mercoledì 30 settembre 2020

Piccola "dissertazione linguistica"

 


Apersero? Non si dice aprirono? Anche apersero.

Il verbo aprire (come ricoprire, scoprire, riscoprire, soffrire e altri che ora non ci sovvengono) nella 1ª e 3ª persona singolare e 3ª plurale del passato remoto presenta due forme: una forte e una debole.

La forma forte ha l'accentazione sulla radice: io apèrsi; quella debole sulla desinenza: io aprìi. Chi preferisce adoperare la forma forte e dire, per esempio, “tutti soffersero quella perdita", in luogo del più comune soffrirono, non può essere tacciato di ignoranza.

È solo questione di gusto stilistico.

Due parole sulla corretta grafia dei sostantivi composti con il verbo guardare: guardacaccia (e simili). Molti ritengono, erroneamente, che i nomi di questo tipo sono formati con “guardia" e “caccia" e scrivono, per tanto, guardiacaccia. No, assolutamente, la vocale i, al centro della parola, è abusiva.

Si tratta di un nome composto con un verbo (guardare) e un sostantivo (caccia). Diremo e scriveremo, quindi, guardacaccia, guardaspalle, guardalinee, guardaportone, guardaparco, guardafilo e via discorrendo.

La sola eccezione dovrebbe essere “guardiamarina", dove i componenti sono il sostantivo guardia e l'aggettivo marina.

Il termine, oltre tutto, è pari pari lo spagnolo guardia marina, trasportato nel nostro idioma in grafia univerbata. Negli altri casi, come abbiamo visto, è presente il verbo guardare nel senso di vigilare.

 Amante e amatore — i due termini non andrebbero adoperati indifferentemente. Il primo solo nel significato proprio del verbo amare da cui deriva; il secondo (con il femminile amatrice) nell'accezione di cultore, appassionato e simili: Pasquale è un amatore della lingua italiana.

Bisognare — verbo impersonale. Nei tempi composti richiede tassativamente l'ausiliare essere: giovedì era bisognato uscire. Seguito da un verbo di modo infinito rifiuta qualunque preposizione: mi bisogna parlarti (non di parlarti) urgentemente.

Brillare per l'assenza — espressione da non adoperare: brillare nell'accezione di distinguersi è un francesismo da evitare.

Cesto — sostantivo maschile che cambia di significato a seconda della pronuncia aperta o chiusa della e. Con la e chiusa ( césto) il termine indica una sorta di paniere; con la e aperta ( cèsto) il vocabolo definisce un'armatura di metallo o di cuoio che indossavano gli antichi pugilatori

Ambi e ambe ─ Contrariamente a quanto riportano i "sacri testi" (tutti?) l'aggettivo ambo si può pluralizzare regolarmente: ambi e ambe. Possiamo dire e scrivere, quindi, e nessuno può tacciarci di ignoranza, "da ambi i lati", per esempio, e "con ambe le mani".

Sono plurali di uso raro, certo, ma non per questo errati.


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La parola proposta da questo portale e non a lemma nei vocabolari dell'uso: cazzuoletta. Sostantivo femminile con il quale si indica un braciere per... bruciare i profumi


 

domenica 27 settembre 2020

Sgroi - 79 - "Smartabile": neologismo necessario o inutile?

 


di Salvatore Claudio Sgroi

 1. L'evento ministeriale

Il 4 giugno 2020 il ministro della P.A. Fabiana Dadone, constatando in senato che (i) "il lavoro agile, o smart working, si è rivelato uno strumento chiave nel periodo cruciale dell'emergenza sanitaria" ha previsto che "ciascuna amministrazione, individuate le attività smartabili, attivi la modalità agile ad almeno la metà di esse" (cit. da Licia Corbolante 17 giugno).

L'aggettivo smartabile è poi ritornato in altri testi e in altri sintagmi:

(ii) "i lavoratori e le mansioni che il ministero definisce 'smartabili'" (sito del Ministero 9 giugno; e Lorenzo Salvia e Massimo Persotti 17 giugno).

(iii) "Il 60% delle attività 'smartabili' dovrebbe essere effettuato da remoto" (ibid.).

(iv) "I lavori 'smartabili' sarebbero soprattutto quelli delle funzioni centrali (i ministeri e le Agenzie fiscali) [...] e gli Enti locali (Comuni, Regioni, Province)" (ibid. e in Andrea Bassi "Il Messaggero" 19 giugno).

(v) "espletamento delle pratiche e delle procedure non 'smartabili' connesse alle attività economiche strategiche" (L. Salvia e M. Persotti 17 giugno).

(vi) "Adesso si dice 'smartabili' per indicare le attività che possono essere fatte da fuori ufficio. Va di moda, ma non è una parola orrenda?" (L. Savia intervista al ministro Dadone, in "Corriere della Sera" 17/18 giugno).

 2. Trasparenza semantica

Come è stato osservato da L. Corbolante, l'agg. smartabile nella citazione (i) è adoperato nel significato di "eseguibile da remoto", ovvero "a distanza", "in modalità telematica", da casa, senza che sia necessaria la propria presenza sul posto di lavoro.

La chiarezza semantica del termine risulta altresì -- aggiungiamo -- dalla sua struttura morfologica e dai suoi rapporti paradigmatici, il suffissato smart-abile essendo collegato con smart working abbastanza diffuso e citato tra l'altro poco prima, a sua volta ulteriormente chiosato col traducente lavoro agile.

           3. Necessità del derivato smartabile

Alla luce di quanto sopra, l'agg. smart-abile si rivela necessario per esprimere un concetto pertinente nella logica della P.A. e del ministro.

Come del resto ha riconosciuto la stessa Crusca, per bocca di Paolo D'Achille, il diffondersi di tale derivato "segnala un'esigenza reale: quella di definire in qualche modo, all'interno del lavoro agile, la singola pratica lavorativa che può prestarsi ad essere svolta a distanza" (intervista di Maria Cristina Carratù a P. D'Achille, in "la Repubblica, Firenze" 22 giugno, p. 5).

 4. Sostituibilità di smartabile con un concorrente?

Se poi in un'ottica neopuristica cerchiamo un possibile sostituto più comune e più trasparente, ci si rende conto che in effetti esso non sembra facilmente disponibile. Le parafrasi di cui sopra "eseguibile da remoto/a distanza/da casa per via telematica" sono infatti solo parafrasi sintagmaticamente costose.

"Volendo essere coerenti -- riconosce lo stesso D'Achille -- bisognerebbe trovare qualche derivato da 'lavoro agile', tipo 'lavorabile agilmente' o 'da svolger in lavoro agile'". Alzando le braccia, D'Achille conclude però che "al momento il derivato non c'è". Ovvero "Stiamo riflettendo su come trovarne uno".

Intanto, Fabio Marri ha proposto telelavorabile, collegato con telelavoro quale resa di smart working 'lavoro agile' (in un macro-saggio Lingua e burocrazia alla prova del Covid, in c. di st. in "Lingua Nostra", in 3 puntate da dic. 2020 a dic. 2021, e-mail 26 sett.), e ha ricordato che L. Corbolante ha proposto (24 giugno) un "remotizzabile".

Francesco Sabatini, proprio stamattina, domenica 27, alle 8h.35 in "RAI-1 Mattina" nella sua rubrica "Soccorso Linguistico",  ha giudicato smartabile "da rifiutare" e da sostituire con "attività agevolate".

          5. Struttura morfologica di smart-abile

Volendo analizzare in sincronia la struttura morfologica dell'agg. smartabile, esso si configura come denominale di smart, ovvero: [[smart]N + -abile]Agg..

 5.1. Smart s.m. un'abbreviazione

A sua volta il sost. smart è abbreviazione del citato smart working 'lavoro agile'. Al riguardo non mancano varie attestazioni, per es. nella citata intervista di L. Savia al ministro F. Dadone ("Corriere della sera" 17-18 giugno):

(i) "Quante sono le persone in smart?" (domanda di L. Savia).

(ii) "Ma a regime quante persone resteranno in smart, quanti giorni si resterà a casa e quanti in ufficio?" (idem).

 (iii) un lavoratore in 'smart' ci mette 4 ore o 10 ore" (Andrea Bassi in "Il Messaggero" 19 giugno).

Con valore aggettivale:

(iv) "il ministro [...] ha intenzione di fare in modo che una quota significativa dei dipendenti pubblici possa continuare ad operare in modalità 'smart'" (idem).

Con valore avverbiale:

(v) "Lavorare smart significa guardare il corpus del lavoro, il progetto e gli obiettivi, e non soltanto le singole scadenze" (risposta del ministro F. Dadone a L. Savia).

 6. Valutazione metalinguistica di smartabile: "un ircocervo", ecc.

Com'era facile attendersi, il giudizio sul neologismo smart-abile, espresso dai parlanti (non-linguisti), malgrado esso abbia riempito un vuoto lessicale della lingua italiana per esprimere un concetto nuovo, non è stato affatto benevolo o "tenero".

 Un "ircocervo" è stato etichettato dalla giornalista M.C. Carratù nella citata intervista a P. D'Achille, lessicograficamente quasi "un animale metà caprone e metà cervo", o fig. un termine "intrinsecamente contraddittorio, impossibile e, quindi, inesistente". Ovvero ancora per la stessa giornalista una "contorta derivazione". E per il giornalista L. Salvia nella su citata intervista al ministro: "ma non è una parola orrenda?". Per L. Corbolante si tratta di una "neoformazione ibrida anomala". Fabio Marri segnala "l'arbitraria 'testa' del derivato" (nel cit. saggio in c. di st.). Invece per P. D'Achille, "un pezzettino, smart, ibrida[to] col suffisso -abile".

 6.1. Glottoplaste e prima attestazione di smartabile

In un agguerrito art. Smartare o non smartare?, posted on july 16, 2020, https://fabiomontermini.altervista.org./, Fabio Montermini ha da parte sua datato la prima attestazione di smartabile il 23 marzo, identificandone altresì l'onomaturgo nell’utente Twitter MementoArturo AN che "aveva coniato il neologismo, in un contesto che mi sembra tra il militante e lo scherzoso". Retrodatando così le attestazioni del ministro risalenti al 4 e 16 giugno.

 6.2. Smartabile: anglicismo o neoformazione italiana?

Quanto alla sua etimologia, diciamo subito che smartabile è una neoformazione tutta italiana e non un anglicismo, come peraltro confermatomi da una colta anglo-nativofona. Oltre che essere assente nell'Oxford English Dictionary.

Dinanzi al mio quesito se a lei fosse noto l'ingl. smart-able quale "potenziale deverbale del nome/agg. smart o del verbo (to) smart; cfr. to eat > eat-able", a cui far corrispondere l'it.

smartabile (le attività smartabili ‘da svolgere a casa, on line, da remoto’), ha senza esitazione risposto che in inglese "smartable non esiste!".

          6.3. Smart working: pseudoanglicismo?

Aggiungiano anche che il composto libero smart working, assente nell'OED e ritenuto in italiano uno "pseudoanglicismo" (per es. da Antonio Zoppetti ed altri), è in realtà anglicismo a pieno titolo. Assente sì nell'OED, ma facente parte della competenza nativa della stessa informante di cui sopra:

"I have searched as much as I could in the OED for smart working and smartable but can find neither. This does surprise me as I hear and read smart working several times a day at the moment, especially since Boris is advising people to work from home now (a double U-turn!)".

           6.4. Smartabile deverbale o denominale? I derivati in -bile, ovvero il suffisso {-bile} e i suoi allomorfi (-bile, -ibile e -abile)

Chiarito che il lessema smart-abile è una neoformazione italiana, che colma un vuoto del lessico della lingua nazionale, l'analisi della derivazione morfologica del suffissato è utile a fugare ingiustificate altre analisi alla base di impertinenti giudizi di erroneità normativa del lessema.

Come abbiamo chiarito in sedi più accademiche tre lustri fa (2003 e 2004), è opportuno distinguere il suffisso {-bile} e i suoi allomorfi (-bile, -ibile e -abile), ovvero forme diverse del suffisso, che si combinano con basi sia (a) verbali che (b) nominali. Esemplificando:

(a.i) "Tema verbale (di I, II, III coniugazione) + -bile", ess. numera/bile, leggi/bile, udi/bile.

(a.ii) "Participio passato + -ibile", ess. fatt/ibile, ris/ibile, fless/ibile.

(a.iii) "Confisso participiale latino + -ibile", ess. omiss/ibile, estens/ibile, perfett/ibile.

(b) "Nome + -abile", almeno una quarantina di derivati, per es. camion/abile, "carro + -abile" < carr/abile, "papa + -abile" > pap/abile, tasc/abile, cicl/abile, teatr/abile, quirin/abile, ecc.

En passant, il derivato futur/ibile (< dal lat. futuribilis) non è un denominale da futuro s.m., perché ci saremmo aspettati *futur/abile, ma un derivato la cui base è costituita dal "confisso" futuro (<lat. futurum).

Alla luce di ciò, smart-abile è un normale, "ortodosso", agg. denominale, previsto dalle regole della morfologia derivazionale dell'italiano.

Avendo poi Montermini individuato nella sua incalzante ricerca nei social su ricordata qualche es. con il verbo smartare (denominale da smart): -- "seppur raramente, occorrenze di smartare ‘lavorare in smart’ si trovano", ha puntualizzato -- si può anche ritenere smartabile in seconda battuta deverbale: "smarta/bile", anziché denominale "smart/abile".

 7. Smartabile: neoformazione italiana, derivata regolarmente, necessaria e normativamente corretta

Alla fine, smartabile si configura come neoformazione italiana del linguaggio amministrativo, derivata regolarmente, che colma un vuoto del lessico italiano, e normativamente inoltre corretta perché in uso da parte di utenti colti.

Soggettivamente, l'utente può anche (in tutta legittimità) ritenere "orrendo" tale lessema, ma non può giudicare errato l'uso altrui solo perché non gli piace.


Sommario

1. L'evento ministeriale

2. Trasparenza semantica

3. Necessità del derivato smartabile

4. Sostituibilità di smartabile con un concorrente?

5. Struttura morfologica di smart-abile

5.1. Smart s.m. un'abbreviazione

6. Valutazione metalinguistica di smartabile : "un ircocervo", ecc.

6.1. Glottoplaste e prima attestazione di smartabile

6.2. Smartabile: anglicismo o neoformazione italiana?

6.3. Smart working: pseudoanglicismo?

6.4. Smartabile deverbale o denominale? I derivati in -bile, ovvero il suffisso {-bile} e i suoi allomorfi (-bile, -ibile e -abile)

7. Smartabile: neoformazione italiana, derivata regolarmente, necessaria e normativamente corretta




 


sabato 26 settembre 2020

Legname: nome massa? Sí, ma si può pluralizzare

 


A proposito del femminile di falegname (la falegname), in "Risposte ai quesiti" dell'Accademia della Crusca si può leggere:

   Questa scarsa trasparenza morfosemantica potrebbe forse portare alcuni parlanti a non riconoscere più gli elementi componenti del composto, e a considerare falegname un nome d’agente in ‑e inanalizzabile, dal quale formare un femminile in ‑a, la falegnama (l’opacizzazione del composto è testimoniata anche dal fatto che il plurale è falegnami, nonostante legname sia un nome massa che non ha plurale). 

   Legname sí, è un nome massa, ma si può pluralizzare normalmente (il legname / i legnami). Molti vocabolari consultati non specificano lasciando intendere, quindi, che il sostantivo in oggetto prende la regolare desinenza del plurale; altri [Gabrielli, Garzanti, "Sapere.it" (De Agostini), Dizionario Olivetti] attestano, chiaramente, la forma plurale. Il plurale legnami si trova, inoltre, in numerose pubblicazioni (passate e recenti).


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La lingua "biforcuta" della stampa

Loretta Goggi fa 70 anni: "Ora datemi un ruolo da protagonista"

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Correttamente: ruolo di. Si veda Treccani (al punto 2.a.)





venerdì 25 settembre 2020

Sgroi - 78 - La "terza via" dell'anti-sessismo linguistico di Vera Gheno

 


di Salvatore Claudio Sgroi

 1. L'evento

Un caro amico, conoscendo la mia scarsa familiarità con Facebook,  ha voluto riportare dalla pagina appunto Facebook della brava sociolinguista Vera Gheno:

https://www.facebook.com/wanderingsociolinguist/posts/10158476343335915

uno "schwpiegone. Post in espansione" relativo al problema di come rendere graficamente il maschile/femminile dei nomi animati recentemente dibattuto da chi crede che la lingua sia morfologicamente sessista.

 2. La lingua grammaticalmente sessista?

Non mi soffermerò qui sul problema del (presunto) sessismo grammaticale della lingua, di cui in passato mi sono più volte occupato (per es. <https://faustoraso.blogspot.com/>): (i) Per smentire la teoria della lingua sessista, 17 gennaio 2017, (ii) Ancora sul sessismo linguistico, 20 gennaio 2017, (iii) La Crusca neo-sessista "con juicio", 25 luglio 2017, (iv) Gli usi dei parlanti e la pseudo-teoria del 'sessismo' linguistico, 23 giugno 2019, (v) Sessismo linguistico e libertà del(la) parlante, 6 luglio 2019, e più accademicamente in (As)saggi di grammatica laica, Ed. dell'Orso 2018, cap. 2).

I sostenitori di tale tesi confondono invero il problema del genere grammaticale (maschile/femminile) col problema del sesso (maschio/femmina) dei referenti dei nomi animati e sottovalutano che la funzione prioritaria del genere grammaticale delle lingue è quella di garantire la coesione sintattica attraverso l'accordo (es. tutti gli uomini sono uguali VS *tutte gli uomine sono uguale, ecc.) e solo secondariamente far riferimento anche al sesso.

         3. Dalla parte della Gheno

Qui invece mi porrò dalla parte di Vera Gheno per discutere con lei come rendere la grafia ambigenere <tutti e tutte>, <tutte e tutti>, ovvero con <tutt*>, <tutt@>, <tutt>, <tuttx>, <tutty>, <tuttu>, <tutte/i>, <tutte e tutti>. O ancora, come ora lei propone, col suono indistinto schwa [ə], per es. in <tuttə>.

 3.1. Plurigrafismo e variabilità sociolinguistica

Che ci siano più alternative ("tante soluzioni diverse" lamenta la Gheno) e non una sola, sembra una preoccupazione invero poco giustificata, per una sociolinguista. Come in altri casi, anche qui la pretesa di una sola regola significa non tener conto della naturale variabilità (socio)linguistica.

 4. Una riflessione teorica sull'analisi morfologica

Ai fini di una discussione critica (costruttiva) è necessario affrontare dal punto di vista della linguistica generale il problema dell'analisi dei morfemi grammaticali femm./masch., sing./plur..

Come sa qualunque studente che abbia fatto un corso di linguistica generale, in un lessema  come car/o-i, car/a-e si distinguono due componenti: la radice (o morfema lessicale) car- e il morfema grammaticale: -o/-i, ed -a/-e, indicante a un tempo inclusivamente il genere (maschile o-i / femminile a-e) e il numero (singolare o-a / plurale i-e).

Detto in altri termini, il morfema grammaticale è saussurianamente un segno linguistico bifacciale, ovvero {-o}, costituito da un /significante/ sonoro (/o/) e da un "significato" grammaticale ("masch. e sing."). Schematizzando:

                               significante /o/

Segno {-o} ---------------------------------

                   significato "masch. e sing."

 4.1. L'asterisco e la chiocciola al vaglio dell'analisi morfologica

Ora nel caso della soluzione grafica con asterisco *, o con chiocciola @, tale segno grafico è sempre un morfema grammaticale, ma puramente grafico: {<*>}, {<@>}. Ovvero si tratta di un segno linguistico bifacciale costituito da un <significante> non però sonoro come (/o/) ma grafico come <*> o <@> e da un "significato" grammaticale cumulativo o inclusivo indicante a un tempo cioè "masch./femm. e sing./plur.". Schematizzando:

                                                 significante /<*>, <@>/

Segno {<*>}, {<@>} ----------------------------------------------

                                    significato "masch./femm., sing./plur."

 4.2. "chi omette l'ultima lettera"

La stessa analisi è applicabile nel caso "chi omette l'ultima lettera", es. car . Il morfema lessicale car è cioè seguito da un "morfema grafematico zero" {Ø}, come se fosse carØ. Tale morfema {Ø} in quanto segno bifacciale è costituito da un /<significante grafematico zero>/ non-sonoro che rinvia a un "significato grammaticale cumulativo". Schematizzando:

                                          significante /<Ø>/

Segno {<Ø>} -----------------------------------------------

                        significato "masch./femm., sing./plur."

 4.3. " chi usa la u, chi la x e chi la y"

Chi utilizza le lettere <u>, <x>, <y> sembra invece proporre una soluzione decisamente ambigua, perché tali lettere dovrebbero avere il valore di significante puramente grafico e non fonologico ma i significanti grafici <u>, <x>, <y>  rimandano decisamente in italiano, soprattutto <u>, al valore fonologico rispettivamente /u/, /ks/, /i/. Schematizzando:

                                  significante grafico <u> sonoro /u/,

                                graf. <x> son. /ks/, graf. <y> son. /i/

Segno {< u, x, y>} ----------------------------------------------

                      significato "masch./femm., sing./plur."

 4.4. "chi usa la barra /" (es. care/i, cari/e)

"Chi preferisce usare la doppia forma, quella forse più comune (es. Un caro benvenuto a tutte e tutti)", opta invece per la grafia alfabetica tradizionale, ovvero adotta una soluzione sintagmatica, che non pone alcun problema strettamente grafico.

 4.5. "chi usa il femminile sovraesteso"

Chi "usa il femminile sovraesteso" -- altra soluzione ricordata dalla Gheno -- ovvero chi "usa il femminile anche là dove ci fossero alcune persone di sesso maschile, 'ribaltando' la regola tradizionale" rimane sempre all'interno della grafia tradizionale ma va controcorrente per quanto riguarda le regole morfologiche della coesione grammaticale legate al genere grammaticale [che non andrebbe confuso, come accennato, col "sesso" (naturale), come invece fa chi accusa o colpevolizza la lingua di essere grammaticalmente sessista].

 5. Asterisco, chiocciola e <Ø> equivalenti a un logogramma

I morfemi grammaticali puramente grafici {<*>}, {<@>} e {<Ø>} che rinviano a un significato grammaticale, come detto, cumulativo o inclusivo sono l'equivalente di un logogramma/ideogramma o di un carattere cinese, il cui disegno non dà indicazioni sulla pronuncia ma solo sul significato. La Gheno osserva sì che asterisco e chiocciola "non hanno un suono", ma sottovaluta la rilevanza teorica di tale fatto, che considera anzi un inconveniente a cui por riparo con il ricorso al suono indistinto dello schwa [ə], es. in <tuttə>.

 6. La soluzione dello schwa <-ə> /ə/ della Gheno alla luce dell'analisi morfologica

Alla luce di quanto sopra, la soluzione dello schwa <-ə> /ə/, proposta dalla Gheno, ovvero <tuttə> col valore inclusivo di 'tutti e tutte' e da leggere con la vocale indistinta /ə/ propria del francese, dell'inglese o del napoletano, risulta di difficile applicabilità, perché combina la scelta teorica con una difficoltà pratica, quella cioè

(i) di indicare sì come nei sistemi ideografici un significato, ovvero cumulativamente il 'genere maschile/femm., sing./pl.', ma nel contempo

(ii) di indicare, come nei sistemi fonologici il suono-fonema /ə/, che tra l'altro non esiste in italiano se non nei dialetti o nell'italiano fortemente regionalizzato partenopeo.

A questo punto, le altre alternative per indicare a un tempo cumulativamente o inclusivamente il genere masch./ femm., sing./pl. sembrano tutte di gran lunga preferibili, sia dal punto di vista teorico che pratico.

 7. Lo schwa graficamente <ə> e fonologicamente /ə/: una "terza via"?

Alla fine, se la Gheno preferisce lo schwa in <tuttə> (a <tutt*>, <tutt@>, <tutt>, <tuttu>, <tutte/i>, <tutte e tutti>, <tutti e tutte>) non può pretendere che la scelta grafica <tuttə> abbia, oltre che valore morfologico-ideografico, anche valore fonologico obbligando gli italiani a imparare un suono a estraneo al sistema fonologico dell'italiano.

Data poi anche la complicazione di andare a pescare il simbolo <ə> rispetto all'asterisco o alla chiocciola, è difficile seguirla in questa scelta.

Più che una "terza via" o un "arricchimento del sistema" la soluzione dello schwa <ə> della Gheno mi sembra invero una proposta poco felice legata a una insufficiente riflessione di teoria linguistica.

 8. Scelta laica: au choix

D'accordo invece con la Gheno ritengo alla fine che "la via da percorrere sia usare il maschile per chi vuole il maschile, il femminile per chi vuole il femminile" mentre per "chi non vuole usare né il femminile né il maschile" lo scrivente -- aggiungo io -- dispone di più scelte: l'asterisco, la chiocciola, l'omissione dell'ultima lettera, ovvero la sbarra, ma anche lo schwa puramente grafico <-ə>, e se proprio vuole le altre possibilità (§ 4.3 e -- decisamente controcorrente -- § 4.5).

 

Sommario

1. L'evento

2. La lingua grammaticalmente sessista?

3. Dalla parte della Gheno

3.1. Plurigrafismo e variabilità sociolinguistica

4. Una riflessione teorica sull'analisi morfologica

4.1. L'asterisco e la chiocciola al vaglio dell'analisi morfologica

4.2. "chi omette l'ultima lettera"

4.3. " chi usa la u, chi la x e chi la y"

4.4. "chi usa la barra /" (es. care/i, cari/e)

4.5. "chi usa il femminile sovraesteso"

5. Asterisco, chiocciola e <Ø> equivalenti a un logogramma

6. La soluzione dello schwa <-ə> /ə/ della Gheno alla luce dell'analisi morfologica

7. Lo schwa graficamente <ə> e fonologicamente /ə/: una "terza via"?

8. Scelta laica: au choix