venerdì 30 aprile 2021

Conciati: apposizione o attributo?

 


Da "domande e risposte" del sito Treccani:

Ho dei dubbi sull'analisi logica di alcune parole: 1. Leopardi nacque a Recanati (compl. stato in luogo) una cittadina (apposizione) delle Marche (compl. denominazione) 2. Sono rimasto (pred. verbale) in ascensore (compl. stato in luogo) bloccato (pred. verbale) 3. Finalmente (compl. avverbiale di tempo) qualcuno ti ha contattato 4. Dove (compl. avverbiale moto a luogo) andate (pred. verbale) conciati (attributo) così.

 Risposta degli esperti

 Sono rimasto è predicato nominale, bloccato è nome del predicato.

Conciati è apposizione del soggetto (sottinteso) voi.

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Conciati non può essere un'apposizione perché non è un sostantivo ma il participio passato di conciare con valore aggettivale. Quanto a finalmente non ci sembra un complemento avverbiale di tempo, ma (eventualmente) un complemento avverbiale di modo o maniera per la sua terminazione in "-mente", con il significato di "evviva" , "era ora" e simili, con valore "conclusivo".

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La lingua "biforcuta" della stampa

PORTOGALLO

Una passeggiata nel vuoto: ecco il ponte sospeso pedonale più lungo del mondo

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Ci può essere un ponte "piú lungo" del mondo? Correttamente: al mondo.





giovedì 29 aprile 2021

Rappezzatore? No, sarto


 Gentili amici, vi siete mai chiesto/ti  perché la persona che confeziona, taglia e cuce abiti per uomo o per donna si chiama "sarto"? Donde viene, dunque, questo sarto? Come sempre occorre rifarsi al latino, al tardo latino, "sartus", participio passato  di "sarcire", accomodare, rappezzare, aggiustare e simili. Oggi il sarto non "rappezza" piú i vestiti, non mette, cioè, il pezzo di stoffa che manca (rappezzo) li confeziona "ex novo". La voce, potremmo dire, ha acquisito un'accezione piú "nobile". In senso figurato si definisce rappezzatore l'autore di opere letterarie grossolanamente rabberciate.

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Dal sito "libreriamo" alcuni "test" per mettere alla prova la nostra/vostra conoscenza della grammatica italiana. 

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La lingua "biforcuta" della stampa

Casa della Resistenza di via dei Giubbonari: la gestione a un misterioso comitato che nessuno conosce

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Se il comitato è misterioso è ovvio che nessuno lo conosca/conosce.


martedì 27 aprile 2021

Considerazioni...

 


Il verbo atturare, che significa "chiudere", "otturare", ha anche un'altra accezione non "lemmata" nei vocabolari dell'uso: durare. Sembra provenga dall'iberico aturar e si trova nel TLIO (alla voce "cerca parola" si digiti 'atturare').

La quasi totalità dei vocabolari dell'uso attesta/attestano il sostantivo maschile lavamano, cioè quell' «arnese di legno o di ferro con tre piedi e un cerchia in alto, in cui si posa la catinella per lavarsi» (Palazzi), invariabile: il lavamano/i lavamano. Sí, dovrebbe essere invariato, secondo la legge grammaticale che stabilisce l'invariabilità dei sostantivi composti di una voce verbale (lavare) e un sostantivo femminile singolare (mano): il cavalcavia/i cavalcavia. Lavamano, però, non rientra in questi casi (pur essendo mano femminile) per la desinenza "-o" tipica del genere maschile. E i nomi composti con un verbo e un sostantivo maschile singolare si pluralizzano regolarmente: il passaporto/i passaporti; il lavamano/i lavamani.

Neutralizzare - Verbo bruttissimo che propriamente vale "rendere neutro", "rendere non attivo"  e di conseguenza non pericoloso. Sconsigliamo decisamente - a nostro modo di vedere - l'uso del verbo nelle accezioni di "impedire", "annullare", "rendere inutile, vano": la polizia, intervenuta tempestivamente, ha neutralizzato la rissa. In casi del genere ci sono altri verbi appropriati che fanno alla bisogna.

Due parole sul verbo "appetire" perché può essere adoperato transitivamente e intransitivamente, cambiando di significato. In alcuni tempi, innanzi tutto, si coniuga con l'inserimento dell'infisso "-isc-" tra il tema (o radice) e la desinenza: io appetisco, noi appetiamo. Usato transitivamente sta per "bramare", "desiderare vivamente": tutti appetiscono una vita agiata. Adoperato intransitivamente significa "piacere", ma soprattutto "destare appetito" e nei tempi composti può prendere sia l'ausiliare avere sia l'ausiliare essere: quel particolare cibo mi ha/mi è sempre appetito.

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 La parola proposta da questo portale: vertudiare. Verbo che vale "mostrarsi valoroso", "rinvigorirsi", "operare con valore". Derivato di "vertude".




domenica 25 aprile 2021

Colpo gobbo (fare un)

 


Questo modo di dire (e ci scusiamo se, eventualmente, ci ripetiamo) pur avendo una sola matrice, ha due significati distinti: mossa astuta e traditrice o mano fortunata nei vari giochi d'azzardo e — questo il significato principe — ottimo successo in campo finanziario di un'operazione che si riteneva desse risultati inferiori al previsto e nata, anche, da un caso fortuito.

La locuzione ci è stata regalata dal linguaggio malavitoso, dove l'espressione indicava un colpo ladresco, molto rischioso, ma particolarmente redditizio.

Da non confondere, a questo proposito, con l'altra espressione dare a uno un colpo gobbo la cui origine non ha nulla che vedere con la precedente. In questa locuzione, infatti, il colpo gobbo che, in senso figurato, indica un'azione che mira a colpire qualcuno in modo improvviso e, spesso, indiretto è l'equivalente di colpo storto lasciatoci in eredità dai duellanti di un tempo.

Storto, nel linguaggio "duellesco", era una finta, vale a dire un colpo apparentemente indirizzato in un punto e, poi, improvvisamente, deviato al fine di spiazzare l'avversario. Con significato affine si adopera l'espressione «fare uno scherzo da prete», cioè un qualcosa che non ci si sarebbe mai aspettato e che, quindi, si accetta poco volentieri vista la provenienza.

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La parola proposta da questo portale: àmburo. Aggettivo, sinonimo di entrambi, ambedue. Si rifà al latino "amborum" (tutti e due).

martedì 20 aprile 2021

In difesa della lingua italiana


Segnaliamo un articolo del dr Claudio Antonelli "In difesa della lingua italiana", pubblicato su
 "Altritaliani.net". Qui.

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La parola proposta da questo portale: illecebroso. Aggettivo aulico di provenienza latina, vale allettante, lusinghiero, seducente; tratto da "illecebra" (lusinga, allettamento, attrattiva).


domenica 18 aprile 2021

Parole rustiche di uso quotidiano

 


In piena civiltà industriale – come usa dire – adoperiamo termini che, senza rendercene conto, sono nati durante l’operosa vita del comune rustico. La lingua porta numerosi segni del periodo in cui l’occupazione primaria dell’uomo era l’agricoltura, e le città non avevano, rispetto alle campagne, posizione di assoluta preminenza.

Nella Roma repubblicana dapprima e nel declinare dell’impero successivamente – nell’operosa vita contadina – sono nate innumerevoli espressioni che ancor oggi adoperiamo. Talvolta esse sono trasparenti nel significato, basta che su queste fermiamo la nostra attenzione; talvolta, invece, è necessario ricorrere a confronti e riscontri per riconoscere o meglio per capire che esse sono nate in ambienti agricoli.

Dal mondo contadino, infatti, da una delle colture più importanti, quelle della vite, si sono tratte moltissime parole. Innanzi tutto la vite metallica, che nella sua forma riproduce i viticci attorcigliati.

Poi il foruncolo. Il termine, in latino, è un diminutivo di fur, ladro e vuol dire, per l’appunto, ladroncello. Vediamo, per sommi capi, che cosa ha in comune con il mondo agricolo questo noiosissimo e fastidioso tumoretto della pelle. Occorre tornare indietro, alla lingua latina, appunto, perché il termine discende dritto dritto dal latino furunculus, tratto da fur – come abbiamo visto – con il significato di ladruncolo.

Così chiamavano – i contadini romani – i rami secondari che rubavano inutilmente la linfa ai rami principali delle viti, rendendoli gracili e malaticci. Con il trascorrere del tempo, il furunculus, dal significato di tralcio secondario di pianta, passò a indicare, nell’uso contadino, qualunque nodo superfluo, qualunque protuberanza cresciuta sul tronco principale, e infine ogni singola gemma.

A questo punto, è intuitivo, il vocabolo passò dal campo botanico a quello zoologico; e fu detta furunculus ogni fastidiosa protuberanza della pelle. Ma non è ancora finito. Quel primitivo fur ha dato origine anche a una famiglia di parole poco raccomandabili: furto, furfante e refurtiva. Ma non deviamo e torniamo a scoprire termini che – sia pure lontanamente – ci riportano alla vita rurale dalla quale provengono.

Un tempo, come si sa, gli animali avevano un’importanza primaria nel mondo contadino, essi aiutavano l’agricoltore nei lavori pesanti come i buoi, per esempio, che instancabilmente trainavano l’aratro. Queste povere bestie, molto spesso, erano punte dai tàfani (insetto dei ditteri, molto simile alla vespa; le loro femmine si attaccavano ai bovini e ai cavalli per succhiare il sangue lasciando nella piaga, da esse prodotta, molti germi di malattie parassitarie, NdR) e il nome del piccolo animale, che i Latini chiamavano asilus, rimane nel nostro assillo.

Una persona assillante, quindi, si comporta come i tàfani, non dà tregua. I Greci davano allo stesso insetto il nome di estro. In senso figurato una persona estrosa è presa da furore provocato da una puntura di un estro. Questo vocabolo, è bene sottolinearlo, ha avuto miglior fortuna del suo collega latino asilus essendo passato a indicare non più il furore che prendeva le bestie tormentate (dall’estro, appunto) ma il sacro furore dei poeti.

E le persone ammalate che molto spesso delirano non ci riportano alla campagna? In senso metaforico, ovviamente. Presso i Romani coloro che non rigavano dritti e si allontanavano dal solco, in latino lira, deliravano. In senso figurato, per tanto, chi delira si allontana dalla realtà.

I vocaboli agricoli più numerosi, comunque, sono quelli tratti dagli alberi. Vediamo assieme i più comuni e, quindi, i più conosciuti. Quando chiamiamo il nostro corpo tronco umano confrontiamo la struttura di quest’ultimo con quella di un albero. Quando descriviamo i rapporti di parentela parliamo di radice, di ramo, di ceppo e un po’ scherzosamente di rampolli.

Dimenticavamo di parlare della cultura che non è altro che la coltura, vale a dire la coltivazione: una persona si dice colta perché coltiva, appunto, l’animo, lo spirito.

E per finire vediamo un termine agricolo che ricorre di frequente, purtroppo, in fatti di sangue: crivellato. Si legge spessissimo sulla stampa, infatti, che il bandito è stato crivellato di colpi dalla polizia. Il crivello, come si sa, è uno strumento nel quale si vaglia il grano. Crivellare di colpi vuol dire, letteralmente, fare tanti buchi quanti se ne possono vedere in un crivello.

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La lingua "biforcuta" della stampa

Il funerale è stato trasmesso in tv in Italia. una diretta seguitissima e fra queste quella di Canale 5. "Mi sembra più incurvata", ha affermato Antonio Caprarica durante la diretta del Tg 5, riferendosi alla Regina Elisabetta. Il giornalista, esperto di Royal Family, di fronte a Cesara Buonamici guarda le immagini e fa notare questo dettaglio nel corso della diretta tv nella quale Sua Maestà è apparsa distrutta per la moglie del marito.

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Non abbiamo piú alcun dubbio. L'ultimo rigo ci dà la certezza: i "massinforma" (operatori dell'informazione) non rileggono ciò che scrivono e se lo rileggono sono  "sicuri" di quello che hanno scritto.




giovedì 15 aprile 2021

Alcuni "quiz" sulla conoscenza della lingua italiana

 


Qui, alcuni "quiz" per "misurare" il livello di conoscenza della grammatica italiana.

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Palermo, titolari ristorante Carlo V prestanomi di un mafioso: arrestati

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Un plauso ai redattori addetti alla titolatura del quotidiano La Sicilia in rete:  coraggiosamente ─ e correttamente ─ hanno scritto "prestanomi". Tutti i "sacri testi" consultati (tranne il Gabrielli e lo Zingarelli)  ─ non  capiamo il motivo logico-grammaticale ritengono il sostantivo invariabile. La "legge grammaticale" stabilisce, invece, la pluralizzazione dei nomi composti di una voce verbale (presta) e di un sostantivo maschile singolare (nome). Il plurale, corretto, si trova in numerose pubblicazioni.





mercoledì 14 aprile 2021

Il cittadino non sempre è urbano


Di primo acchito i due termini (cittadino e urbano) sembrerebbero l’uno sinonimo dell’altro, derivando il primo dal latino “urbe(m)” (città), il secondo dal greco “polis” (città); entrambi significano, quindi, “cittadino”. Le cose, però, non sono cosí semplici perché sappiamo benissimo che  “urbano”, in senso stretto, significa  “che appartiene alla città”, mentre  “cittadino” – sempre in senso stretto – significa  “politico”. Nell’uso, però, i due termini hanno finito con l’essere sinonimi. Ma donde deriva la differenza di significato che i due vocaboli avevano quando sono  “nati”?

  Deriva dalla diversità di funzioni che svolgevano le città nel mondo latino e in quello greco. Nello Stato romano, accentratore e unitario, le varie città non erano delle entità  “politiche”, ma semplici agglomerati di abitazioni con limitatissime autonomie amministrative; nel mondo greco, invece, non si ebbe mai uno Stato unitario, le città corrispondevano ciascuna a un piccolo Stato autonomo e indipendente, tant’è che queste città vengono definite dagli storici  “città-Stato”. L’aggettivo  “politico” (o cittadino) acquisí, quindi, l’accezione di  “che ha rapporto con la città-Stato; mentre  “urbano” quella di  “che ha rapporto con una semplice città”. Oggi, però, come si è visto, i due lemmi si possono considerare sinonimi. Ma c’è di piú. Poiché si ritiene, a torto o a ragione, che coloro che vivono nelle città abbiano comportamenti piú  “raffinati” di coloro che, al contrario, abitano nelle campagne, il termine  “urbano” ha finito con l’acquisire anche il significato di  “educato”, “civile”, “raffinato”, in contrapposizione a  “rustico” (dal latino “rus”, campagna) e a  “villano” (da  “villa” che originariamente significava campagna). Oggi però, se possiamo esprimere un parere, non sappiamo se siano piú  “villani” i... villani o i cittadini che abitano città sporche e violente dimostrando di non essere, poi, tanto... “urbani”.

   Non possiamo concludere questa modestissima chiacchierata sul cittadino senza ricordare – sotto l’aspetto grammaticale – che questo termine può essere tanto sostantivo quanto aggettivo: come sostantivo si adopera per indicare l’abitante di una città, per l’appunto, o l’appartenente a una comunità statale (cittadino italiano, cittadino iberico e via dicendo); come aggettivo si usa per definire tutto ciò che abbia “riferimento alla città”: vita cittadina; manifestazione cittadina; negozio cittadino.

   Dimenticavamo: oltre a cittadino esiste anche  “civico”. Quest’ultimo termine, però, si riferisce a qualcosa che riguarda la città vista come ente che gode di autonomia amministrativa: ospedale civico; Palazzo civico; Civica Azienda Trasporti e via dicendo. Civico, insomma, ha, press’a poco, la medesima accezione dell’aggettivo “municipale”: Polizia Municipale.


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La lingua "biforcuta" della stampa

Trombosi celebrale dopo Astrazeneca, ragazza di 26 ricoverata al Policlinico di Milano

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Correttamente: cerebrale. Dal latino "cerebrum" (cervello).

 

 

 

 

lunedì 12 aprile 2021

Sgroi - 102 - Grammatico e/o linguista?

 


di Salvatore Claudio Sgroi

 

         1. L'evento editoriale: una bussola nel mare magnum delle scienze del linguaggio

Un titolo quanto mai pertinente quello apparso nella collana "Bussole" della Carocci: Che cos'è la linguistica di Gaetano Berruto (pp. 142, euro 12), autore ben noto di testi istituzionali (di sociolinguistica Laterza 2004, Carocci 2012; e con M. Cerruti, Utet 2015, e inoltre La linguistica, Utet 20111, 20172).

Un mini-manuale accuratissimo: non piatto, ma critico e problematico, non solo per la lettura sistematica (destinato a studenti, insegnanti ecc.), anche per la puntuale consultazione grazie all'indice dei tecnicismi e degli esempi, e per la bibliografia (anche ragionata) di oltre un centinaio di titoli selettivi per ulteriori approfondimenti.

2. Teoria linguistica e lingue del mondo

In quanto mini-manuale l'A. si propone di definire il complesso "oggetto" della linguistica generale ricorrendo a un apparato teorico-terminologico opportunamente definito e con pertinente esemplificazione minimale tratta per lo più dall'italiano contemporaneo e (p. 18) antico, ma anche da altre lingue: inglese (pp. 26-27, 53, 58-59, 81, 90, 95, 97, 103-104), latino (pp. 16, 50, 51, 53, 57-58, 103-4, 115), francese (pp. 43, 53, 81, 90, 95, 104), tedesco (pp. 58-59, 81, 90), dialetti italiani (pp. 18, 53, 90), romeno-spagnolo-portoghese (pp. 53, 104), greco-arabo-aramaico (p. 16), cinese mandarino, somalo (p. 103), mentre altre lingue sono menzionate pur senza esemplificazione in quanto tipologicamente diverse (pp. 84-85), rappresentative delle oltre 7mila lingue esistenti nel mondo (pp. 12, 40).

 2.1. Il "linguaggio" (verbale e non-verbale): oggetto delle scienze del linguaggio

Ma l'"oggetto" della linguistica è in realtà assai complesso. Cos'è il "linguaggio", verbo-orale (degli udenti) e verbo-gestuale (dei non-udenti), e non-verbale umano (naturale, sogni ecc., e artificiale, arti, ecc.) e non-umano (degli animali non-umani: zoosemiotica, delle piante: fitosemiotica, ecc.), cos'è una "lingua": sono domande che richiedono risposte complesse da parte di più discipline, a partire dalla (saussuriana) semiologia (cfr. pp. 9-11).

 2.1.1. L'"onnipotenza semantica": specifica delle lingue storico-naturali?

Non diversamente problematica è la cosiddetta "onnipotenza semantica" (o "onniformatività") delle lingue storico-naturali quale specificità del linguaggio verbale, in grado cioè di verbalizzare o "dar forma" a qualsiasi contenuto esperienziale, in maniera peraltro sempre perfettibile.

 2.2. La linguistica: scienza "molle"

La linguistica, come ampiamente illustrato da Berruto (pp. 7-34), è lungi dal presentarsi come teoria coerente, semplice e soprattutto "adeguata" e condivisa da tutti gli specialisti. Ci si trova infatti dinanzi a una varietà notevole di modelli teorici, nessuno dei quali pienamente adeguato a dar conto delle oltre su ricordate 7mila lingue attestate nel mondo, e rispetto ai quali nessun linguista è in grado di orientarsi facilmente (a volte neanche di capire) (pp. 30-33).

Berruto si sofferma quindi nel cap. 1 La linguistica che cos'è? a illustrare il carattere "biologico-naturale" e "sociale-culturale" del linguaggio umano (pp. 17-24) diversamente focalizzato secondo le scuole linguistiche, con attenzione all'ontogenesi, al formalismo e funzionalismo, alle funzioni, al centro e periferia del linguaggio, per concludere che "Il linguaggio/la lingua è allo stesso tempo uno strumento sociale che utilizza un oggetto biologico e un oggetto biologico che trova la sua estrinsecazione come strumento sociale" (p. 29). Alla fine mostra il carattere "molle" (p. 33) della linguistica rispetto ad altre discipline "dure" per es. matematica e fisica (p. 34), soffermandosi sulle varie specializzazioni e sotto-specializzazioni.

 3. Scelte teoriche del mini-manuale

A partire dal cap. 2 l'A. esplicita comunque le scelte da lui fatte illustrando (pp. 35-42) sulla scia di Saussure (pp. 9-13) la differenza tra linguistica interna e linguistica esterna (p. 36), tra linguistica sincronica, linguistica diacronica, linguistica storica e linguistica descrittiva e generale (p. 39), linguistica genealogica, linguistica tipologica (p. 42), ecc.

 3.1. Nativofono chi produce frasi "corrette" grazie a regole interiorizzate

Il linguista cerca di dar conto della "competenza" (nativa) (p. 45) dei parlanti di una lingua, esplicitando le Regole in parte innate in parte acquisite inconsciamente dall'interazione con gli altri, competenza che si realizza nella "esecuzione" (ibid.) degli infiniti usi della lingua.

Nativofono, ovvero "parlante nativo" (ibid.), è così chi ("colto, semicolto, incolto" p. 115), avendo "acquisito" (pp. 13, 45) (più che "appreso") nei primi anni di vita, nel processo di socializzazione primaria un idioma, è in grado di produrre frasi "corrette" grazie alla interiorizzazione di "regole", ben diverse, precisa Berruto, dalle "norme della corretta lingua formulate dai grammatici" (p. 45).

Le frasi "grammaticali" (p. 43) sono così distinte dalle frasi "agrammaticali" o "non-grammaticali" o "mal formate" (p. 44), ovvero innaturali (qui asteriscate), che nessun parlante nativo direbbe, o anche "impossibili" (p. 43), per es. *Maria partivano per Milano (p. 44). Ma anche le frasi giudicate scorrette dai grammatici fanno parte della competenza nativa di parlanti, per es. chiama a Pietro (p. 116) nell'italiano regionale meridionale (p. 115). O nell'italiano popolare (p. 115), aggiungiamo, il periodo ipotetico col doppio condizionale (es. se potrei lo farei) è "scorretto", "sgrammaticato" per i normativisti, ma "grammaticale", "ben formato" per i (socio)linguisti in quanto generato da precise regole da esplicitare.

 3.2. "Regole" sì e le "norme"?

Ma va anche detto che il grammatico-linguista deve esplicitare, oltre le regole, i criteri sociali per cui un enunciato, pur nativamente grammaticale, è giudicato -- normativamente -- errato. Un duplice criterio alla base di un uso "corretto" o "adeguato" potrebbe essere, per es., come abbiamo in questo blog e in altre sedi proposto, l'essere comprensibile e nello stesso tempo non tipico dell'italiano popolare, che come il citato periodo ipotetico col doppio condizionale non garantisce l'integrazione sociale.

 3.2.1. Non "sbagliato" ma "inappropriato"; ovvero "scorretto" = 'non-standard'

Su questo punto Berruto da un lato prende giustamente le distanze dal "grammatico-purista" (pp. 14-15) quando precisa che "L'atteggiamento del linguista è sempre descrittivo, mai prescrittivo, né tanto meno puristico" (p. 16).

Dall'altro sembra assumere una posizione di mediazione quando osserva che "il giudizio [del linguista] non sarà di 'giusto' o 'sbagliato' in assoluto, bensì di 'appropriato' o 'inappropriato' in quel determinato contesto" (p. 15), ma senz'alcun esempio, riferibile si direbbe alle varietà diafasiche (situazionali) o anche diamesiche (scritto/parlato/trasmesso) (p. 115).

Segue una ulteriore puntualizzazione -- secondo cui "il giudizio di sbagliato, scorretto, ha senso solo se riferito a una conformità con la norma standard della lingua assunta come metro di riferimento: e va inteso come 'non corrispondente allo standard'" (pp. 15-16). Al riguardo Berruto cita due ess. (reali) in Facebook di italiano popolare:

(i) veniamo portati a Torino con il trenino che ['con cui'] siamo arrivati;

(ii) ce [= c'è] qualcuno che può darmi un sito che ["da dove"] posso scaricare dragon ball z in itagliano [= italiano]. 

Ma tale puntualizzazione rischia invero di essere troppo ampia perché vi rientrano non solo gli ess. di italiano popolare ma anche gli ess. di variazione diatopica (in bocca a parlanti colti o incolti che siano). E gli italofoni, se non altro parlando, non sono per lo più "standardo-foni" e sarebbero quindi sempre "scorretti".

 4. Come procede la linguistica

Nel cap. 2 "Nell'universo della linguistica", a partire dal § 2.3 "Come procede la linguistica" (pp. 42-62) l'A. illustra con concrete esemplificazioni in italiano il suo modo di analizzare i testi ai vari livelli (sintassi, morfologia) in un'ottica testuale, sociolinguistica e interlinguistica, (pp. 42-54). E si sofferma altresì (pp. 55-62) su alcuni "Princìpi dell'analisi della lingua", distinguendo saussurianamente il "segno" in "significante" e "significato", morfema, fonema e foni, ecc.

 5. "La lingua 'dal di dentro'": Sintassi, Morfologia, Fonetica/Fonologia, Lessico/Semantica

Il cap. 3 è dedicato a "La lingua 'dal di dentro'" ovvero ai classici "livelli di analisi e settori della linguistica", quali la Sintassi (pp. 63-83) strutturale e generativa, con definizione di frase, tipologia delle frasi, definizione di sintagma; la definizione di soggetto; la Morfologia derivazionale e flessionale (pp. 83-91); la Fonetica e la fonologia (pp. 91-98); il Lessico e la semantica (pp. 99-109), sempre evidenziando i problemi posti dalla identificazione di tali livelli.

 6. La lingua 'dal di fuori': sociolinguistica, pragmatica, linguistica applicata

Il cap. 4 riguarda "La lingua 'dal di fuori': la società e gli usi", dove l'A. si sofferma sulla sociolinguistica (pp. 111-16), in particolare sulla nozione di "architettura della lingua" con le classiche variazioni sociale (diastratica), geografica (diatopica), situazionale (diafasica), parlato-scritto (diamesica), storica (diacronica), opportunamente esemplificate.

La pragmatica è illustrata (pp. 117-24) per quanto riguarda gli atti linguistici di J.L. Austin, di J. Searle, la mitigazione, la intensificazione, le massime di P. Grice, la logica della cortesia (G. Lakoff), le frasi marcate con dislocazione a destra e frasi scisse (pp. 122-23), le inferenze e le presupposizioni.

Nel § finale sulla linguistica applicata (pp. 124-28) Berruto accenna tra l'altro alla semplificazione del linguaggio amministrativo, e si sofferma sulla linguistica criminologica con la identificazione geografica a opera di John Trumper delle telefonate anonime nel caso del rapimento di A. Moro o della strage di Peteano, ecc.

 7. Grammatica tradizionale e grammatica moderna

Ma un testo del genere può avviare il lettore a cogliere le differenze tra la tradizionale, scolastica "analisi logica" e la moderna analisi sintattica.

 7.1. Frasi dipendenti (o subordinate): frasi argomentali (completive) vs frasi circostanziali (o avverbiali) vs frasi relative

A livello sintattico, notevole è la tipologia delle frasi dipendenti o subordinate (p. 72), ora distinte in:

(i) "argomentali/completive", essenziali, es. arrivare in ritardo [= soggettiva] non piace a nessuno;

(ii) "circostanziali (o avverbiali)" in quanto eliminabili, per es. le causali: Gianni sta in silenzio perché Maria legge un libro;

(iii) "relative restrittive", es. Maria legge il libro che le ha regalato Gianni.

Non meno rilevante è l'analisi delle "frasi marcate" (p. 122), "scisse" (p. 123), con dislocazione "a destra" (pp. 69, 123) es. le stavo spiegando a una mia amica, o, aggiungiamo, anche "a sinistra", come il bistrattato scolasticamente a me mi piace, entrambi i tipi logicisticamente giudicati dalla scuola "errati".

O la nozione di valenza e attante (o argomento) (p. 82), con i verbi zerovalenti (es. piove), mono-valente (esco), bi-valenti (comprare qualcosa), tri-valenti (scrivere una lettera a qualcuno), ampiamente messa in pratica nel Dizionario di Sabatini-Coletti (1997, 2007).

          7.2. Soggetto vs Esperiente vs Tema vs Dato

La nozione di soggetto (pp. 78-83) a livello sintattico è l'elemento "con cui il verbo concorda in persona e numero" (pp. 78-79), es. del pane è ammuffito (p. 78), che cosa faceva la zia? (p. 80), a Gianni piacciono i gelati (p. 79); piace andare al cinema (in a Gianni piace andare al cinema) è invece il "soggetto frasale" (ibid.), dipendente soggettiva.

Il soggetto (sintattico) è quindi distinto a livello semantico dal Ruolo tematico (esperiente, ecc.) e a livello pragmatico dal Tema e dal Dato.

Così nella frase A Gianni piace andare al cinema (p. 78) A Gianni è semanticamente "esperiente", tradizionalmente "soggetto logico"; pragmaticamente è il "tema" o "topic" (p. 80) ovvero "in genere all'inizio della frase" (p. 8) "ciò su cui si dà informazione" (p. 80); e piace andare al cinema è "il rema" (ibid.), ovvero l'"informazione che viene data riguardo al tema". E ancora il "dato" è "l'informazione supposta come nota" (ibid.), rispetto al "nuovo" ovvero "l'informazione che viene posta come non già nota" (ibid.).

                                                                                                

8. Un augurio

In conclusione, un volumetto prezioso come quello di Berruto crediamo possa far nascere nei giovani studenti, anche pre-universitari, l'amore per la linguistica, come poteva capitare a chi si era imbattuto nell'aureo manualetto di Bruno Migliorini, Linguistica (Le Monnier 19461, 19502, 19593, 19664 pp. 116). E magari il desiderio di coltivare la linguistica come disciplina professionale in una università, oggi in profonda crisi, che in questi ultimi anni non è stata certamente oggetto di investimenti da parte dello Stato come sarebbe stato pur necessario.

 Sommario

 1. L'evento editoriale: una bussola nel mare magnum delle scienze del linguaggio

2. Teoria linguistica e lingue del mondo

2.1. Il "linguaggio"(verbale e non-verbale): oggetto delle scienze del linguaggio

2.1.1. L'"onnipotenza semantica": specifica delle lingue storico-naturali?

2.2. La linguistica: scienza "molle"

3. Scelte teoriche del mini-manuale

3.1. Nativofono chi produce frasi "corrette" grazie a regole interiorizzate

3.2. "Regole" sì e le "norme"?

3.2.1. Non "sbagliato" ma "inappropriato"; ovvero "scorretto" = 'non-standard'

4. Come procede la linguistica

5. "La lingua 'dal di dentro'": Sintassi, Morfologia, Fonetica/Fonologia, Lessico/Semantica

6. La lingua 'dal di fuori': sociolinguistica, pragmatica, linguistica applicata

7. Grammatica tradizionale e grammatica moderna

7.1. Frasi dipendenti (o subordinate): frasi argomentali (completive) vs frasi circostanziali (o avverbiali) vs frasi relative

7.2. Soggetto vs Esperiente vs Tema vs Dato

8. Un augurio





 

domenica 11 aprile 2021

L'autogru o l'autogrú (con l'accento sulla "u" o senza)?


 Da un quotidiano in rete:

Si sente male in casa ma la barella non regge il suo peso: imbragato e calato a terra con l'autogru

Autogrú, con tanto di accento sulla "u", altrimenti si legge autògru. I monosillabi* non si accentano, tranne che nei composti, ed è il caso di autogrú. Vediamo qualche vocabolario.

Treccani: autogrù s. f. [comp. di auto-2 e gru1]. – Gru montata su autoveicolo, usata spec. per operazioni di soccorso e di sgombero della sede stradale.

Gabrielli: autogrù[au-to-grù]
s.m. inv. Gru montata su un autocarro

Sabatini Coletti: autogrù[au-to-grù] s.f. inv. Autocarro attrezzato con gru

Dizionario Olivetti: autogrù - au|to|grù - pronuncia: /awtoˈgru/
sostantivo femminile

Garzanti: autogrù
[au-to-grù] n.f. invar.

Solo il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, scrive, "stranamente": meno bene autogru.

Come si può ben vedere, il sostantivo monosillabico (gru) non si accenta.

Si veda anche qui.

sabato 10 aprile 2021

Un aggettivo "sconosciuto"

 



Un interessante articolo di Manuela Manfredini, pubblicato sul sito della Crusca, su un aggettivo "sconosciuto": animico.



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La lingua "biforcuta" della stampa

Morì sotto al cancello delle Torri all'Eur: condannati il responsabile dei lavori e un operaio

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Correttamente: sotto il. La preposizione (impropria) sotto si fa seguire dall'articolo, non da un'altra preposizione (a). 

*

LA STORIA

L'amore di una vita: folgorò la tredicenne Elisabetta per difenderla dagli orecchioni

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Ritenete appropriato, in questo caso, il verbo "difendere"? La "parola" ai nostri gentili lettori.







venerdì 9 aprile 2021

Qualche errore da evitare

 


Riteniamo di fare cosa utile (e gradita) riportare — così come ci vengono alla mente, senza un nesso logico — alcuni errori di "uso comune" affinché coloro che ci onorano della loro attenzione e che amano il bel parlare e il bello scrivere ne prendano coscienza e li evitino (anche se molti errori hanno il beneplacito delle così dette grandi firme del giornalismo). Vediamo.

Fra, troncamento di frate (fra-te), si scrive senza accento e senza apostrofo: fra Giovanni; fra Cristoforo; fra Galdino. Alcuni vocabolari ammettono l’apostrofo e l'accento (sia pure di uso raso): snobbateli.

Complementarità, senza la e (non complementarietà, quindi), perché deriva da complementare; varietà, con la e, perché viene da vario. Deducete voi, amici, la regola empirica.

Il comparativo di male è peggiore; è errato, per tanto, dire "piú male". Quest’ultima forma (più male) esiste ma si adopera solo quando male è in funzione di sostantivo: ha fatto più male lui all’azienda che non cento impiegati.

Intra-, prefisso di parole composte, non vuole il raddoppio della consonante che segue (al contrario di infra-): intravedere (errato intravvedere, anche se alcuni vocabolari...).

Decina, non diecina, anche se il termine è un derivato di dieci.

Onorificenza, non onoreficenza.

Vicino, si deve far seguire dalla preposizione "a": vicino a Roma.

Tre, nei composti prende, tassativamente, l'accento acuto: ventitré, sessantatré.

Adiacente, si costruisce con la preposizione "a" (non con l'articolo): la campagna adiacente al centro abitato.

Attimo, non si usi mai il diminutivo "attimino" per indicare un piccolissimo lasso di tempo: un attimo è già questo.

E finiamo con terraqueo che non è grafia errata, come molti sostengono, anzi è da preferire a quella ritenuta più corretta, terracqueo, perché riflette la provenienza latina.


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La lingua "biforcuta" della stampa

REGNO UNITO

La Regina affitta i giardini di Buckingham Palace per fare

 pic-nic. Quasi 70mila richieste in un giorno

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Correttamente: picnic (parola unica). Treccani: picnìc s. m. [dall’ingl. picnic ‹pìknik›, che a sua volta è dal fr. pique-nique, comp. di piquer nel senso di «spilluzzicare» e prob. di un ant. nique «piccola cosa di scarso valore»]. DOP (Dizionario di Ortografia e di Pronunzia): 



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 Il diavolo vuol papa Paolo


Questo modo di dire — probabilmente sconosciuto a buona parte dei gentili lettori — dovrebbe esser noto agli amici perugini e a quelli romani, sebbene con qualche sfumatura, in quanto il detto nato in terra d’Umbria è stato "trasportato" nella città dei Cesari. Ma cosa sta a significare? Che nella vita, a volte, per vivere in santa pace è necessario stridere e tacere.

Si dice, dunque, che questa locuzione sia nata a  Perugia sotto il pontificato di Paolo III il quale, per tenere a bada gli abitanti di quella città (che tentavano di ribellarsi), fece edificare un’immensa fortezza che li dominava da tutte le parti: in questo modo ogni tentativo di sommossa era scongiurato.

Così sottomessi i Perugini dicevano a denti stretti: «Giacché così vuò il diavolo, evviva papa Pavolo». Questo detto perugino, divenuto proverbio, arrivò a Roma trasformato in «il diavolo vuol papa Paolo».