domenica 30 aprile 2023

Una curiosità linguistica: perché il papa si chiama... papa

 

Se apriamo un qualsivoglia vocabolario alla voce “papa” cercandone l’etimologia, leggiamo: “dal tardo latino ‘papa’ (padre) ; titolo dei vescovi, poi del papa”.

Si veda, in particolare, qui. È interessante, invece, la tesi (non riportata dai dizionari consultati) di alcuni studiosi che ritengono derivi dall’acronimo delle parole latine PAstor PAstorum”, che significano “Pastore dei pastori”, oppure di PAter PAtrum” che stanno per “Padre dei padri”, o ancora delle parole Petrus Apostolum Potestatem Agens”, “l’Apostolo Pietro che detiene il potere” (della Chiesa, ovviamente).

Per quanto attiene all’uso dell’articolo con il predetto sostantivo riportiamo la “Nota d’uso” di Sapere.it: ·Il nome papa, quando è seguito dal nome proprio, può essere o non essere preceduto dall’articolo determinativo; perciò si può dire, il papa Leone XIII o papa Leone XIII. L’omissione dell’articolo è più frequente quando il nome proprio non è seguito dal numerale ordinale (papa Leone) e quando si usa il cognome e non il nome assunto come papa (papa Luciani).

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La lingua "biforcuta" della stampa

IL CAPO DELLO STATO

Mattarella a Reggio Emilia anticipa il 1° maggio: "Le imprese cercano personale qualificato, ma la precarietà stride con lo sviluppo"

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Correttamente: 1 maggio (senza esponente). Perché, come spiega la Crusca, le indicazioni comprendenti anche mese e giorno sono introdotte modernamente da un articolo maschile singolare: «il 20 settembre 1870»". Per estensione, si può aggiungere che, nel caso di una data come 11/10/1989, l'articolo che vi si anteporrà sarà l' (seguendo la pronuncia della data: l'undiciottobre millenovecentoottantanove); stessa regola vale per le date che iniziano con 1: anche per queste, si considera il modo in cui tali date vengono pronunciate e quindi si scriverà il 1/2/2003 (cioè il primo febbraio duemilatré). Infatti, come specifica Serianni, "Per i giorni del mese si usa l'ordinale per il giorno iniziale [...], ma il cardinale per i giorni successivi, siano o non siano accompagnati dal giorno del mese [...]."

 

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ROBINSON

Fiabe classiche, segreti e "gossip" da Aladino a Cenerantola

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Ma non era Cenerentola? No, forse il nome è corretto: probabilmente il contatto con la cenere le provocava dei continui rantoli, da qui... Cenerantola.


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IL CASO

"Rinoceronti bianchi vendesi", l'asta senza precedenti del milionario in crisi per salvare i suoi 1.993 esemplari

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Correttamente: vendonsi (o si vendono). Non è un si impersonale, ma passivante (i rinoceronti vengono venduti o sono venduti).

 




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sabato 29 aprile 2023

Bei occhi o begli occhi?

 


L'uso dell'aggettivo bello è causa di dubbi anche in persone di media cultura: bei occhi o begli occhi? Diciamo subito che la forma corretta è begli occhi. Vediamo, succintamente, come "funziona".  Bello, dunque, si può elidere o troncare. Si elide, cioè si apostrofa, davanti a parole che cominciano con una vocale: è veramente un bell'animale; si tronca davanti a una consonante (purché non sia una "s" impura, chiamata anche 'complicata' o 'preconsonantica', una z, o la parola cominci con i gruppi ps e gn): un bel dipinto, un bel costume; avremo, invece, un bello scopo, un bello gnomo, un bello zero. Si userà sempre bello se detto aggettivo è posposto al sostantivo: un libro bello (un bel libro). Per quanto attiene al plurale avremo begli davanti a vocale, s impura, z e con i gruppi gn e ps; bei davanti a tutte le altre consonanti: begli angeli, begli scherzi, bei capelli. Sempre belli quando, come nel singolare, è posposto al sostantivo o è adoperato in funzione di predicato nominale: uomini belli, tutti i bimbi sono belli. Il femminile non presenta particolari problemi: bella (singolare) e belle (plurale). L'aggettivo in oggetto concorre anche alla formazione di alcune locuzioni. Vediamone qualcuna: bell'e fatto, bell'e morto, bell'e buono.




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venerdì 28 aprile 2023

E la virgola dove la metto?


 Riproponiamo un nostro vecchio intervento sull'uso corretto della virgola perché gli operatori dell'informazione, soprattutto le così dette grandi firme (che si piccano di "fare la lingua"), inseriscono le virgole a caso rendendo il testo pressoché incomprensibile...

 

Buona parte degli operatori dell’informazione - quelli usciti dalla scuola di oggi, in modo particolare - sono completamente all’oscuro delle leggi che regolano l’uso corretto dei segni d’interpunzione: li mettono a caso. La colpa, come dicevamo, è probabilmente della scuola che ha abdicato del tutto al suo compito primario --  soprattutto da quando è stato messo al bando il nozionismo --  quello, cioè di formare, anzi di "inculcare" nei giovani la cultura della lingua. Premesso che l’uso della punteggiatura - della virgola in particolare - è affidato al buon senso e al gusto di chi scrive, vi sono delle precise norme, però, che devono essere rispettate; non si possono adoperare le virgole come se fossero del sale; racchiuderle in una "virgoliera" e poi spargerle dove capita: Pasquale, (virgola) lavorava instancabilmente. Vediamo, quindi, per sommi capi e sforzandoci di non cadere nella pedanteria, l’uso corretto della virgola nel corpo della frase e del periodo. La virgola, innanzi tutto, viene - come il solito - dal latino "virgula", diminutivo di "verga", vale a dire "bastoncino" in quanto gli amanuensi (la stampa non era stata ancora inventata) la rappresentavano con una lineetta segnata obliquamente e stava a indicare (e indica tuttora) una brevissima pausa. Questa "pausa" (la virgola) deve essere segnata obbligatoriamente (in questi casi, quindi, non c’entra il gusto di chi scrive):

a. nelle enumerazioni e negli elenchi per dividere aggettivi, nomi e avverbi indicati l’uno dopo l’altro: erano presenti tuo padre, tuo cugino Luciano, tua cognata Marta;

b. prima e dopo il vocativo: per cortesia, amici, un po’ di silenzio!

c. prima e dopo i complementi che sono spostati nell’ordine naturale della proposizione: riportò tutto, con la massima sincerità, ai suoi diretti superiori;

d. per separare le proposizioni coordinate per "asindeto" (vale a dire con una virgola, per l’appunto): entrò come una furia, ci insultò, ci picchiò, e se ne andò.

A questo proposito è giunto il momento di sfatare un "pregiudizio" - duro a morire - che alcuni insegnanti (sostenuti da "sacri testi" non degni di circolare "a piede libero" nelle scuole) inculcano nei loro allievi: prima e dopo la congiunzione "e" non si deve mettere la virgola. Costoro - e i loro accoliti - gentili amici, bestemmiano! Come bestemmiano tutti coloro che non accentano - altro "pregiudizio scolastico" - il pronome sé quando è seguito da stesso o medesimo. Ma non divaghiamo e torniamo alla congiunzione "e" che accetta o respinge la virgola a seconda dei casi. È necessario distinguere, infatti, la funzione della "e". Se questa, cioè la "e", ha valore di copula, vale a dire di congiunzione vera e propria, rifiuta categoricamente - e la cosa ci sembra ovvia - la virgola: vino, pasta e carne. Se la "e", invece, è un semplice rafforzativo ‘accetta’ la virgola in quanto quest’ultima dà alla frase una certa enfasi: e viene, e ritorna, e riparte; e tre, e quattro, e cinque! Per concludere: la congiunzione "e" non respinge la virgola "a priori".


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La lingua "biforcuta" della stampa

LE ASSUNZIONI

Caccia aperta alle donne pilota. La comandante di Ita: "Così io ce l'ho fatta. Le ragazze devono provarci"

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Pilota appartiene alla categoria dei così detti nomi (o aggettivi) epiceni (ambigenere), vale, quindi, tanto per il maschile quanto per il femminile, il "sesso" si riconosce dall'articolo per quanto attiene al singolare: il pilota/la pilota. Nel plurale femminile la "a" si muta in "e": la pilota/le pilote. Correttamente, dunque: donne pilote.



 

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sabato 22 aprile 2023

C'è cireneo e... cireneo


 Due parole sul sostantivo e aggettivo "cireneo" che ha due accezioni: "abitante o nativo di Cirene" e "persona che si addossa, volontariamente o per costrizione, un compito faticoso che toccherebbe ad altri". I vocabolari, in genere, "liquidano la faccenda" -- come il Sabatini Coletti, per esempio -- attestando il lemma "sostantivo maschile", senza distinzione alcuna. Per chi scrive, invece, la distinzione è fondamentale per l'accordo. Quando il predetto termine è in funzione demotica, quando, cioè, indica l'abitante sarà maschile o femminile con i rispettivi plurali: il cireneo/i cirenei; la cirenea/le cirenee. Quindi: ieri ho incontrato il mio amico cireneo; il mese scorso Giovanni è andato in crociera con la sua compagna cirenea. Allorché il sostantivo (o aggettivo) in oggetto è adoperato per indicare colui/colei che si addossa, per altri, una fatica (anche morale) sarà tassativamente maschile e invariabile: Giulio è sempre stato il cireneo della squadra; a Matilde è toccato in sorte di fare il cireneo per tutta la stagione. Attendiamo, come sempre, gli strali dei soliti bastian contrari. Se arriveranno ci scanseremo.
Una curiosità: per il Tommaseo-Bellini un cireneo è anche "uno scolaro che fa il compito per un altro scolaro".

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La lingua "biforcuta" della stampa

VIGEVANO

Uomo ucciso dal fratello della fidanzata dopo che l'aveva colpita con una tv in testa

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Correttamente: con un televisore. Probabilmente, anzi, sicuramente i titolisti (o chi per loro) non conoscono la differenza fra televisione e televisore. Per alcuni (tutti?) operatori dell'informazione, insomma, fra televisione e televisore non v'è differenza alcuna; conoscono benissimo, però, gli anglismi 'caserecci' che inquinano l'italico idioma.


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LA STORIA

Leo, il gatto abbandonato nel trasportino insieme a giocatoli e cibo: "Non potevano più a mantenerlo"

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A parte il refuso 'giocatoli', c'è un orrore di carattere sintattico: il verbo potere, finora, è transitivo (via quella 'a', quindi).


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L'ALTRA DOMENICA

Sheffield, storie dalla città dove è nato il football. Dalla squadra più antica del mondo alla sfida con i più forti del mondo

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È nata prima la squadra e poi l'universo? Un viaggio premio in giro per il mondo a chi darà la risposta esatta. 

 


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venerdì 21 aprile 2023

Inglesismi "caserecci"

boxA proposito degli anglismi che stanno invadendo il nostro idioma scopriamo, dal sito della Zanichelli, un articolo di Vera Gheno in cui ci fa notare che usiamo degli anglismi che in realtà non lo sono, perché molto spesso i nostri inglesismi sono "caserecci" in quanto nella lingua d'origine hanno un significato del tutto diverso o sono inesistenti. Qui l'articolo. 





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La lingua "biforcuta" della stampa

USA

Condannata a 21 anni la donna russa che provò ad avvelenare la sosia con una cheesecake

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Correttamente: il sosia. Si veda qui.

 

L'immagine è ripresa dal sito della Zanichelli

giovedì 20 aprile 2023

Che spaghetto!


«L
a strada era deserta e pioveva a dirotto, a un tratto ho visto un'ombra che si avvicinava verso di me; non vi dico che spaghetto mi son preso!». Per alcuni autori questo modo di dire familiare ("prendersi uno spaghetto"), particolarmente adoperato in Toscana, deriverebbe verosimilmente dall'immagine di una persona che si contrae su sé stessa per gli spasimi della paura, oppure che si "raggomitola" per ripararsi da un pericolo, proprio come si avvolge uno spago sul gomitolo. Piú aderente alla "realtà linguistica", a nostro avviso, la spiegazione che dà, invece, Ottorino Pianigiani, anche se non gode della "fiducia linguistica" di numerosi glottologi:













 

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martedì 18 aprile 2023

Un orrore linguistico in Rete

 


Dal sito "linkiesta.it":

I verbi essere e avere sono verbi ausiliari in quanto aiutano tutti gli altri verbi nella formazione dei tempi composti. L’ausiliare essere viene usato con la maggior parte dei verbi intransitivi (sono andato), con la forma passiva dei verbi intransitivi (sono stati premiati), con i verbi riflessivi e riflessivi reciproci (mi sono pettinato), con il si impersonale (si è detto), con il si passivante (si è udita una voce). L’ausiliare avere viene usato con la forma attiva dei verbi transitivi (ho mangiato), con alcuni verbi intransitivi (ho camminato). Nella forma passiva, l’ausiliare essere (a volte) viene sostituito dal verbo venire (è sgridata, viene sgridata). Ci sono alcuni verbi (es: correre, piovere) che ammettono entrambi gli ausiliari, a seconda che si tratti di un’azione continua o di un’azione momentanea. Siccome possono sorgere dei dubbi sulla scelta dell’ausiliare da usare, anche in questo caso il consiglio è quello di consultare il vocabolario; accanto ad ogni verbo è indicato l’ausiliare richiesto.

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Riteniamo necessario emendare un errore (meglio: orrore) che potrebbe indurre in... errore gli studenti e le persone che hanno scarsa "dimestichezza" con la lingua di Dante e di Manzoni. Là dove si legge (il verbo essere) "viene usato con la forma passiva dei verbi intransitivi (sono stati premiati)" va corretto "con la forma passiva dei verbi transitivi". Occorre aggiungere, per maggiore chiarezza, che nella forma passiva si può usare il verbo "venire" invece di essere solo nei tempi semplici: Mario viene lodato da tutti. Nei tempi composti non si può adoperare il verbo venire in quanto la frase risulterebbe sgrammaticata (o agrammaticale): Mario è stato lodato da tutti, non *Mario è venuto lodato da tutti. Come abbiamo scritto altre volte, quindi, ciò che si trova in Rete, soprattutto per quanto attiene alla lingua italiana, va considerato con la massima riserva.



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lunedì 17 aprile 2023

Una "falsità linguistica"


A
bbiamo letto in alcuni testi grammaticali, di autori non noti, una "notizia" che ci ha sconvolto: il sostantivo 'fogliame', appartenente ai nomi cosiddetti collettivi, non si pluralizza. Gesummaria, che "falsità linguistica"! Falsità che può indurre in errore le persone poco avvezze alla lingua. Fogliame è, sì, un nome collettivo derivando da foglia con l'aggiunta del suffisso "-ame" che dà alla parola, così formata, un valore collettivo, appunto, ma si pluralizza normalmente: il fogliame/i fogliami. Vediamo cosa dicono i vocabolari consultati. Non specificano il De Mauro, il Palazzi, lo Zingarelli, il Devoto-Oli, il DOP, il Treccani e il Sabatini Coletti, lasciando intendere, quindi, che il termine in oggetto prende la regolare desinenza del plurale. Attestano chiaramente il plurale, invece, il Gabrielli, il Garzanti e l'Olivetti. Diciamo, dunque, senza tema di sbagliare, che in quel giardino ci sono vari fogliami. E a proposito di nomi collettivi, abbiamo avuto bisogno di un cardiotonico quando abbiamo letto sul sito "linkiesta.it" che 
un gruppo di ragazzi è sulla spiaggia. L’errore, in questa frase, non c’è. Ci sarebbe, invece, se fosse scritto che “un gruppo di ragazzi sono sulla spiaggia”. Perché? Perché gruppo, così come altri nomi che indicano un insieme di persone, di animali o di cose, è un nome collettivo. I nomi collettivi sono quei nomi che, pur essendo utilizzati al singolare, indicano più persone, animali o cose. E proprio perché utilizzati al singolare, chiedono che anche il verbo sia coniugato alla terza persona singolare. Sbagliato, dunque, farsi distrarre dalla specificazione che segue il nome collettivo (nel nostro esempio, di ragazzi) che, ovviamente, è al plurale. No, amici lettori, questa è un'altra "falsità linguistica": "un gruppo di ragazzi sono sulla spiaggia" non è affatto uno strafalcione, si tratta di un accordo a senso in cui il verbo è "accordato" non con il soggetto grammaticale (gruppo) ma con quello logico (ragazzi). Si tratta, insomma, di un fenomeno linguistico chiamato sillessi.


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domenica 16 aprile 2023

Un plurale ritenuto errato: "purosangui"

 


Contrariamente a quanto riportano le comuni grammatiche e i comuni vocabolari, l’aggettivo e sostantivo “purosangue” non è tassativamente invariabile. Essendo un nome composto si può pluralizzare secondo la regola della formazione del plurale dei nomi composti. Tale norma stabilisce che i nomi composti di un aggettivo e un sostantivo formano di regola il plurale come se fossero nomi semplici (cambia, quindi, la desinenza del sostantivo): il biancospino, i biancospini; la vanagloria, le vanaglorie; il purosangue, i… purosangui. Coloro che preferiscono dire e scrivere “purosangui”, pertanto, non possono essere tacciati di crassa ignoranza linguistica. Esiste anche, sebbene di uso raro, un altro plurale: purisangue. Il plurale ritenuto errato (purosangui) e, quindi, condannato dagli "addetti ai lavori", come usa dire, è immortalato in numerose pubblicazioni (tra cui "Parlare italiano" del linguista Leo Pestelli). Attendiamo la riprensione, accompagnata dagli strali, dai/dei soliti "soloni della lingua". Ma tant'è.

 

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La lingua "biforcuta" della stampa

Jean-Marie Le Pen ricoverato: situazione «grave» per il fondatore del Front National

La famiglia è vicino a lui

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In questo caso è "più corretto" l'aggettivo vicina.


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Diluvio a Roma, sott'acqua il primo piano di palazzina: evacuati gli inquilini

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Sarebbe interessante sapere a quanto ammonta la spesa per l'acquisto dei lassativi.

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Da “S.O.S. Scrittura – Primo soccorso linguistico” (Picozza – Raso – Strati)

Evacuare -  si eviti l’uso di questo verbo quando sta per abbandonare, sgomberare e simili: un palazzo è stato fatto sgomberare.


 


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venerdì 14 aprile 2023

Una "svista treccaniana"


Da "Domande e risposte" del sito Treccani:

  È corretto scrivere "circa la metà delle pendenze civili hanno natura fiscale", oppure "circa la metà delle pendenze civili ha natura fiscale"?

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 Sono possibili entrambi le soluzioni. La seconda soluzione è grammaticalmente inappuntabile: metà (soggetto) ha (verbo concordante nel numero). Ma quando il soggetto, come nel nostro caso, è collettivo e generico e regge un partitivo (la maggioranza di, un gruppo di, un paio dila metà di ecc.), la concordanza grammaticale, che richiederebbe un accordo al singolare, può lasciare il posto alla concordanza a senso, che privilegia l’elemento più importante dal punto di vista del significato (la metà delle pendenze hanno).

 Quest’ultimo uso è molto diffuso nella lingua corrente parlata ma è presente anche nella lingua scritta. Da notare che questo tipo di concordanza a senso era molto frequente nell’italiano antico.

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Stupisce il constatare che agli occhi attenti degli esperti linguisti sia sfuggita una "svista... vistosa": 'entrambi' in luogo della forma corretta entrambe. Il sostantivo femminile plurale 'soluzioni' è femminile e in quanto tale l'aggettivo cui si riferisce deve essere femminile plurale, come riporta lo stesso vocabolario Treccani che, guarda caso, fa l'esempio di "entrambe le soluzioni":
(ant. entrambo, intrambi) pron. pl. m. (f. -e) [lat. inter ambos «fra tutti e due»]. – Tutt’e due: Già lassi erano entrambi (T. Tasso). Usato come agg., precede di solito il sostantivo, e vuole dopo di sé l’articolo: entrambi i consoli, entrambe le soluzioni. La redazione emenderà la risposta o farà spallucce come nel caso, segnalato, del "sú accentato"?

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La redazione ha emendato il testo (17/4/2023)


 

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mercoledì 12 aprile 2023

In difesa della lingua italiana



Dal dr Claudio Antonelli (Montrèal - Canada) riceviamo e pubblichiamo

 

Più d’uno nella penisola, ma non tra gli italiani all'estero, ravviserà nella proposta di legge di Fabio Rampelli per la difesa della lingua italiana un’involuzione di sapore autarchico, nazionalistico e pericolosamente nostalgico. E criticheranno la proposta di legge quelle persone che trovano sciovinisti e ridicoli i francesi, i quali insistono nel chiamare “ordinateur” non solo il loro ma anche il nostro computer. Gli italiani, da “cittadini del mondo” (invero un po’ speciali perché vanno in tilt - per usare quest’altra espressione grottesca falsamente inglese - quando sono costretti a mangiare spaghetti non al dente, il che è la triste regola all’estero) trovano comico l’insistere dei francesi sull’uso della loro arrogante lingua nazionale, e considerano oltraggioso lo scarso rispetto dei nostri cugini transalpini verso la lingua del mondo, a noi invece così cara.  

Che si rifletta invece su questo punto: non esiste una lingua unica, universale, ma esistono solo lingue locali. La stessa lingua inglese, di cui ci si serve ormai su scala planetaria, è un idioma fedele al suo passato e che esprime quindi un mondo di valori collegati a un ambito nazionale storico-geografico che per quanto ampio riflette una civiltà particolare. Che si pensi anche ai proverbi. Una lingua autenticamente planetaria sacrificherebbe i particolarismi culturali all’astrattezza e alla pura praticità di un linguaggio svincolato dalla storia. E appiattirebbe e sbiadirebbe le varie identità culturali dei parlanti.  

Ogni lingua ha il suo genio. Le lingue delle popolazioni autoctone del Gran Nord canadese contengono un ricco vocabolario di termini designanti i fenomeni naturali connessi al freddo, alla neve, al ghiaccio e alla particolare geografia dei luoghi in cui esse vivono da millenni.  

L’italiano così ricco e preciso dei nostri autori di un’epoca non proprio lontana – vedi Papini, Malaparte, Barzini – continua invece a perdere pezzi. L’attuale smodata importazione di parolette inglesi che rimpiazzano validissimi termini italiani non fa che aggravare questo processo d’impoverimento.  Abbiamo perso fare fiasco sostituito da fare flop. Gossip ha messo a tacere il pettegolezzo. I rumors hanno soffocato le voci e i chiacchiericci. Il summit ha sloggiato il vertice. L’onnipresente boss ha fatto tirare le cuoia ad una ricca nomenclatura criminosa, al vertice della quale vi era il capo di tutti i capi, espressione che solo all’estero pero’ ormai usano. Il vocabolario del crimine, per il quale noi italiani meritavamo il rispetto a livello mondiale, è oggi insidiato dai termini inglesi. Le vittime più illustri di questo assalto a colpi di vocabolario sono stati gli assassini, gli omicidi, gli uccisori, i sicari, sostituiti vergognosamente dall’americano “killer”.  Anche per chi non è un nostalgico del “bagnasciuga” non è stato facile accettare il luttuoso evento che ha visto il vecchio assassino alias omicida del codice Rocco tirare le cuoia e tramutarsi a guisa di zombie in killer. Che a sua volta ha figliato un ributtante killeraggio.

Oggi va di moda il progetto globalista, con l’abolizione delle frontiere fisiche, storiche e culturali della Nazione. Un mondialismo che è all’insegna dei valori nazionali americani. L’appecoronamento all’“italiese” (italianese, italese, itanglese, anglitaliano, inglesiano, itangliano) degli abitanti della penisola, governo ed élites (mi scuso per la esse) in testa, non è altro che cedimento, sottomissione, disgregazione dei nostri parametri identitari; il tutto condotto con spirito da camerieri, da giullari, e da sciuscià se mi è permesso questo inglesismo che è ormai insostituibile.

All’Accademia della Crusca è stato rivolto tempo fa il quesito: come rendere in italiano il termine inglese “to scan”? La risposta della Crusca: "massima libertà di scelta circa l'uso di scandire, scannare, scannerizzare, e anche eseguire una scansione e scansionare". Quelli della Crusca ci dicono in sostanza: fate come volete. Io vorrei invece che questa istituzione avesse un ruolo meno passivo e meno contemplativo. Mi piacerebbe che svolgesse un ruolo "alla francese", insomma. Ma so bene che forse non c'è una sola persona nella penisola che non si faccia regolarmente beffe del cosiddetto sciovinismo della "Académie Française" e degli altri organismi dell'Esagono preposti alla difesa della lingua nazionale. Funzione che io considero invece ammirevole.

Il qualunquismo della Crusca dà un contributo dannoso a un certo stato confusionale della lingua italiana, la quale vanta pagine di dizionari strapiene di varianti di forma di questo o quel termine, come ad esempio obbediente-ubbediente-ubbidiente considerati uguali-eguali tutti e tre, mentre è una lingua che presenta tante lacune. Molte delle quali sono dovute anche alla rimozione di termini che “non suonano bene”, come certe forme verbali eliminate dall’uso per la loro presunta cacofonia. Il crescente uso di termini inglesi riduce ancor di più la ricchezza e la varietà della nostra lingua, nella quale sempre piu’ di frequente termini validissimi vengono rimpiazzati da una paroletta americana, comicamente pronunciata e che stride eufonicamente.

L'ossessione del "Suona bene? Suona male?" tiranneggia gli italiani, pieni di idiosincrasie in fatto di pronunce e di accenti, ma dalle cui strozze fuoriescono, purtuttavia, gli sgangherati suoni dei termini inglesi (anglismi/anglicismi/inglesismi) esproprianti gli autarchici termini del nostro vocabolario. Flop ha rimpiazzato fiasco; jackpot è usato al posto di montepremi; supporter ha preso il posto di tifoso; il cartellino da timbrare al lavoro è divenuto un badge; il restyling è termine che non fa parte del gergo di parrucchieri con l'erre moscia, ma di vigorosi asfaltatori di strade con il volto bruciato dal sole. Occorrerebbe un po’ di restyling anche per la lingua italiana, affinché si riduca un'inutile obesità di forme e se ne protegga la ricchezza, riesumando certi termini molto precisi di un tempo, finiti purtroppo nel dimenticatoio.

  Visto che è stato citato Pirandello, giova riportare a questo punto un giudizio di De Mauro sugli anglicismi. Una premessa: De Mauro non fu certamente un sovranista, anzi fu un rispettato progressista, “laico di ispirazione marxista” come egli stesso si definì. L’intervistatore: “Se negli anni Cinquanta la televisione ha insegnato l'italiano agli italiani, oggi sembra voler insegnare loro l'inglese. Quali effetti provoca nella lingua comune l'atteggiamento anglofilo dei grandi mezzi di comunicazione?” De Mauro: “Magari insegnasse l'inglese davvero. Insegna, in titoli di trasmissioni e di sue articolazioni, l'esibizione sciocca e inutile di qualche anglismo, come educational per educativo. Del resto, anche come ministro, ho protestato in Parlamento contro queste ridicolaggini, il question time, per le interrogazioni urgenti, o il Welfare del ministro Maroni. Ha da passà a nuttata”.

Oramai i traduttori dall’italiano all’inglese, se seri e onesti, dovranno tradurre in inglese non solo le parole italiane ma anche i termini inglesi che il testo italiano contiene. Questi termini, infatti, sono spesso errati o usati a sproposito. Ad esempio, il writer (graffitaro) del testo italiano diventerà – nella giusta traduzione- “tagger” o “graffiti artist”, il rider (fattorino in bicicletta) diventerà “delivery man on bike”. L’“open day” dei vaccini, resterà “open day” nella traduzione inglese, ma pochi anglofoni ne capiranno il senso. E che dire del nostro "smart working", espressione imprecisa e anche sbagliata quando viene usata al posto di telelavoro, lavoro da casa? Inglesi e americani, infatti, ricorrono a “remote working”, “work from home”, e non a “smart working” per designare il lavoro che si fa da casa grazie alla Rete.

Concludo segnalandovi un fatto incredibilmente ridicolo: la Camera dei deputati risponde in inglese a chi si dichiara contento del progetto di legge che mira a fare dell'italiano la lingua obbligatoria delle istituzioni italiane nei loro rapporti con il cittadino italiano. Ecco infatti il messaggio che ho ricevuto dopo aver inviato alla Camera dei deputati un messaggio di sostegno alla proposta di Rampelli. “We confirm that your message with object: Trasmesso via sito - La difesa della lingua nazionale, sent on at 14:50 has been successfully registered.” È proprio vero che, come dicono i napoletani, ma non so per quanto tempo ancora, prima che anche loro non lo dicano in inglese: “O pesce fete da capa!”


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La lingua "biforcuta" della stampa

Ama licenzia 33 spazzini fannulloni: "Assenteisti cronici, sparivano 300 giorni al mese"

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Ci piacerebbe che i cronisti del quotidiano che ritiene Ostia un comune a sé stante e non, come è "giuridicamente", un quartiere di Roma ci spiegassero come si fa a sparire "300 giorni al mese".


 

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