sabato 31 ottobre 2020

La parroca


Il femminile di parroco ─ se la Chiesa di Roma ammetterà le donne al sacerdozio ─ sarà parroca. Lo sentenzia l'Accademia della Crusca. E non potrebbe essere altrimenti. La grammatica stabilisce, infatti, che il femminile dei sostantivi maschili in -o si ottiene mutando la desinenza "-o" in "-a": il sarto/la sarta; il parroco/la parroca.

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La lingua "biforcuta" della stampa

Tutti coi diti puntati (dalla parte sbagliata)

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Senza parole!

Vediamo, in proposito, che cosa dicono i vocabolari, nella fattispecie il Gabrielli in rete: dito [dì-to]

s.m. (pl. le dìta, ant. le dìte, f.; pop. i dìti; specificando il nome di ognuno, i dìti)
1 Ciascuna delle appendici terminali articolate delle mani e dei piedi dell'uomo e di altri animali: d. pollice, d. indice della mano; le falangi, le nocche, i polpastrelli, le punte delle dita; i diti mignoli (...). Il titolo, dunque, correttamente, avrebbe dovuto recitare: tutti coi diti indici puntati.

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FONNI

Rapina alle poste in Sardegna. Ferita donna carabiniere. È caccia ai banditi

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Perché non, correttamente, carabiniera?

"Sapere.it" (De Agostini): Il femminile regolare di carabiniere è carabiniera, e così si può chiamare una donna che appartenga all’Arma dei Carabinieri. Alcuni preferiscono però chiamare anche una donna carabiniere, al maschile. Si tratta di una scelta che non ha basi linguistiche, ma sociologiche, e che comunque può creare, nel discorso, qualche problema per le concordanze.

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Dal sito "Libreriamo"

L’assalto delle parole straniere alla lingua italiana

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La lingua "biforcuta" della stampa

 IL COMMENTO

La pandemia e l'armistizio della politica italiana. Mentre la PA è immune a Immuni

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Correttamente: immune da.

Treccani: immune agg. [dal lat. immunis, comp. di in-2 e munus «obbligo, servizio, imposta, ecc.»]. – 1. Che non è soggetto a determinati obblighi o servizî, o che gode di particolari privilegi, o non è sottoposto a una giurisdizione, a un’autorità e sim. 2. Per estens., esente, libero: essere ida difettida certi pregiudizî (anche in senso iron. o scherz.: sono ida codeste velleità!); essererendersi i., refrattario nei confronti di una malattia infettiva, dell’azione di una tossina o di determinate sostanze chimiche (v. immunità).




Scaricabile gratuitamente

giovedì 29 ottobre 2020

Misure drastiche? No, severe

 


Riproponiamo un nostro vecchio intervento sul corretto uso dell'aggettivo drastico, tornato prepotentemente alla ribalta in questo periodo"grazie" all'emergenza covidotica.

Chissà quante volte, cortesi lettori, avete sentito frasi tipo «sono stati presi drastici provvedimenti per limitare i danni...». Bene, anzi male, malissimo: quell’aggettivo drastici — a nostro modo di vedere — è adoperato impropriamente nel significato di severi, notevoli, risoluti e simili. Perché il suo impiego sia/fosse adoperato sempre a proposito è/sarebbe necessario che tutti ne conoscano/conoscessero il suo... impiego originario. Vediamo, intanto, la sua origine.
Viene dal greco drastikòs, tratto da dràô, agire. Drastico significa, quindi, che agisce con efficacia. Per il suo significato fu adoperato, in origine, in campo medico: è un drastico medicinale, volendo evidenziare, per l’appunto, la sollecita efficacia.
In seguito se ne fece un uso metaforico non condiviso dal linguista Alfredo Panzini quando sosteneva che i drastici provvedimenti presi gli sembravano un po’ troppo metaforici. Se drastico significa, infatti, che agisce con efficacia non si può sostenere che i provvedimenti sono drastici fino a quando non se ne sono visti gli effetti. Ma questo significa voler cercare, a tutti i costi, il classico pelo nell’uovo; anche se facciamo nostra la tesi del Panzini.
L’uso improprio, per non dire abuso o addirittura errore, nasce — come dicevamo all’inizio — quando al predetto aggettivo si vuol dare il significato di notevole: c’è stato un drastico aumento delle bollette telefoniche. Oppure quando si adopera drastico come sinonimo di severo.
Basterebbe — prima di scrivere — riflettere un attimo sul significato delle parole da adoperare (ricorrendo, magari, all’ausilio di un buon vocabolario) per non incappare in inesattezze o, peggio, in errori che alcune volte rasentano il ridicolo: la situazione meteorologica è drastica, ancora mal tempo su tutta la penisola. Abbiamo esagerato? Decidete voi, amici  amanti del bel parlare e del bello scrivere.

 

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La lingua "biforcuta" della stampa

FRANCIA

Lockdown almeno fino al 1° dicembre. Macron: "Sommersi da epidemia, urge freno"

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Correttamente: dal 1 dicembre (senza esponente). Crusca: Le indicazioni comprendenti anche mese e giorno sono introdotte modernamente da un articolo maschile singolare: «il 20 settembre 1870»". Per estensione, si può aggiungere che, nel caso di una data come 11/10/1989, l'articolo che vi si anteporrà sarà l' (seguendo la pronuncia della data: l'undiciottobre millenovecentoottantanove); stessa regola vale per le date che iniziano con 1: anche per queste, si considera il modo in cui tali date vengono pronunciate e quindi si scriverà il 1/2/2003 (cioè il primo febbraio duemilatré). Infatti, come specifica Serianni, "Per i giorni del mese si usa l'ordinale per il giorno iniziale [...], ma il cardinale per i giorni successivi, siano o non siano accompagnati dal giorno del mese [...]."

domenica 25 ottobre 2020

Perché è importante difendere la grammatica italiana

 


 Ce lo spiega Massimo Roscia, autore del libro “Il dannato caso del Signor Emme”, opera che contiene una biografia (romanzata) di Paolo Monelli, strenuo difensore della grammatica italiana. Dal sito "Libreriamo". 


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Sempre sulla "lingua" della carta stampata (e no)

 I lettori ci perdoneranno se mettiamo ancora in evidenza gli orrori linguistici che quotidianamente ci "propinano" i massinforma (mezzi di comunicazione di massa). Ma non possiamo fare altrimenti.

I giornali vengono letti da tutti, così come i notiziari radiotelevisivi vengono ascoltati da tutti, per questo motivo chi scrive sui giornali e i 'dicitori' delle varie emittenti radiotelevisive hanno il dovere, sì il dovere morale, di usare la lingua in modo corretto.

Ecco due titoli di un quotidiano in rete dove due strafalcioni fanno bella mostra di sé: Lascia due reliquari rubati sull'altare e scappa; Torino, una bancarella della droga davanti a una discoteca del lungopo. Vediamo, nell'ordine, le due smarronate.
Si scrive reliquiario, non reliquario (voce prettamente popolare), perché il termine proviene da reliquia, non reliqua. Quanto al fiume Po, in questo caso va accentato: lungopò.
Se i titolisti del giornale in rete si fossero immersi nel mar dell'Umiltà, consultando un buon vocabolario, ci avrebbero risparmiato queste nefandezze linguistiche.

venerdì 23 ottobre 2020

Sgroi - 85 - Una laurea honoris causa (in storia della lingua italiana) a Francesco De Gregori


 di Salvatore Claudio Sgroi

 

 1. L'evento televisivo

Domenica 18 ottobre RAI 3, alle 10h.20 ha avuto luogo la prima puntata su "Le parole per dirlo" condotta da Noemi Gherrero con la collaborazione degli storici della lingua Giuseppe Patota e Valeria Della Valle, dedicata alla lingua italiana e alla televisione, con la partecipazione di Corrado Augias, ospite. Nei quasi 60 minuti della trasmissione non pochi sono stati i problemi toccati e discussi nel 'salotto' televisivo, che è possibile riascoltare:

<https://www.raiplay.it/video/2020/10/Le-parole-per-dirlo-6a4b4f3c-3857-499c-a61c-a1d86a02d0b3.html>

          2. Le parole straniere in italiano

Qui vogliamo solo soffermarci sul tormentone degli anglicismi adoperati in italiano, rispetto al quale c'è stata la (peraltro scontata) consonanza dei due storici della lingua e del giornalista ospite, secondo cui gli stranierismi vanno tenuti fuori dalla lingua italiana, perché dovuti alla moda, indizio di (micro) infedeltà linguistica, magari ritenuti da alcuni causa di impurità e corruzione linguistica, per es. location, mission, step, lockdown, smart working, look, recovery fund, fiction, ecc.

 2.1. Il neopurismo: "prestiti di lusso" vs "prestiti di necessità"

Gli storici della lingua come G. Patota, in maniera più sofisticata, fanno invero ricorso alla teoria 'logicistica' del linguista svizzero Ernst Tappolet 1913-1914, che distingueva i 'prestiti di lusso' (das Luxuslehnwort) quando esiste un equivalente italiano, dai 'prestiti di necessità' (das Bedürfnislehnwort) se l'italiano è invece carente di un equivalente.

Una posizione che si può definire "neo-purista" con un termine certamente non lesivo, ma puramente descrittivo.

Ma tale distinzione, che definiamo "logicistica", non tiene conto del fatto che le motivazioni storiche, profonde del ricorso agli stranierismi sono motivate dal prestigio (politico, economico, scientifico, culturale, ecc.), di cui gode la lingua donante, nel caso specifico l'anglo-americano, e che vengono diffusi "dall'alto", a partire dalle istituzioni (governo, partiti ecc.), da enti pubblici, dalla TV pubblica e privata, dalla stampa cartacea e on line ecc.

 3. Lockdown 'clausura'?

Così il lockdown è censurato da Patota a favore di confinamento sulla scia del francese (e dello spagnolo). Ma va anche detto che il francesismo coprifuoco alterna sempre più spesso in TV con l'anglicismo.

Da parte sua, Augias propone (ripresentandolo su "la Repubblica" di lunedì 19 ottobre) l'elitario clausura, di fronte allo "sgradevole" lockdown, mentre Stefano Bartezzaghi ha facile gioco a replicare su "la Repubblica" (martedì 20 ottobre) con un articolo intitolato "Meglio lockdown di clausura", dove gli ricorda le ragioni generali degli anglo-americanismi (che Augias definisce nella  replica del giorno dopo "finezza di argomenti", fondamentalmente ignorandoli):

"i termini inglesi sono più prestigiosi e il loro impiego pare preferibile, se non proprio necessario. Accade per la superiorità culturale che la cultura angloamericana ha acquisito nei campi della tecnologia e (per l'appunto) del management".

 4. Mass media o /mass midia/?

Discutendo del problema degli anglicismi, i tre autori si sono soffermati anche sull'es. mass media che a loro giudizio va pronunciato così com'è scritto, perché media è voce latina, plur. di medium.

Ora, a parte il fatto che "mass media" (affiancato all'abbreviazione "media" datato in it. 1960) è un composto, non è invero -- etimologicamente -- un latinismo, ma un anglo-latinismo (databile 1923 col Merriam Webster's Collegiate Dictionary). Lo dimostra anche l'ordine dei due componenti del composto mass media 'mezzi di massa' (determinante + determinato, con la testa a "destra"); l'anglicismo essendo composto a sua volta con il determinato latino medium.

E quindi la pronuncia all'inglese /mass midia/, – peraltro italianizzata per le due <a> di mass media ingl. /'mæs,mi:djə/ – è quella più fedele etimologicamente.

 5. Parlare in latino o nell'italiano di oggi?, è la loro pronuncia corretta

Ma il momento clou della discussione è emerso quando la presentatrice, Noemi Gherrero, ha tirato fuori, come dire, l'asso dalla manica, a sparigliare il gioco dei tre interlocutori, con un video, intorno al 26° minuto della trasmissione, di Francesco De Gregori, che qui trascriviamo:

"Io preferisco dire midia, perché anche se ormai è entrata abitualmente nel vocabolario degli italiani, è una parola inglese che si scrive media ma si pronuncia /midia/ in inglese.

Il fatto che all'origine ci sia una parola latina, la parola medium, in latino neutro, che diventa al plur. media, è molto interessante dal punto di vista dell'etimologia, ma che c'entra con la lingua italiana di oggi?

Noi non stiamo mica qui a parlare di latino, non parliamo latino. Noi ci sforziamo di parlare italiano, portando dentro la nostra lingua anche parole da lingue straniere, che però vanno portate protette in quella che è la loro pronuncia corretta".

         6. Una proposta

Insomma, De Gregori con notevole sensibilità linguistica e metalinguistica mostra di saper distinguere l'analisi sincronica (l'italiano d'oggi) dall'analisi diacronica con la duplice etimologia vicina (l'inglese) e lontana (il latino), mentre normativamente si basa sulla pronuncia corrente dell'etimologia vicina e non già su quella – d'antan – del latino.

Senza dire che la pronuncia anglicizzante è avallata anche da molti dizionari (cfr. Zingarelli e Devoto-Oli-Serianni-Trifone), come ricorda, ricredendosi e salvandosi in corner Valeria Della Valle, ma non il collega Geppi Patota, che ha perseverato nella sua posizione neo-puristica, di fedeltà all'etimo per di più lontano.

Non ce n'è abbastanza per conferire, honoris causa, una bella laurea in storia della lingua italiana a Francesco De Gregori?

           Sommario

1. L'evento televisivo

2. Le parole straniere in italiano

2.1. Il neopurismo: "prestiti di lusso" vs "prestiti di necessità"

3. Lockdown 'clausura'?

4. Mass media o /mass midia/?

5. Parlare in latino o nell'italiano di oggi?

6. Una proposta





 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

lunedì 19 ottobre 2020

XX settimana della lingua italiana nel mondo


 In occasione della XX settimana della lingua italiana nel mondo segnaliamo un intervento di Luca Passani.

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Un uso impersonale sconsigliato

«È con gioia che...». Nella maggior parte dei casi tutti i periodi che cominciano con una forma impersonale — a nostro avviso — sono impropri e non si debbono adoperare in buona lingua italiana. Non si dica e non si scriva , per esempio, «è stato per te che l’ho fatto» ma «l’ho fatto per te». Oltre tutto non è più facile e orecchiabile la forma 'corretta'?

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In un Forum dedicato alla lingua italiana un lettore ha chiesto al titolare della rubrica se si possa dire, indifferentemente, “gli han/hanno sparato”. L'esperto  ha risposto che è meglio “hanno” (gli hanno sparato). Non è “meglio” ma obbligatorio. Non si può troncare una parola davanti a un’altra che comincia con “s impura” (la consonante ‘s’ seguita da un’altra consonante). Quindi: gli ‘hanno’ sparato, ma gli ‘han’ (o hanno) detto.

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La lingua "biforcuta" della stampa

La denuncia dell'infermiera: "Così l'ospedale mi ha trasformata in un untore"

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Perché non "untrice"? Sarebbe bene seguire le indicazioni del De Mauro (in rete) e del dizionario Olivetti (in rete).


domenica 18 ottobre 2020

Ferramentista? Perché no!?

 


Stupisce il constatare che i vocabolari dell'uso non lemmatizzino un sostantivo che si potrebbe classificare tra gli epiceni: ferramentista. E chi è? Non è colui che vende la menta; è l'addetto alla lavorazione, al montaggio e alla riparazione dei ferramenti. Il lessema in oggetto è un denominale essendo composto con il sostantivo ferramento e con il suffisso -ista, atto a indicare colui o colei che esercita una professione o un mestiere: violinista,  dentista,  giurista, ciclista, barista, stradista ecc. Si può riferire tanto a un uomo quanto a una donna: il ferramentista, la ferramentista. Il suffissato o derivato su citato, "snobbato" da tutti  i vocabolari che abbiamo consultato, si può trovare in alcune pubblicazioni. Qui, per esempio.


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La lingua "biforcuta" della stampa

Sciopero dei trasporti, venerdì 23 ottobre a rischio bus, tram, metro e ferrovie urbane

Agitazione di 24 ore, a rischio autobus, tram, metro e ferrovie urbane

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Nel caso il lettore non lo abbia capito: il 23 prossimo sciopero dei trasporti (a Roma).


venerdì 16 ottobre 2020

La capo dell'ufficio o la capa dell'ufficio?


 Forse sarebbe bene che i lessicografi del vocabolario Treccani in rete (ma anche altri dizionari dell'uso) "riguardassero" il lemma capo specificando che il femminile regolare e corretto è capa. Alla voce in questione si legge: 

«2. a. Persona che dirige, che è posta al comando di altre persone (in quanto il capo, cioè la testa, è la parte principale e più nobile del corpo; in questo sign., la parola può essere invariabilmente riferita, come titolo, anche a donna che eserciti tale funzione): cdello stato, il più alto organo dello stato (in Italia, il presidente della Repubblica); cdel governo, il presidente del Consiglio dei ministri, spec. durante il regime fascista (oggi comunem. denominato presidente del consiglio); cd’istituto, chi soprintende all’andamento didattico, educativo e amministrativo di una scuola o istituto d’istruzione (...)». 

Tra i vocabolari consultati il Garzanti e "Sapere.it" attestano il lemma femminile. Istruttiva la nota d'uso di quest'ultimo: «Il femminile regolare di capo, nel significato di persona che esercita un comando o dirige un’impresa, è capa, e così si può chiamare una donna che svolge tale funzione; tuttavia, poiché questa forma ha spesso un uso scherzoso, molti preferiscono chiamare anche una donna capo, al maschile. Si tratta di una scelta, però, che può creare nel discorso qualche problema per le concordanze». 

I sostantivi maschili in "-o", insomma ─ come si sa ─ nella forma femminile mutano la desinenza maschile "-o" in quella femminile "-a": il sarto/la sarta, il cuoco/la cuoca, il ragazzo/la ragazza. Non si capisce, quindi, per quale motivo "logico-sintattico-grammaticale" capo non dovrebbe prendere la desinenza del femminile. La capa dell'ufficio, pertanto, è a tutti gli effetti in regola con le leggi della lingua. La capa suona male? Basta farci l'orecchio, come per la ministra, per la sindaca, per la prefetta ecc.

giovedì 15 ottobre 2020

Sgroi - 84 - Dall'allocuzione dantesca "Tu (person.) vs Voi (reverenziale)" all'allocuzione del romanesco trecentesco Tu (generalizzato) e moderno "Tu vs Voi"

 


di Salvatore Claudio Sgroi

 

1. L'evento del Dantedì

Come ha recentemente ricordato Paolo D'Achille in un bell'intervento per il Dantedì sull'uso degli allocutivi, nel Paradiso, canto XVI, vv.10-11: «Dal ‘voi’ che prima Roma sofferie, in che la sua famiglia men persevra», interpretabile come ‘sofferse’, per ‘tollerò’, Dante rimprovera ai Romani del suo tempo l'uso generalizzato del TU rispetto al fiorentino che invece contrapponeva il TU personale al VOI 'reverenziale' o 'transazionale'.

Un giudizio negativo sull'idioma dei Romani Dante l'aveva espresso già nel De Vulgari eloquentia I, XI, 2, definito "Romanorum, non vulgare, sed potius tristiloquium", ovvero 'il più turpe' ("turpissimum") di tutti gli altri volgari, in quanto i Romani "Dicunt enim: Messure, quinto dici?".

Nel fiorentino del '300 il sistema allocutivo è quindi bimembre: "Tu (personale) VS Voi reverenziale (o transazionale)", mentre nel romanesco dello stesso periodo è unimembre: TU (generalizzato). Schematizzando:

 


 2. Romanesco moderno

Ma nel romanesco moderno e contemporaneo, se l'uso del TU generalizzato non è scomparso, come illustrato da P. D'Achille 2013 (vedi più avanti: "in molte zone del Lazio, l’uso popolare opta per il tu generalizzato"), il sistema allocutivo appare però modificato, diventando bimembre come quello fiorentino dantesco:

  


 Questa situazione può trovare una spiegazione tenendo conto che, come a suo tempo dimostrò Clemente Merlo negli anni '20 del '900 (1929, 1940), il romanesco da originario dialetto meridionale a partire dal '500 si è sensibilmente toscanizzato, fino a perdere i suoi tratti tipicamente meridionali. E T. De Mauro nella sua Storia linguistica dell'Italia Unita (1963) ha sottolineato tale mutamento linguistico: "a partire dai primi decenni del Cinquecento cominciarono ad agire molteplici fattori che ai livelli socioeconomico più alti diffusero l'uso dell'italiano, ed a livello popolare smeridionalizzarono il dialetto, trasformandolo in un dialetto prossimo al toscano" (ried. 1976, Laterza, vol. I, p. 24).

B. Migliorini (1932) ha contrapposto da parte sua (I) il "dialetto" di Roma dal sec. XIII a tutto il XV, (II) a quello "degradato a vernacolo" a partire  dal '500, "quando, alla fine del Cinquecento o alla fine del Seicento, gli ultimi parlanti dell'antico romanesco si spensero, e non vi fu più che il nuovo dialetto, cioè un toscano sovrapposto a un substrato romanesco" (ried. 1948 pp. 113-14), e quindi (III) al romanesco ottocentesco di G. Belli (1791-1863).

 2.1. Il Voi nel romanesco toscanizzato del '500: una esemplificazione

Il Merlo ha invero dimostrato la toscanizzazione del romanesco a livello fonologico e lessicale, ma il fenomeno deve aver agito anche a livello degli allocutivi. Non è un caso che ne Le stravaganze d'Amore di Cr. Castelletti del XVI sec. da lui studiato, che Migliorini 1932 ritiene "l'ultimo documento sicuro del romanesco antico" (p. 111), non mancano ess. con il voi in bocca alla vecchia Perna: Che ène? che domannate?; -- Che v'ha ditto Clorida? ecc., mentre Ostilio risponde col tu: Tu vuoi burlarmi, eh Perna? (p. 68), ecc.

 2.2. Romanesco contemporaneo: alcuni dati di auto-valutazione

Sulla base di questionari di auto-valutazione dell'inchiesta coordinata da P. D'Achille 2013 (La lingua delle città, Cesati p. 227), è possibile estrapolare, con inevitabile interpretazione e con presupposizioni, i seguenti usi e micro-sistemi (S) degli allocutivi:

(S-i) "in molte zone del Lazio l'uso popolare opta per il tu generalizzato": cfr. il sistema unimembre del romanesco antico.

(S-ii) "a Roma, a Latina e a Rieti quasi tutti gli intervistati hanno dichiarato di usare il lei", cfr. il sistema bimembre moderno: "lei vs (implicitamente) *tu" dell'uso contemporaneo pan-italiano.

(S-iii) Per alcuni vige il sistema trimembre: lei "ai più giovani" vs "voi "agli anziani" o "persone molto anziane", vs *tu (familiare, implicitamente).

(S-i) Garbatella: tre informatori "dichiarano di dare 'sempre del tu', a tutti": uso popolare; cfr. sistema unimembre del romanesco antico.

A Viterbo:

(S-iv) il voi "ai familiari più anziani; con i contadini in campagna" vs lei "agli sconosciuti, a un superiore", vs *tu (familiare, implicitamente); cfr. il sistema pirandelliano otto-primo-novecentesco.

(S-i e S-ii) tu "a tutti", cfr. sistema del romanesco più antico, che coesiste in uno stesso parlante col sistema moderno: e "lei a volte, alle persone più grandi".

(S-i e S-iii) tu "a tutti" cfr. sistema del romanesco più antico, che coesiste in uno stesso parlante col sistema marcato: "e voi 'alle persone più grandi'".

(S-ii) due informanti "citano solo il lei", e implicitamente presupponendo  anche *tu, giusto il sistema moderno.

 3. Sistema allocutivo panitaliano trimembre "(sing.) Tu vs Lei" VS "(pl.) Voi(altri)"

Nell'uso contemporaneo il sistema bimembre sing. Tu (pers.) vs Voi (transazionale), proprio per es. del napoletano e del calabrese, e delle rispettive varietà di italiano regionale, non è invece attestato nel Lazio, come su visto, e si contrappone a livello pan-italiano, nell'italiano cioè non marcato geograficamente (o diatopicamente) al sistema sempre bimembre sing. Tu (pers.) vs Lei (transazionale).

Anzi, considerando l'interazione con più di un interlocutore, il sistema attuale è trimembre: Tu (sing. person.) vs Lei (sing. transaz.) vs Voi (Altri ) (plur.), es. cari amici, voi cosa volete fare?

Schematizzando:

 


 
           Sommario

1. L'evento del Dantedì

2. Romanesco moderno

2.1. Il Voi nel romanesco toscanizzato del'500: una esemplificazione

2.2. Romanesco contemporaneo: alcuni dati di auto-valutazione

3. Sistema allocutivo panitaliano trimembre "(sing.) Tu vs Lei" VS "(pl.) Voi(altri)"









 

 

mercoledì 14 ottobre 2020

Sgroi - 83 - Dal TU "personale" (vs VOI "transazionale") al TU americaneggiante indifferenziato

 


di Salvatore Claudio Sgroi

 

1. L'evento "normale" degli allocutivi (Tu vs Lei)

Nelle interazioni con gli altri l'uso dei pronomi allocutivi (Tu e Lei) in italiano è definito dalla Regola della differenza tra rapporti personali e rapporti sociali, sicché nei rapporti personali si fa ricorso al TU (appunto "personale"), mentre nei rapporti caratterizzati dal ruolo sociale si adopera il LEI cosiddetto "transazionale".

 1.1. Uso del Lei e del Tu nelle interazioni con gli altri: una esemplificazione

Così con gli estranei, coetanei o meno, di sesso uguale o diverso, caratterizzati da ruoli sociali diversi – Regola-1– io per es. adoper(av)o il Lei (ricambiato, simmetrico) con i miei studenti universitari (ventenni o giù di lì) o con i dottorandi e le dottorande, col cassiere/o cassiera (più giovane o no) del supermercato, del bar, del panificio, del negozio, o con il/la farmacista, il giornalaio, ecc. E adopero anche il Lei col portiere dell'immobile (preceduto dal nome di battesimo Antonio, come sta?). Ma ancora il Lei con il suocero (Lei preside, cosa fa?), o con la suocera (Nonnina, lei cosa vuole fare?), da entrambi ricambiato invece (asimmetricamente) col tu.

In maniera complementare ricorro – Regola-2 – al Tu con i parenti, gli amici, con i colleghi, di pari o diverso grado, ovvero di I o II fascia e ricercatori, ma anche col direttore/con la direttrice del Dipartimento o col Rettore (che aveva preso l'iniziativa per il 'tuteggiare'). Gli studenti tra di loro interagivano col tu, indipendentemente dall'età, anche nel caso di colleghi decisamente più grandi di loro, a cui invece fuori dal contesto dell'aula universitaria, si sarebbero rivolti col Lei.

 1.2. Il Tu americaneggiante indifferenziato ("pseudo-democratico")

Alla luce del sistema di duplice Regola di cui sopra, i messaggi pubblicitari che ricevo quasi quotidianamente via e-mail dove il mittente, perfetto sconosciuto, mi si rivolge dandomi del Tu e magari col nome proprio (Salvatore), provocano una reazione di enorme fastidio con l'effetto che li cancello senza per lo più neanche leggerli. Solo qualche es.:

(i) Ottieni un prestito rapidamente fino a 50.000 euro

(ii) Scopri la promo business con Iphone 11pro

(iii) Gent.le salvatore, scopri le condizioni vantaggiose che ti abbiamo riservato!

(iv) Salvatore sei stato/a selezionato/a per partecipare alla Svendita di fine Estate

(v) Gentile Cliente, tutti noi in BNL lavoriamo per offrirti una banca ogni giorno migliore. Tu sei al centro di questo percorso, con le tue opinioni e i tuoi suggerimenti. Grazie per il tempo che vorrai dedicarci (con un attacco cortese "Gentile Cliente" che cerca di giustificare il "tu" personale).

 Il lettore ricorderà che tale prassi è presente anche nei biglietti aerei delle varie compagnie.

Tale uso mi pare che possa etimologicamente spiegarsi con l'influenza, anche nell'ambito più strettamente morfo-grammaticale e non genericamente lessicale, dell'anglo-americano you, che presenta il duplice valore sia personale che transazionale.

Ritenere l'uso del Tu allocutivo indifferenziato come un uso "democratico" mi sembra in questo assai discutibile.

 2. L'allocutivo regionale Voi 'lei' (transazionale) vs Tu (personale)

È esperienza comune sentire i napoletani far ricorso, parlando sia in dialetto che nel loro italiano (regionale), al Voi "transazionale", che soggettivamente trovo delizioso.

La stessa prassi è presente nel dialetto e nell'italiano dei calabresi. E non posso dimenticare che nella mia esperienza di docente nell'università di Arcavacata, gli studenti mi si rivolgevano col "Voi", che trovavo amabile, per es. Che giorno iniziate le lezioni? (ricambiati da me col "Lei" non-diatopico).

 2.1. "Voi + verbo 2a pers. plur." VS "Lei + verbo 3a pers. sing."

Com'è noto, il valore transazionale veicolato dal "Voi + verbo 2a pers. plur." è determinato dal fatto che il singolo interlocutore viene come dire moltiplicato, per sottolinearne il ruolo superiore rispetto a chi è invece un singolo individuo.

Nel caso del "Lei + verbo 3a pers. sing." invece lo stesso valore transazionale è comprensibile se si tiene conto del sistema dei pronomi "Io-tu-lei (lui)". Qualunque parlante 'entra' nella lingua facendo riferimento a se stesso mediante il pronome IO (prima persona sing.) che si contrappone al proprio interlocutore indicato con TU (seconda persona sing.). Chi rimane al di fuori dell'interazione verbale è invece indicato con LUI/LEI (terza persona sing.). È quindi 'innaturale' rivolgersi al proprio interlocutore in 3a persona. È come se io non oso guardarlo direttamente, negli occhi, e ne parlo per riverenza in terza persona.

 2.1.1. L'allocuzione otto-primonovecentesca

Nell'italiano otto-primonovecentesco, per es. in Pirandello, il parlante nelle interazioni transazionali poteva fare ricorso (i) al sistema "VOI transaz. + 2a pers. plur." reciproco con un estraneo (alla pari), oppure (ii) al sistema "LEI transaz. + 3a pers. sing." non-reciproco con un estraneo non-alla pari, in entrambi i casi contrapposto al TU personale.

Per es. Andate, dice Marta in posizione one-up (di superiorità) alla propria cameriera; Se [lei] ci dà le chiavi di su..., dice in posizione one-down (di inferiorità) la cameriera a Marta.

Col cambiamento dei rapporti sociali il sistema ternario Tu vs Lei vs Voi è scomparso ovvero si è semplificato, restando solo il sistema binario, quello cioè attuale Tu vs Lei.

Schematizzando:

 


 3. Sistema trimembre dell'allocuzione standard: "Tu (sing. person.) vs Lei (sing. transaz.)" vs Voi (plur.)

Nell'uso contemporaneo il sistema bimembre Tu (pers.) vs Voi (transazionale) per es. dell'italiano regionale della Calabria o del toscano popolare (documentato da D'Achille 2013) contrasta  a livello pan-italiano, nell'italiano cioè non marcato geograficamente (o diatopicamente), col sistema sempre bimembre Tu (pers.) vs Lei (transazionale).

Considerando poi l'interazione con più di un interlocutore, il sistema standard è trimembre: Tu (sing. person.) vs Lei (sing. transaz.) vs Voi(altri) (plur.), es. cari amici, voi cosa volete fare?

Schematizzando:

 



 4. Variabilità geografica non del sistema ternario ma della sua applicazione

La variabilità dell'uso degli allocutivi è legata a una chiara opposizione di valori dei diversi lessemi grammaticali. Il sistema binario Tu (personale) VS Lei (transazionale), ovvero ternario con Voi, plur. riferito a più interlocutori, è solido.

Quello che è variabile è l’applicazione di tale sistema ai singoli interlocutori, con cui il parlante deve decidere se avere un rapporto personale / confidenziale oppure transazionale / sociale. Con differenze tra parlanti di certe regioni dove è più facile sentire un Tu confidenziale (per es. a Roma) rispetto a parlanti di altre regioni (per es. in Sicilia) che con gli stessi tipi di interlocutori optano invece per un Lei più distaccato. Sul tema si veda l'istruttivo art. di Luca Passani I grandi misteri dell’italiano: quando usare il Tu personale e quando il Lei transazionale. La scelta del pronome allocutivo adeguato quando ci  rivolgiamo a degli sconosciuti non è sempre scontatacon le sue tre regole di comportamento linguistico.

 Sommario

1. L'evento "normale" degli allocutivi (Tu vs Lei)

1.1. Uso del Lei e del Tu nelle interazioni con gli altri: una esemplificazione

1.2. Il Tu americaneggiante indifferenziato ("pseudo-democratico")

2. L'allocutivo regionale Voi 'lei' (transazionale) vs Tu (personale)

2.1. "Voi + verbo 2a pers. plur." VS "Lei + verbo 3a pers. sing."

2.1.1. L'allocuzione otto-primonovecentesca

3. Sistema trimembre dell'allocuzione standard: "Tu (sing. person.) vs Lei (sing. transaz.)" vs Voi (plur.)

4. Variabilità geografica non del sistema ternario ma della sua applicazione