominazione dell’odierna Cividale. I mezzibusti televisivi che continuano, imperterriti, a pronunciare il nome della regione con l’accentazione sdrucciola, ossia con l’accento sulla “i”, dimostrano, quindi, di non conoscere né la geografia né – cosa ancor piú grave – la lingua italiana. Che qualche cosí detto scrittore di grido abbia usato e usi tuttora la pronuncia sdrucciola non giustifica affatto la ritrazione dell’accento, che si deve considerare, “a tutti gli effetti di legge linguistica”, assolutamente arbitraria. Come abbiamo sempre sostenuto – e sosteniamo – non è detto che gli scrittori e i giornalisti siano/sono anche valenti… linguisti.

***

Infinocchiare

"Non ti fare infinocchiare", vale a dire -- come si sa -- non ti fare ingannare. Non tutti, forse, sanno come è nata questa locuzione. Vogliamo 'scoprirla' assieme?
Nel periodo medievale gli osti veneti, in particolare quelli veneziani, erano soliti offrire ai loro clienti dei rametti di finocchio prima di servire loro del vino di pessima qualità. Cosí facendo erano sicuri che gli avventori non si sarebbero accorti del vino... “scadente”. Il forte aroma del finocchio, infatti, ingannava il palato, e l’ospite veniva così “infinocchiato”, ingannato, perché è risaputo che il finocchio, particolarmente quello selvatico, ha il “potere” di camuffare il sapore delle bevande e dei cibi.

 

 


 

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)


martedì 28 marzo 2023

Ma quanti grottesi!

 


Il demotico grottese designa l'abitante (o il nativo) di tre comuni italiani: Grottaminarda, in Campania; Grottazzolina, nelle Marche e Grotte, in Sicilia. Quando si parla di un grottese, dunque, senza un contesto, come si fa a sapere a quale abitante dei su menzionati comuni ci si riferisce? Non sarebbe il caso che gli addetti alla coniazione degli etnonimi trovassero un modo per disambiguare? Chi scrive proporrebbe, sommessamente, di lasciare l'aggettivo grottese al solo abitante del comune di Grotte, in provincia di Agrigento e di ridenominare "grottaminardense" chi abita nel comune campano. Il toponimo, infatti, è trasparente essendo composto del sostantivo grotta con l'aggiunta del nome medievale di persona Maynardus (il 'proprietario' della grotta?). Chiameremo, altresì, "grottazzolano" chi abita nel paese marchigiano, il cui toponimo, anche in questo caso, è chiaro: grotta più l'antroponimo, sembra di origine teutonica, Azzo (e anche qui il 'proprietario' dell'antro?).





***

Somigliare

Riteniamo utile ricordare che il verbo somigliare essendo sia transitivo sia intransitivo si può costruire senza la preposizione a: Gino somiglia tutto suo fratello (anche, e modestamente lo consigliamo: Gino somiglia tutto a suo fratello). La stessa regola per il sinonimo assomigliare.

Tenere

A proposito di verbi, è sconsigliabile – in buona lingua italiana – l'uso del verbo tenere con il significato di avere, possedere. Ancora: non è corretto ritenerlo sinonimo di stimare, giudicare, reputare e simili.
Le stesse considerazioni per quanto attiene alla locuzione (di uso prettamente regionale) tenere il letto, al posto di rimanere a letto e, infine, quando si usa tenére nel senso di importare, volere, desiderare.


***

La lingua "biforcuta" della stampa

E' stata la madre del piccolo, indagata a piede libero, a fare il nome di una due nigeriane che ora devono rispondere di omicidio preterintenzionale. A casa di una delle due, trovte sirignhe, medicine e la somma di oltre 4mila euro

-------------------

Questa è o non è una lingua "biforcuta"?


 *

Ospedale pedriatrico

Tiziano Onesti nuovo presidente del Bambino Gesù: ecco chi è l'ex professore di Roma Tre

-------------------

Refuso (improbabile) o crassa ignoranza?


(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)

domenica 26 marzo 2023

Sgroi - 147 - ACCADEMIA DELLA CRUSCA E CORTE DI CASSAZIONE DINANZI AL PROBLEMA DEL GENERE GRAMMATICALE DEI NOMI DI PROFESSIONE



di Salvatore Claudio Sgroi

 

1. L'evento storico

Il 9 marzo nel sito dell'Accademia della Crusca è apparsa la risposta al quesito postole dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione riguardo al problema del genere grammaticale dei titoli professionali nella scrittura degli atti giudiziari.

La risposta dell'Accademia, nel suo ruolo si potrebbe dire "di Cassazione", è stata puntuale ed equilibrata con "indicazioni pratiche" per niente "proscrizioni" o imposizione di "regole" rigide, ma al più "raccomandazioni".

 

2. Presupposto (errato) del genere grammaticale con funzione di indicazione del sesso

L'Accademia muove dal presupposto (errato) del quesito della Corte di Cassazione secondo cui il genere grammaticale (maschile/femminile) avrebbe la funzione di segnalare il sesso (maschio/femmina) dei referenti dei nomi animati personali.

Un presupposto peraltro contestato dalla stessa Accademia che richiama il riferimento a Claude Lévi-Strauss e Georges Dumézil, già indicato in un testo del 2017, per i quali il genere grammaticale ha valore "puramente [...] strutturale [...], formale, [...] estraneo alla componente del sesso". Ovvero la funzione del genere grammaticale essendo quella di garantire la coesione morfo-sintattica attraverso l'accordo ai fini della comprensione.

Il riferimento del genere al sesso è del tutto secondario, e non privo di contraddizioni, come ricordato dalla stessa Crusca nel caso dei "nomi di professione grammaticalmente femminili ma validi anche per il maschile [= referenti maschi]" ovvero i nomi "promiscui" (o "epiceni"), quali la guardia giurata (uomo/donna), la spia (uomo/donna), la sentinella (uomo/donna); la guida turistica (uomo/donna), o "i nomi grammaticalmente maschili ma validi anche o solo [...] per il [sesso] femminile, come il membro, e il soprano [donna/uomo]", ma normativamente "è accettabile anche la soprano".

 

3. Quali le "raccomandazioni" dell'Accademia della Crusca?

Quali sono le "indicazioni" fornite dall'Accademia della Crusca?

(i) "Limitare il più possibile" il "riferimento raddoppiato", potenzialmente "comico"o "inappropriato", es. cittadine e cittadini, il plurale inclusivo i cittadini essendo valido per indicare 'uomini e donne'. Ma non è ammesso, invero contraddittoriamente, il "singolare inclusivo" es. l'uomo per indicare 'l'uomo e la donna'. Il "maschile non marcato" è tuttavia ammesso nel caso p.e. "degli atti [...] controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri".

(ii) Omissione dell'art. con i cognomi di donne, es. la presenza di Rossi (e non già "della Rossi"). Comunemente si oppone invece il masch. per es. "il Sabatini (Francesco, storico della lingua) vs la Sabatini (Alma, sostenitrice della teoria sessista del genere grammaticale)", oppure "Sabatini vs la Sabatini". E tuttavia la Crusca prevede, in alternativa all'omissione dell'art., ai fini di una "maggiore chiarezza", l'uso del nome di battesimo, es. la presenza di Maria Rossi o della qualifica es. la presenza della testimone Rossi.

(iii) Esclusione dei "segni eterodossi", in quanto inesistenti nella grafia e fonia dell'italiano, quali l'asterisco es. Car* o lo schwa es. Carə per 'cari/care'.

(iv) Utilizzo "senza esitazioni" dei nomi femminili previsti dalle regole di formazione dei femminili (o "mozione") in italiano, ovvero:

 (a) "nomi mobili" con desinenza -o/-a, ess. magistrat-o/-a, prefett-o/-a, avvocat-o/-a, ecc.;

(b) "nomi mobili" con suffissi -iere/-iera, es. caval-iere/-iera (con l'eccezione del cavaliere del lavoro uomo o donna); -ore/-rice, ess. il tutore vs la tutrice, procuratore vs procuratrice; -ore/-ora ess. assess-ore/-ora, pret-ore/-ora, difens-ore/-ora, ma profess-ore vs professor-essa, commilit-one/-ona, ecc.

(v) "Nomi ambigeneri", ess. il/la collega (pl. "i colleghi vs le colleghe, ma anche il pl. inclusivo i colleghi uomini e donne), il/la giudice (pl. "i giudici vs le giudici", ma anche il pl. inclusivo i giudici uomini e donne).

(vi) Composto Pubblico ministero vs Pubblica ministera, da ricordare accanto alla sigla PM leggi /ppiemme/, ambigenere il/la PM /ppiemme/.

(vii) Nomi composti con vice-, pro-, e sotto-, ess. il vicesindaco 'uomo che sostituisce il sindaco/la sindaca' vs la vicesindaco 'donna che sostituisce il sindaco/la sindaca', il prosindaco 'uomo che sostituisce provvisoriamente il sindaco/la sindaca' vs la prosindaca 'donna che sostituisce provvisoriamente il sindaco/la sindaca', il prorettore vicario vs la prorettrice vicaria, il sottosegretario vs la sottosegretaria, il sottoprefetto vs la sottoprefetta.

Si esclude invece espressamente la ulteriore distinzione 'maschio/femmina' relativa al secondo costituente di tali composti, ovvero si esclude la distinzione tra il vicesindaco 'il vice del sindaco' 'uomo che sostituisce il sindaco' e il vicesindaca 'il vice della sindaca', 'uomo che sostituisce la sindaca'; la vicesindaco 'la vice del sindaco' e la vicesindaca 'la vice della sindaca', ecc.

Una ricerca empirica di qualche interesse sarebbe tuttavia quella di verificare in quali città e università si faccia la distinzione un pò logicistica in oggetto.











 

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)

venerdì 24 marzo 2023

Le seti e le fami? Sì, non fanno una grinza (come usa dire)


Dal sito "linkiesta.it":

Non presentano il plurale i nomi astratti (coraggio), nomi di minerali (zolfo), nomi di malattie (varicella), nomi di prodotti alimentari (latte), nomi collettivi (prole), nomi come fame, sete.

--------------

Sì, i nomi cosiddetti di massa (non numerabili) sono invariabili, non si possono pluralizzare, cioè, perché sono, per l'appunto, "non numerabili". Ma non è il caso di "fame" e "sete" (per non parlare di "latte": oggi ci sono vari tipi di latte; il sostantivo, pertanto, si può pluralizzare normalmente). La fame e la sete, dunque, possono prendere la normale desinenza del plurale: le fami e le seti. Vediamo, in proposito, il "parere" dei vocabolari che abbiamo consultato per quanto attiene al sostantivo fame. Il De Mauro, il Devoto-Oli, il Palazzi e il Treccani non specificano, il che lascia intendere che il termine in oggetto si può pluralizzare; il Garzanti, il Gabrielli e l'Olivetti attestano il plurale: le fami; per lo Zingarelli e per il DOP il plurale è raro. Solo il Sabatini Coletti (tra i vocabolari consultati) non pluralizza il sostantivo in esame. Quanto al plurale di sete non specificano il De Mauro, il Devoto-Oli, il Garzanti, il Palazzi, il Treccani, il DOP e lo Zingarelli, quindi si... pluralizza; attestano chiaramente il plurale il Gabrielli e l'Olivetti: le seti. Per il Sabatini Coletti è solo singolare. Diciamo e scriviamo, quindi, "le fami" e "le seti" senza tema di essere ripresi da qualche linguista "dissidente". 

***

La lingua "biforcuta" della stampa

ISLAM

Ramadan, come funziona il digiuno osservato da un quarto del mondo

---------------------

In buona lingua: da un quarto della popolazione del mondo.

*

IL LUTTO NELL'ARTE

Il pittore Franco Donati muore pochi giorni prima l'inaugurazione della mostra

----------------------

Sempre in buona lingua: prima dell'inaugurazione.

 

  

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)

giovedì 23 marzo 2023

Verbi "strani"

 


Come imparammo a suo tempo, a scuola, i verbi italiani si dividono in tre coniugazioni.  Appartengono alla prima i verbi il cui infinito presente finisce in "-are" (amare); alla seconda quelli il cui infinito finisce in "-ere" (credere); alla terza, infine, i verbi che terminano in "-ire" (sentire). 

     Alcuni, però, hanno una terminazione particolare in quanto si discosta da quella delle tre coniugazioni;  sono  verbi, che chiameremo "strani", il cui infinito presente finisce in "-arre", "-orre" e "-urre". Tra questi i piú comuni sono "trarre", "porre" e "condurre".  Come classificarli, dunque? A quale coniugazione appartengono? Tutti e tre alla seconda perché sono le forme contratte del latino "tràhere" (trarre), "pònere" (porre) e "condúcere" (condurre). 

    
A questi bisogna aggiungere "fare" e "dire" - entrambi appartenenti alla seconda coniugazione, nonostante qualche grammatico ("saccente") dissenta - perché anch'essi sono le forme sincopate dei verbi latini "facere" e "dicere". Qualche osservazione, ora, sui verbi (sempre della seconda coniugazione) "tacere", "piacere" e "giacere". 

    
I suddetti verbi, dunque, presentano una particolarità che la maggior parte delle grammatiche non riportano: il raddoppiamento della consonante "c" - nonostante il tema o radice ne contenga una sola - in alcune persone del congiuntivo e dell'indicativo. Perché, dunque, questo raddoppiamento improprio? La motivazione è "storica" e va ricercata nel fatto che il nostro idioma è un "miscuglio" di dialetti. La prima persona plurale del presente indicativo e congiuntivo di 'tacere' (ma anche di 'giacere' e 'piacere') - noi tacciamo - ha subíto l'influenza del dialetto meridionale che - al contrario di quello settentrionale, veneto in particolare - tende al raddoppiamento delle consonanti. Si dica e si scriva, dunque, noi 'tacciamo' nell'accezione di "fare silenzio", nessuno potrà essere 'tacciato' (accusato) di ignoranza linguistica, anzi...

***

La parola proposta da questo portale, non a lemma nei vocabolari dell'uso: burugliare. Verbo che sta per "fare rumore", "fischiare", "sibilare" e simili.


 (Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)

mercoledì 22 marzo 2023

Qualche cosa e qualcosa: il loro uso corretto


 Alcuni vocabolari classificano ‘qualcosa’ di genere femminile, altri di genere maschile, altri ancora di ambi (sic!) i generi. Vediamo un po’ di fare chiarezza. Intanto è un pronome indefinito ed è la forma contratta (o sincopata)  di ‘qual(che)cosa’ e per il suo valore indeterminato è considerato di genere neutro, quindi maschile (in italiano): qualcosa è stato fattoqualcosa non è andato per il verso giusto. In grafia univerbata, come forma contratta di qualche cosa, è preferibile, dunque, consideralo sempre di genere maschile. Sarà tassativamente femminile, invece, in grafia analitica (scissa) (cosa, infatti, è di genere femminile): qualche cosa è stata fattaqualche cosa non è andata per il verso giusto. In una parola sola (univerbata) gli alterati, che sono di genere femminile: qualcosinaqualcosettaqualcoserellaqualcosellinaqualcosuccia.


***

Sapete perché...

... la pietanza si chiama così?
Perché è un piatto che - nei secoli passati - si dava ai poveri per... pietà.

... la persona che cambia facilmente pensieri e propositi si dice volubile?
Perché – in senso figurato – può ruotare, girare, quindi cambiare (parere). Volubile è, infatti, il latino volubile(m), derivato di volvere (girare intorno, volgere) e, per tanto, mutevole, incostante.
Lo stesso volume inteso come libro, in origine, non era anch’esso un rotolo (di papiro) che si... avvolgeva? E una cosa che si avvolge, che ruota non... cambia?

... la scarsella, cioè la borsa in cui un tempo si riponeva il denaro, ha questo nome?
Perché viene proprio da scarso. È facile capire il significato ironico dato a quella piccola borsa che conteneva pochissimo denaro o addirittura nulla se il possessore era un mendicante.


 

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)

martedì 21 marzo 2023

Scendiletto e copritavolo: due pesi e due misure


S
aremmo veramente grati alla Redazione del vocabolario Treccani (in rete) se ci spiegasse per quale  motivo di carattere morfologico il suddetto vocabolario riporta il sostantivo "scendiletto" variabile (gli scendiletti) al contrario di "copritavolo" (i copritavolo), invariabile. Eppure ambi (sic!) i nomi composti sono formati da una voce verbale e da un sostantivo maschile singolare e i nomi così composti prendono la regolare desinenza del plurale. Perché, insomma, scendiletto "rispetta" la legge grammaticale e copritavolo no?

Treccani:

scendilètto s. m. [comp. di scendere e letto2] (pl. -i o invar.).

copritàvolo s. m. [comp. di coprire e tavolo], invar.

-------------

Siamo lieti di comunicare che la redazione del Treccani ha emendato la voce "copritavolo" (3/7/2023).

 

***

La lingua "biforcuta" della stampa

L'accordo

Il Pantheon diventa a pagamento: biglietto da 5 euro per entrare nella basilica. Romani esclusi

-----------------------

A pagamento si diventa? Senza parole!

*

LO STUDIO

Il raffreddore comune dà ai bambini l’immunità contro il Covid

-----------------------

Si è immune/i da qualcosa, non contro qualcosa. Correttamente: immunità dal Covid.



 

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)