giovedì 30 novembre 2023

Un po' di "ortodossia linguistica" e un proverbio (poco conosciuto)



Prosieguo
e non proseguo, anche se in uso.
Quadricromia — questa la sola grafia corretta — non quattricromia né quattrocromia.
Quadrilingue — è un aggettivo. Nella forma plurale cambia la desinenza e in i: uomo quadrilingue al plurale sarà uomini quadrilingui.
Quadrumviro e quadrunviro — entrambe le grafie sono corrette
Qualcheduno è forma popolare, da evitare, per qualcuno
Qualora — congiunzione che significa se, quando, ogni volta che, dato che, ecc., si scrive senza apostrofo.
Quanto meno —  improprio, se non errato l'uso di questa locuzione nell'accezione di almenoper lo meno. Non diremo, quindi, gli scriverò o quanto meno gli telefonerò, ma, correttamente, gli scriverò o per lo meno (almeno) gli telefonerò.

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Al barlocchio non far mai condurre il cocchio

Forse pochi conoscono questo proverbio in quanto barlocchio non è attestato nei comuni vocabolari.
Questo sostantivo si riferisce a una persona che ha la vista debole. In senso figurato, quindi, barlocchio si dice di una persona poco affidabile. Non si affidi, per tanto, il governo di alcunché a un barlocchio.
Barlocchio


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La lingua "biforcuta" della stampa

Ancora troppe poche donne tra i teologi al Dicastero della Fede, la Chiesa deve “smaschilizzarsi”.

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Correttamente: troppo poche. Un sostantivo non può essere preceduto da due aggettivi di quantità. Il primo aggettivo, in casi del genere, assume funzione avverbiale e resta invariato. 

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Dall’albergo a Paestum al Cpr di via Corelli senza acqua calda e coperte: chi è Alessandro ***, indagato con la madre

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Correttamente: senza acqua calda coperte. Treccani: 5. Quando si escludono due cose, la congiunzione correlativa a senza è , più raram. o: lo tennero in cella tre giorni, s. mangiare né bere; è uno strozzino, s. pietà né riguardo per nessuno (meno spesso, s. pietà o riguardo).













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mercoledì 29 novembre 2023

Attenzione al verbo sposare, può creare un "incesto linguistico"



Q
uanto stiamo per scrivere – siamo sicuri – farà ridere molti sedicenti linguisti: se cosí sarà la cosa ci lascerà nella piú squallida indifferenza, certi della bontà di quanto sosteniamo. Si sentono e si leggono, molto spesso, frasi tipo “Giovanna è sposata con un figlio”; “Giovanni è sposato con una figlia”. E allora? Direte. Queste frasi ci fanno pensare a un incesto, un “incesto linguistico”, potremmo dire. Sí, perché le frasi in oggetto richiamano, appunto, l’incesto: Giovanna ha sposato il figlio e Giovanni ha sposato la figlia. Questo “incesto” si può evitare con l’aggiunta di una “e”: Giovanna è sposata e con un figlio; Giovanni è sposato e con una figlia. Pedanteria? Giudicate voi, amici, amanti del bel parlare e del bello scrivere.

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I numerali composti con "uno"

L’argomento che trattiamo – ci sembra – non è… trattato a dovere dai cosí detti sacri testi: l’accordo dei numerali composti con “uno” (ventuno, cinquantuno ecc.). Ciò è causa di molti dubbi anche in persone non sprovvedute in fatto di lingua. Vediamo, quindi, come dobbiamo regolarci. Gli aggettivi numerali cosí composti sono invariabili se anteposti al sostantivo: ventuno quaderni, cinquantuno penne. È molto diffusa, in questo caso, la forma tronca (che noi sconsigliamo recisamente): quarantun persone, trentun bambini. Se il numerale segue, invece, il sostantivo al quale si riferisce si concorda con quest’ultimo, ma nella forma singolare: uomini quarantuno, donne cinquantuna. Possiamo benissimo dire e scrivere, per esempio: «nel mio giardino ci sono: orchidee trentuna, ciclamini quarantuno, rose settantuna».






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martedì 28 novembre 2023

La discorsa e altre noterelle sulla lingua italiana



F
orse pochi sanno che oltre al discorso, che è - come recitano i vocabolari - un' «esposizione del pensiero mediante parole dette o scritte», c'è anche "la discorsa"; sí, avete letto bene, la discorsa.
E chissà quante volte -nostro/ vostro malgrado - saremo/sarete incappati in una discorsa. Cos'è, dunque, questa discorsa?
Semplicissimo: un discorso lunghissimo, inutile e noioso. Insomma, un discorso sciocco e inconcludente: quell'oratore ci ha sfinito con una noiosa discorsa.

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Si presti molta, molta attenzione all'uso corretto dell'aggettivo salace perché non significa — come numerose grandi firme del giornalismo ritengono — arguto, spiritoso, pungente, ingegnoso, mordace e simili.
L'aggettivo in questione vale osceno, eccitante, scurrile, piccante, lascivo, lussurioso, libidinoso. Una prosa salace non è — come ci è capitato di leggere, secondo le intenzioni di un noto critico letterario — una prosa arguta, sibbene una prosa oscena, scurrile.

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In lingua italiana - crediamo lo sappiano tutti - non è possibile stabilire una regola generale per distinguere il genere “naturale” e quello “grammaticale” dei sostantivi. Ciò è dimostrabile attraverso numerosi esempi. Nel nostro idioma è infatti facile trovare sostantivi riferiti a maschi ma che sotto il profilo grammaticale sono femminili: spia; guardia; guida; sentinella. E viceversa, sostantivi grammaticalmente maschili riferiti a donne come, per esempio, soprano e contralto. Le cose si ingarbugliano maggiormente quando, passando dalle persone alle cose, ci imbattiamo in sostantivi che secondo il genere “naturale” debbono essere neutri, mentre nella lingua di Dante sono ora di genere maschile ora di genere femminile. Perché, per esempio, la guerra è femminile mentre il conflitto è maschile? Ancora. Perché il coraggio è maschile mentre il suo contrario, la paura, è femminile? Per quale motivo l’arte è femminile e l’artificio è maschile? Una spiegazione per ognuna di queste stranezze ci sarebbe, anzi c’è, ed è di carattere prettamente etimologico-grammaticale, non di certo naturale. Queste piccole noterelle per mettere in evidenza - come accennato all’inizio - il fatto che non è possibile stabilire dei criteri logici generalizzabili per la classificazione dei sostantivi nel genere femminile o maschile. Solo un buon vocabolario può venirci in aiuto.

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Numerosi amici ci hanno chiesto di spiegare il significato e l’origine della locuzione "fare le scarpe". Quest’espressione, notissima negli ambienti di lavoro, significa danneggiare qualcuno in modo subdolo, riferendo ai superiori le presunte malefatte – a insaputa della vittima, naturalmente, e fingendosi amico – allo scopo di prendergli il posto e arrivare, cosí, “velocemente”, alla carica tanto ambita. L’origine del modo di dire non è molto chiara. Alcuni danno al verbo fare il significato gergale di “rubare”: il malfattore, approfittando della fiducia della vittima, che lo ritiene amico, le sfila le scarpe mentre dorme. Italo Marighelli invece, nel suo “Parole della naia”, dà questa spiegazione: «Chi muore lascia le scarpe a chi resta, cosí si è diffuso fra i soldati del primo Novecento il “lasciare le scarpe” per dire morire in guerra, dove uno è portato anche ad anticiparsi l’eredità scalzando il vivo. E di qui sarà arrivato quel “far (come togliere) le scarpe” al prossimo, ossia superare (qualcuno) in carriera mettendolo praticamente nell’impossibilità di percorrere la strada della competizione gerarchica: “far le scarpe a uno” - nota infatti il Lapucci fra i modi di dire italiani del nostro secolo - (cioè) dare cattive referenze di uno, riferirne ai suoi superiori, a sua insaputa, le malefatte in modo da comprometterne il prestigio, ma è espressione che non persuade semanticamente e trova ostacoli d'ordine cronologico».





 









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lunedì 27 novembre 2023

Qualche pillola di buona lingua



C
adavere è un sostantivo, non è corretto, pertanto, il suo uso come aggettivo. Sulla stampa si leggono molto spesso frasi tipo “la donna scomparsa è stata trovata cadavere in fondo al burrone”. Correttamente: la donna è stata trovata morta...

Carcere, nella forma plurale è tassativamente di genere femminile: il carcere / le carceri.

Cerbero, sostantivo maschile e tale resta anche riferito a una donna: Giovanna è proprio un cerbero. Stessa norma per quanto attiene al sostantivo cireneo: Luisa è il cireneo della squadra.

Colare, nei tempi composti prende entrambi gli ausiliari, con un distinguo, però: si userà l'ausiliare essere se si prende in considerazione il liquido (il vino è colato tutta la notte dalla botte); l'ausiliare avere riferito al contenitore (la botte ha colato tutta la notte).

Cosiddetto, si può scrivere anche in grafia analitica (due parole). Il nome che segue non va mai tra virgolette o in corsivo: i cosiddetti / così detti antagonisti (non: cosiddetti “antagonisti” o cosiddetti antagonisti). 

Divisa, si fa seguire dalla preposizione di quando il sostantivo sta per uniforme: divisa di carabiniere, divisa di vigile urbano ecc. La preposizione di specifica, infatti, di quale divisa si tratta.

Ninnananna, si può scrivere anche in grafia analitica (ninna nanna). Nella forma plurale, tanto in grafia scissa quanto in quella univerbata, entrambe le a mutano in e: ninne nanne e ninnenanne.

Oltre, quando significa di là da si unisce direttamente al sostantivo tramite l'articolo (senza alcuna preposizione): la casa che cerchi è oltre il fiume. Quando sta per di più richiede la congiunzione che o la preposizione a: Luigi oltre che / a non capire nulla vuole avere ragione sempre. In funzione di prefisso si salda, generalmente, alla parola: oltretomba.

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Aggiungere. Riteniamo inutile aggiungere a questo verbo la congiunzione anche: aggiungi anche il sale alla lista della spesa. Aggiungere sta pure per anche, come per inoltre, ancora.

Altrettanto, avverbio, aggettivo e pronome quantitativo. In funzione aggettivale o pronominale si accorda con il sostantivo cui si riferisce: ho comprato cinque pacchetti di caramelle, e tu? Altrettanti.

Autoaccusarsi, autodenunciarsi e simili. Espressioni da evitare, anche se correntemente in uso. La particella pronominale si è insita nel prefisso auto-. Non diremo o scriveremo, quindi, il pentito si è autoaccusato, bensì il pentito si è accusato del reato.

Barricadiero, non è schiettamente italiano, ma mai  barricadero. Proviene dal francese barricadier.

Binario (del tram o del treno) alla lettera sta per coppie di rotaie. Non è corretto, pertanto, dire o scrivere i due binari.

Brillare, nell'accezione di distinguersi (brillare per l'assenza), è un gallicismo da evitare in buona lingua italiana.

Declinare, non si adoperi questo verbo nell'accezione, anche se in uso, di ricusare, rifiutare e simili. Un'offerta, un invito non si declinano, si rifiutano, non si accettano.

Portafogli e portafoglio, non si adoperino indifferentemente. Il primo indica la custodia di pelle per banconote e documenti; il secondo per designare la funzione di un ministro che, pur nel governo, non è titolare di un dicastero: ministro senza portafoglio.

Ruolo di, non da. Sempronio ha ripreso il ruolo di centravanti.



 










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domenica 26 novembre 2023

Attenzione a non derogare a una norma grammaticale



R
iproponiamo un vecchio intervento in seguito a una elettroposta  giuntaci da un caro amico. Questi si lamentava dell'insegnante di lettere del figliolo perché aveva sottolineato, con la matita blu, un "derogare da" riportato in un componimento in classe. Il docente ha perfettamente ragione: la sola forma corretta è "derogare a".

Sarebbe "cosa buona e santa" che i linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota stabilissero - una volta per tutte, al fine di non "confondere" i lettori non avvezzi alla buona lingua italiana -  quale sia/è la preposizione da adoperare con il verbo "derogare". Si deroga "a" o si deroga "da"? Diciamo subito, a scanso di... equivoci, che la sola preposizione corretta è "a". I due linguisti, dunque, danno versioni diverse in due libri diversi. In "Viva la grammatica!" ritengono la preposizione "a" la sola abilitata a seguire il verbo derogare. In "Ciliegie o ciliege?" (si clicchi qui e si vada alla lettera "D"), invece, ammettono entrambe le preposizioni ("a" e "da"). Il lettore sprovveduto, a questo punto, si trova "spiazzato". Per la cronaca: tutti i vocabolari dell'uso, che abbiamo consultato, smentiscono i due linguisti: derogare si costruisce solo con la preposizione "a". 

Si deve dire “derogare a una legge”, “derogare a una norma”: bisogna cioè usare il complemento di termine (a una legge) che corrisponde al caso dativo che usavano i Latini. Il verbo infatti è un perfetto latinismo e significa “porre un’eccezione a una legge”. 

Derogare è usatissimo nelle aule dei tribunali, nel linguaggio politico e in quello amministrativo e qui deve essere nato l’errore “derogare da”, probabilmente per analogia con altri verbi, come desisteredetrarredecadere, che tutti reggono da e, guarda caso, cominciano con il prefisso de- come derogare. Ma derogare regge a. Non deroghiamo.

(Da "Si dice o non si dice?", Hoepli Editore)


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La parola proposta da questo portale: approvecciare. Verbo denominale intransitivo: trarre profitto, avvantaggiarsi e simili. È tratto da proveccio.

 

 

 

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sabato 25 novembre 2023

"Idem con patate"


V
i siete mai chiesto/i perché si dice "idem con patate", e che cosa significa esattamente? Forse qualcuno sentirà quest'espressione per la prima volta. Ma andiamo al "dunque". La locuzione si adopera, con un "pizzico" di sarcasmo, quando si vuole mettere in evidenza il fatto che una persona dice le stesse cose di un'altra, quindi è "ripetitiva". L'origine dell'espressione non è molto chiara, si fanno solo delle ipotesi. Quella più accreditata è la traduzione maccheronica della locuzione latina "idem comparate", i.e. "come sopra", "lo stesso", "uguale".

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La parola proposta da questo portale: engioscopio. Sorta di microscopio che posto vicino alle cose piccole le  ingrandisce. Termine composto con le voci greche "engis" (vicino) e "scopeo" (esamino).



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venerdì 24 novembre 2023

Un'altra provocazione linguistica: feminacidio


I
n questi ultimi giorni il femminicidio ha avuto la parte del leone su tutta la stampa italiana (e non solo). Ma non vogliamo parlare di ciò sotto il profilo sociologico, non è nostro compito; ci sono persone addette per questo. Intendiamo parlare del termine in oggetto sotto l'aspetto linguistico. Perché? Perché il vocabolo -- a nostro modo di vedere -- non è ben formato: quella "i" inserita tra la "n" e la "c" (femminIcidio) è abusiva. Il lessema è composto con il sostantivo femmina è il suffisso "-cidio", quindi, per logica dovrebbe essere "femminacidio" o, facendolo derivare dal femminile plurale del sostantivo, "femminecidio". Se i due termini "corretti" non piacciono si può/potrebbe ricorrere al latino, come nel caso di omicidio che deriva, appunto, dal latino "homicidiu(m)" e divenuto in italiano omicidio per la caduta dell'h iniziale e la trasformazione della "u" in "o". Dal latino "femina", dunque, aggiungendo il suffisso "-cidio" abbiamo 'feminacidio'. In ultima analisi, e forse è la cosa migliore, perché non adoperare la forma sincopata "femmin(i)cidio"? Quanto detto per femminicidio  vale  -- sempre a nostro modo di vedere - - per tutte le parole terminanti in -cidio non derivanti dal latino (anche se cristallizzate dall'uso). Attendiamo gli improperi e gli strali dei soliti linguisti; se dovessero arrivare la cosa ci lascerebbe nella più "squallida indifferenza", convintissimi della bontà della nostra tesi.






 









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martedì 21 novembre 2023

Una provocazione linguistica: il biciclettiere


C
ome si chiama il venditore di biciclette? Non c'è un termine specifico: in alcune regioni lo chiamano ciclista, in altre  biciclettaio. La nostra lingua, insomma, non ha un vocabolo alla bisogna. Per quanto attiene ai due termini "regionali", c'è da dire che il primo, nella lingua nazionale, designa colei/colui che va in bicicletta e il meccanico della stessa (non il commerciante), il secondo è sconosciuto alla lingua di Dante. Non è lemmatizzato, infatti, in alcun vocabolario dell'uso. E qui lanciamo una provocazione 
ai lessicografi: perché non denominarlo "biciclettiere" e metterlo a lemma nei comuni dizionari? 
  Il suffisso "-iere" (dal gallico "-ier", tratto dal latino "-arius") indica una persona che esercita una professione o un mestiere: ragioniere, giardiniere, infermiere, ferroviere, banchiere, cantoniere, ingegn(i)ere ecc. Dal sostantivo bicicletta, dunque, togliendo la desinenza "-a" e aggiungendo il suffisso "-iere" si ottiene biciclettiere. Neologismo lessicale che, giusta chi scrive, ha tutte le carte in regola per assurgere agli onori dei vocabolari. Vediamo, con un esempio, come "funzionerebbe" il neolemma. "Papà, per il mio compleanno mi regali una bicicletta?" - "Certo, figliolo. Bisogna aspettare, però, che il biciclettiere rientri dalle ferie".

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Due parole proposte da questo portale e non a lemma nei vocabolari dell'uso: effrèno e curotrofio. La prima è un  aggettivo aulico tratto dal latino "effrenus", composto con "ex" (fuori) e "frenus" (freno): che non ha freni (morali), quindi "indomabile"; la seconda, sostantivo maschile, designa  il luogo dove un tempo si accoglievano i fanciulli per nutrirli. Termine composto con le voci greche "curos" (fanciullo) e "trefo" (nutrisco).





 



Lrecensione del prof. Salvatore Claudio Sgroi, docente emerito di linguistica generale presso l'università di Catania.






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lunedì 20 novembre 2023

Sgroi 162 - “Faccia da baccalà” ovvero “Faccia da stoccafisso”


di Salvatore Claudio Sgroi

Se  l’espressione faccia di/da baccalà nel precedente intervento è risultata ignota a vari amici e colleghi di tutt’Italia, invece la sinonimica espressione faccia da stoccafisso è risultata nota a un collega del nord Italia:

“Conoscevo la locuzione faccia da stoccafisso, oltre a 'sei un baccalà', detto di una persona insulsa (o comunque usato come insulto che a ciò allude)”.

E anche se l’espressione è assente nella lessicografia scolastica e in quella a più volumi senza dire dello storico Battaglia, una qualche vitalità presenta invece in “Google libri ricerca avanzata” in testi creativi di quest’ultimo decennio:

(i) Pierluigi Felli e Antonio Romano 2010: “[…] frattanto aveva assunto una faccia da stoccafisso fissando il lampadario. Si mise a guardarlo anche lei, studiandolo, poi guardò anche gli altri due, poi guardò di nuovo lo stoccafisso, poi gli altri due, infine se ne tornò indietro barbugliando qualcosa d'astruso e maledicente” (Quando suona il gong, Fuoco Edizioni,  p. 99).

(ii) Antonio Amoruso 2011: “Peter rimase con una  faccia da stoccafisso. Era stanco e non gli andava di discutere con miss pila atomica” (Rue Amor. Il tempo delle mail, Edizioni Forme Libere, p. 102)

(iii) Aldo Gritti 2012: “A numero esatto, corrisponde il numero esatto” sentenziò quello, con la  faccia da stoccafisso.  Aveva ragione! Le calzarono in modo perfetto. Si fece incartare le scarpe e uscì dal negozio con ai piedi il nuovo acquisto […]” (I custodi della pergamena proibita, Rizzoli).

(iv) Anne Perry 2014: “Deve voler dire qualcosa, se no non lo guarderebbe con quella faccia da stoccafisso (I dannati del Tamigi (Il Giallo Mondadori), Mondadori).

(v) Alberto Stimolo 2014: “Eccolo lì, con la faccia da stoccafisso e lei l' accanto, con la faccia da strega. Quant’è brutta!” (Il libro e il quadro, Lulu-com, p. 192).

(vi) Peter Game · 2015:  “- E chi è questa faccia da stoccafisso? fece storcendo il muso” (Alien Z1: scuola per cacciatori di alieni. Il mistero dei cristalli Tavì, Youcanprint).

(vii) Pino Mulè 2017: “Vedere il collega rigido con la faccia da stoccafisso portò qualcuno a sghignazzare, tra di questi c'era Mattia. «Sembra un ebete, non so se riesco a stare fermo in quel modo» disse a bassa voce a un collega” (Moderatamente sbracato, Youcantprint Self-Publishing).

(viii) Angelo Roma  2018: “Un divo americano con la faccia da stoccafisso alla William Holden o James Stewart, cui dare vitalità, colore e personalità con la propria voce” (I contraccolpi, Mondadori Libri Electa Trade).

(ix) Bruno Di Ciaccio 2020: “Marco, con una faccia da stoccafisso e le spalle un po' incurvate, si diresse lento lento verso la cucina” (Nient'altro che polvere, Ali Ribelli Edizioni).

(x) Giada Pavesi 2020: “[…] senza prestare attenzione a Michele e alla sua faccia da stoccafisso” (MySelf . Conosco i tuoi segreti, Piemme).





 








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sabato 18 novembre 2023

Sgroi - 161 - Così parlò Papa Francesco: «No a cristiani con faccia di baccalà»



di Salvatore Claudio Sgroi

 

        1. Catechesi papale del mercoledì


Qualche giorno fa,  Papa Francesco in occasione della settimanale catechesi del mercoledì in Piazza San Pietro, come ha ricordato Rosalia Gigliano  in “La Luce di Maria” on line 15.XI.2023 < Udienza generale, Papa Francesco: “No a cristiani con faccia di baccalà” - La Luce di Maria>,

 si è così espresso:

 

«Un cristiano scontento, triste, insoddisfatto o, peggio ancora, risentito e rancoroso non è credibile. Parlerà di Gesù, ma nessuno gli crederà».

 

Ed ha quindi aggiunto:

 

«Una volta mi diceva una persona di queste persone: “Sono cristiani con faccia di baccalà”, cioè non esprimono niente. E la gioia è essenziale. Il Vangelo non è un’ideologia, è un annuncio di gioia».

 

Il titolo dell’art. su citato «Udienza generale, Papa Francesco: “No a cristiani con faccia di  baccalà”» riportava invece nell’art. di “Famiglia Cristiana” on line la variante «Il Papa: “I cristiani senza gioia hanno la faccia da baccalà”» (<https://www.famigliacristiana.it/articolo/il-papa-i-cristiani-senza>).

 

      2. L’espressione faccia di/da baccalà


L’espressione faccia di/da baccalà, pur chiarita da Papa Francesco, non è invero molto comune. Non a caso non è registrata nei correnti dizionari dell’italiano (Zingarelli 2024, Devoto-Oli 2023, De Mauro 2000, ecc.), né nel GRADIT (Grande dizionario italiano dell’uso, 2007, 8 voll.) e neppure nel Grande dizionario [storico] della lingua italiana del Battaglia (1961-2009, 25 voll., anche on line).

Il fatto poi che Papa Francesco precisi di aver sentito da “una persona” tale espressione esclude che si tratti di un suo uso idiolettale, o di un calco sul suo spagnolo nativo (l’espressione manca infatti nel Grande dizionario spagnolo bilingue sp.-it. e it.-sp., Zanichelli 2012 e nei monolingui come il Diccionario de la lengua española della Real Academia Española, anche on line), o che sia da collegare con le sue origini familiari piemontesi.

 

3. Visibilità di faccia di baccalà


L’espressione manca nel Primo Tesoro della lingua letteraria italiana del Novecento del sessantennio 1947-2006 e nella LIZ/BIZ (“Biblioteca Italiana Zanichelli”) ricca di c. 1000 testi della letteratura italiana dalle origini a metà 900.

Una scorsa in “Google libri ricerca avanzata” consente tuttavia di accertare una qualche vitalità del composto faccia di baccalà a partire del Terzo millennio in 4 testi creativi, di cui uno tradotto dall’inglese:

 

(i) Giancarlo Narciso · 2002: “Non provava alcuna gioia a trovarsi in quella città, e ne provava ancor meno all’idea di essere sul punto di ritrovarsi la faccia di baccalà del suo cliente” (Sankhara: un'indagine di Butch Moroni P.I, Fazi Editore, p. 90).

(ii) Silvano Ceccherini · 2013: “E poi con quella faccia di baccalà lesso, bisogna proprio pensare che le franciose siano di bocca buona” (La traduzione, Lit Edizioni, e-book).

(iii) Giuseppe D'Ambrosio Angelillo · 2015: “Là c’era un giornalista sportivo  Beppe La Grana del Tg4, e quello stava lì a fare il cronista della partita religiosa, a lui lo volevo proprio fare fuori, era così urticante e antipatico già solo a guardarlo nella sua faccia di baccalà salato” (Kafka: storielle minime, Acquaviva, p. 532).

(iv) Shirley Jackson · 2023 (orig. ingl. 1949): “È rimasto lì seduto” rispose Laurie, mettendosi a tavola. “Ciao papà,  faccia di baccalà (La strega,  ed. digitale, Adelphi).

(Ci è rimasto inaccessibile il testo di Francesco (Jorge Mario Bergoglio), ‎Antonio Spadaro, I bambini sono speranza. Ediz. a colori 2020, con una possibile occorrenza del composto).

 

4. Vitalità di faccia da baccalà

Più numerosi invece gli esempi – ben 22 – di cui due nel ‘900 gli altri nel Terzo millennio del composto faccia da baccalà, sempre in testi creativi (qualcuno tradotto dallo spagnolo e dal catalano), i più illustri dei quali sono:

 

(i) Elena Ferrante · 2011: “Pensai: sbaglierò i congiuntivi, mi troveranno impacciata, sono dei gran signori, […] cosa dirò, avrò la faccia da baccalà. Ma appena li vidi mi calmai” (L'amica geniale, Edizione completa,  Edizioni e/o).

(ii) Manuel Vázquez Montalbán · 2020: “[…] se c’è una retata tu, con la tua faccia da baccalà...” (Carvalho indaga, Feltrinelli, ed. digitale, trad. dallo spagn. 2011 di Hado Lyria).

 

E poi:

 

(iii) 1988: “Pussa via -- pussa là -- brutta faccia da baccalà !” (“Nuovi argomenti”, p. 116).

(iv) Elisa Bergamaschi Zari · 1997: “ Non sembra neppure italiano. Freddofaccia da baccalà (Quelli che vanno: romanzo, La vita felice, p. 106).

(v) Enrico Palandri · 2003: “[…]  Tommaso mi guarda con faccia da baccalà e mi chiede : Sei impazzito , Giacomo ? […]” (L'altra sera, Feltrinelli, p. 10).

(vi) Paolo Cherubini · 2010: “Il mio cinese è fluente (buffo, Luca Valpieri con la faccia da baccalà, pensò Valérie)” (histoire d'amour. romanzo, Sironi, p. 177).

(vii) Gabriella Genisi · 2010: “Espò, e che fai quella faccia da baccalà! Che ci avrà mai 'sta cazz di femmina? Falla entrare va' dico, ruvida” (La circonferenza delle arance, Marsilio, terza ed. digitale 2021).

(viii) Gabriella Genisi · 2015: “E mentre Forte fa la solita faccia da baccalà scorro la lista dei convocati” (Spaghetti all'Assassina. romanzo, Marsilio, ed. digitale).

(ix) Cinzia Morea · 2015: “Non fare quella faccia da baccalà” sussurrò “la Gallotti sta guardando verso di te” (Costantino e Rosa Scompiglio, Edizioni Esordienti E-book).

 (x) Alessia Del Gobbo · 2016:  “Tocca ancora mio fratello, per di più con quella faccia da baccalà che ti ritrovi e ti assicuro che rimpiangerai di non aver veduto il Diavolo” ringhiò Nion […]” (Lungomare delle meduse, Gruppo Albatros Il Filo).

(xi) Giorgio Diaz · 2016: “Feci una  faccia da baccalà, ma si vedeva che ero compiaciuto” (Città ingrata, Temperino rosso edizioni).

(xii) Simone Cavellini · 2017: “[…] tutto ciò che sai fare e restare impalato con la faccia da baccalà? Dai Lucio, datti un tono!” (Il buio è fragile, Aletti editore).

(xiii) Francesca Di Stefano · 2017: “Ma chi è quello là // con quella faccia da baccalà?” (L'italiano in versi. Composizioni poetiche per l’insegnamento dell’italiano, Lulu.com, p. 18).

(xiv) Felicia Kingsley · 2017:  “Vorrei avere uno specchio per farti vedere la faccia da baccalà che hai adesso” (Matrimonio di convenienza - Stronze si nasce - Una Cenerentola a Manhattan, Newton Compton).

(xv) Sara Maiorino · 2018 : “[…] vedendo la mia buffa faccia da baccalà, mi ricordò della sgridata che m'aveva fatto solo un'ora prima la professoressa” (Lo smeraldo lucente. Romanzo, Lampi di stampa, p. 92).

 (xvi) Matranga&Minafò · 2018 : “e io invece lo guardavo con la faccia da baccalà pensando: ‘ma io voglio fare ridere, non il professore di matematica!’” (Io Matranga, tu Minafò!, Lit Edizioni).

(xvii) I Trentenni· 2018: “Faccia da baccalà, si è avverata la profezia. Magicamente il tuo momento è arrivato, la tua favola è arrivata” (I Trentenni. L'estate dei Trentenni, Mondadori, e-book).

(xviii) Alfio Caruso · 2019:  “Mi sistemai sullo sgabello, adottati una faccia da baccalà(Willy Melodia, Neri Pozza ed.).

(xix) Alessia Giovanna Matrisciano · 2020: “Cos’è quella faccia da baccalà? Solo perché è morto lì non vuol dire che ci restino i germi” (Commedia Rossa , operadatresoldi, p. 16).

(xx) Valentina Preto · 2021: “Per  una volta non ero io ad avere quella faccia da baccalà (Il destino proibito. L’ombra oscura, Gruppo Albatros Il Filo).

 (xxi) Andrea Pistoia · 2022 seconda ed.: “Ehi, ripigliati. Non ti si addice quella faccia da baccalà (Ancora e mai più (nelle mutande), Pubme).

(xxii) Miqui Otero · 2022 : “Ona fece una faccia da baccalà secco, da baccalà con una chioma scandinava” (Simón. Romanzo, Mondadori; trad. dal catalano di Pierpaolo Marchetti).

Sommario


1.      Catechesi papale del mercoledì

         2. L’espressione faccia di/da baccalà


3. Visibilità di faccia di baccalà

4. Vitalità di faccia da baccalà









 

 

 

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