lunedì 31 marzo 2014

Il pesce d'aprile



Domani è il  1° aprile, riproponiamo, per l’occasione, la “nascita” dello scherzo.

Fino al XVI secolo, in Francia, il primo giorno dell’anno era il 25 marzo. I festeggiamenti culminavano il 1° aprile con banchetti e scambi di doni. Nel 1564 re Carlo IX decise di adottare il calendario gregoriano, e di spostare il capodanno al 1° gennaio. Ma alcuni sudditi non accettarono il cambiamento. Ben presto i loro concittadini iniziarono a sbeffeggiare l’usanza e ogni anno, in occasione del I aprile, inviavano ai “tradizionalisti” regali burla o li invitavano a feste fantasma.



Pesci. Poiché in quel periodo dell’anno il Sole abbandona il segno zodiacale dei pesci, le vittime degli scherzi furono chiamate “pesci d’aprile”.



(da www.ilsapientino.com)


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Il sostantivo “malafede” si pluralizza? Secondo il vocabolario Treccani si adopera solo nella forma singolare, altri dizionari, tra cui il DOP (Dizionario di Ortografia e di Pronunzia), non specificano, il che lascia intendere che il sostantivo in oggetto si pluralizza normalmente: la malafede, le malefedi.



domenica 30 marzo 2014

Corredare "di" o "da"? (2)

Il linguista di "Repubblica" ha risposto, sul sito del giornale, alle nostre considerazioni circa la preposizione da usare con il verbo "corredare" (intervento del 23 scorso).

E’ vero che il verbo corredare richiede sempre la preposizione di all’attivo. Lo stesso, però, non si può dire per il passivo, per il quale la preposizione da è accettata. Questo vale sicuramente in contesti mediamente formali, come già ricordato da Francesco Lucioli in questa stessa sede:
16 dicembre 2009 alle 12:42
Nei dizionari “corredato” regge sempre la preposizione “di”, ma nell’uso comune e nel parlato sono utilizzate ed accettate entrambe le preposizioni (“di” e “da”).
Vorrei qui allargare il campo, facendo notare che l’accoglimento di corredato da è molto più ampio. Un dato empirico ci mostra quale sia l’uso attuale: la ricerca di “corredato di” nel motore di ricerca google dà come risultato 349.000 attestazioni; quella di “corredato da” dà come risultato 1.400.000. Di fronte ad una simile sproporzione si deve accettare la doppia reggenza in molti contesti, anche di formalità medio-alta, come un dato di fatto. Molte attestazioni riportate da google sono di ambito tecnico o burocratico, e una reggenza da emerge anche in un contesto di sicura correttezza, le risposte agli utenti dell’Accademia della Crusca:
Attimino è presente, corredato da citazioni (la prima del 1991) tratte dai giornali, nel volume Parole degli anni Novanta, una raccolta di materiali e ricerche per il Devoto-Oli realizzata da Andrea Bencini e Eugenia Citernesi nel 1992. (Raffaella Setti, 20 gennaio 2014)
L’uso attuale, peraltro, non è del tutto sconosciuto alla storia. Sempre spulciando le attestazioni riportate da google, tra le prime ce n’è una tratta dal Dizionario della Lingua italiana Tommaseo-Bellini, un esempio preso dalle lettere di Lorenzo Magalotti: “Corredato da un volume in foglio di prove autentiche…”.
Fabio Ruggiano
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Ringraziamo il dr Ruggiano e prendiamo atto della sua articolata risposta. Chi scrive, però, preferisce attenersi a quanto riportano i vocabolari, usando la preposizione "di" sempre, anche con il verbo corredare coniugato nella forma passiva: «L'ufficio è stato corredato di tutto il materiale necessario per il funzionamento». La preposizione "da" (anche se "accettata" e piú diffusa) striderebbe agli orecchi di chi scrive. Anche il Tommaseo-Bellini, citato dal dr Ruggiano (a parte l'esempio preso dalle lettere di Lorenzo Magalotti) "prescrive" l'uso della preposizione "di".

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Un francesismo che gli amatori del bel parlare e del bello scrivere dovrebbero evitare, anche se il termine è di uso comune e attestato nei vocabolari: civilizzazione. In buona lingua si dice "incivilimento". Lo stesso per quanto attiene a civilizzato, da sostituire con "incivilito": «Hai visto? Finalmente Luigi si è incivilito».

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La parola del giorno (di ieri) proposta da "unaparolaalgiorno.it": cachinno.
 

sabato 29 marzo 2014

Fare un blitz

L'origine di quest'espressione, che condanniamo perché "barbara", ci è stata richiesta - tramite posta elettronica - da un lettore che non si è firmato. Lo accontentiamo e diamo la "parola" a Enzo La Stella.
«Nell'autunno del 1939 e nelle stagioni seguenti, il mondo intero rimase sgomento e affascinato dalla rapidità con cui le divisioni corazzate tedesche (le famose "Panzerdivisionen") penetravano in Polonia e, poi, in Belgio, in Olanda, nei Balcani, in Russia. Fu in quegli anni che tutti impararono il significato di "Blitzkrieg" o guerra lampo. Oggi, lascito di quegli anni lontani, è rimasto il blitz (nome tedesco, dunque, non inglese come moltissmi erroneamente ritengono, ndr), scritto con la minuscola e usato per indicare le fulminee operazioni di polizia contro il terrorismo, la mafia, il traffico di stupefacenti. Se questo prestito tedesco ci dà fastidio, possiamo consolarci col pensiero che "Panzer" deriva dal nostro panciera, anticamente parte dell'armatura che proteggeva il ventre dei cavalieri».

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Disopra e di sopra

Entrambe le grafie sono corrette, tuttavia è preferibile fare un distinguo. In grafia univerbata (tutta attaccata) quando la locuzione è adoperata come sostantivo, quando, cioè, indica la parte superiore di qualcosa (il disopra del divano); in due parole quando è avverbio vero e proprio (vai di sopra se non sopporti questo chiasso).

venerdì 28 marzo 2014

«Prendere una stecca»

Gentilissimo dott. Raso,
non so veramente come ringraziarla per aver risposto al mio quesito sul verbo (che, ovviamente, non conoscevo) "ventare". Come le ho scritto ieri molti forum di lingua italiana, alla mia domanda, hanno "gettato la spugna". Posso approfittare della sua non comune cortesia per un altro quesito? Donde proviene l'espressione "prendere una stecca"?
Sicurissimo di una sua cortese risposta, la ringrazio e le auguro sempre maggiori successi professionali.
Federico T.
Lecco

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Cortese amico, può trovare la risposta alla sua domanda in un mio vecchio intervento. Clicchi qui.

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La parola del giorno (di ieri) proposta da "unaparolaalgiorno.it": ancipite.

giovedì 27 marzo 2014

«Ventare» (soffia il vento)

Cortese dott. Raso,
mi sono rivolto a molti forum sulla lingua italiana, ma invano. Spero in lei. Quando cade la pioggia si usa il verbo piovere, quando cade la neve si usa nevicare, quando cade la grandine si dice grandinare ecc. Ma quando soffia il vento qual è il verbo che fa alla bisogna?
Certo di una sua risposta, la ringrazio in anticipo e la saluto cordialmente.
  Federico T.
  Lecco
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Gentile Federico, il verbo appropriato c'è, anche se di uso raro o letterario: ventare (o venteggiare, intensivo di ventare). È della I coniugazione e intransitivo, nei tempi composti prende l'ausiliare avere: ieri, in città, ha molto ventato. Quando il vento soffia in modo continuato si ha la brezza il cui verbo è il denominale brezzeggiare, derivando, appunto, da brezza. Anche questo verbo è intransitivo e nei tempi composti prende l'ausiliare essere, raramente avere: ieri è brezzeggiato per circa un'ora.

mercoledì 26 marzo 2014

Circondare d'affetto? No, colmare...

A proposito del verbo "circondare" il linguista Aldo Gabrielli scrive nel suo Dizionario Linguistico Moderno: «(Questo verbo) ricorre spesso in frasi come queste: "Circondare qualcuno di attenzioni", "Lo circondò di riguardi" e simili; è un uso improprio; il verbo da usare in questi casi è piuttosto "colmare"». Noi, personalmente, seguiamo il suo consiglio, anche se i vocabolari (compreso il suo 'ritoccato') non ne fanno menzione.

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La parola di oggi, proposta da questo portale, è: foia. Sostantivo femminile. Sta per "bramosia d'amore".

lunedì 24 marzo 2014

Denigrare e insultare



Conosciamo tutti, per  “pratica”, il significato del verbo  “denigrare”: diffamare, screditare, “togliere ad altri il buon nome con volontaria malizia”. Bene, soffermiamoci un attimo su quest’ultima accezione per scoprire il significato ‘recondito’ del verbo. Quando denigriamo una persona, dunque, le togliamo il  “buon nome”. Ma come?  Tingendolo di nero. Denigrare, infatti, vale proprio  “tingere di nero” provenendo pari pari dal latino ‘denigrare’, composto con la particella intensiva  “de” e  “niger, nigri”, nero. Usato estensivamente nel senso di  “annerire il buon nome” il verbo in esame ha acquisito, in lingua volgare (l’italiano), il significato figurato di  “diffamare”, tingendo di nero, appunto, il nome di una persona.
   Quando, invece, insultiamo qualcuno, vale a dire l’oltraggiamo, l’ingiuriamo, figuratamente gli  “saltiamo sopra”. Anche questo verbo, adoperato in senso figurato, è pari pari il latino  “insultare”, forma intensiva di  “insilire”, ‘saltar su’, composto della particella   “in” (su, sopra) e  “salire” (saltare). Non diciamo, infatti, sempre in senso figurato, che  “quella persona mi è saltata addosso”? Vale a dire, mi ha offeso, ingiuriato.
E a proposito di ingiuria, cioè di offesa che lede materialmente o moralmente, quando la  “mettiamo in atto” non facciamo altro che una cosa  “ingiusta” ledendo il diritto di una persona. Questo vocabolo, infatti, è un derivato del latino  “iniurus” (‘ingiusto’), formato con il prefisso  “in-” negativo (‘che toglie’) e  “ius, iuris” (diritto). L’ingiuria, dunque, è  “tutto ciò che è fatto in onta al diritto di alcuno”, quindi danno, affronto, oltraggio. L’ingiuria, insomma, è ogni fatto detto o scritto dolosamente allo scopo di  “togliere il buon nome” a una persona ed è affine (si badi bene: non uguale) alla denigrazione.

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La parola che proponiamo oggi è: badiale. È un aggettivo che sta per "grande", "grosso", "prosperoso", "grasso" e simili.

domenica 23 marzo 2014

Corredare "di" o "da"?



 

Dalla rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete:

                              Miele Matteo scrive:
Gentile linguista, è corretto dire
” Il corpo dell’atto deve essere conforme allo schema e cioè deve:
-contenere……..ecc……
-essere corredato………ecc…..
-essere indicata………ecc……”
Cioè, al terzo punto, il verbo “deve” cambia soggetto e diventa impersonale…., o sbaglio?

Grazie.
                                                     linguista_1 scrive:
Come da lei notato, il cambio di soggetto è scorretto. Per ovviare al problema si può procedere in due modi, o mettere i due punti dopo cioè, oppure cambiare la costruzione del terzo punto. Nel primo caso si avrebbe: “Il corpo dell’atto… cioè: – Deve contenere…; – Deve essere corredato da…; – Al suo interno deve essere indicata…”. Nel secondo caso si avrebbe: “Il corpo dell’atto… cioè deve: – Contenere…; – Essere corredato da…; – Riportare/Indicare…” o simili.

Fabio Ruggiano
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Il dr Ruggiano ci perdonerà se ci permettiamo di fargli notare che il verbo corredare si costruisce con la preposizione “di” (non “da"), come si può leggere anche nel Treccani: «corredare v. tr. [dallo stesso etimo, germanico, di arredare, con altro prefisso] (io corrèdo, ecc.). – Arredare, fornire delle cose necessarie, spec. di strumenti, arnesi, o di mobili, biancheria, ecc.: c. la casa, la bottega, lo studio, il laboratorio di tutto l’occorrente; rifl., mi sono corredato di panni per l’inverno; non com., c. una sposa, farle il corredo; fig.: c. un libro di note, una scrittura di documenti. Con altro senso fig., nel rifl. (con valore passivo), adornarsi, contenere: Questa picciola stella si correda D’i buoni spirti che son stati attivi (Dante).  Part. pass. corredato, anche come agg., col sign. di «fornito», e più specificam. «provvisto in aggiunta». Si veda anche qui (una volta aperta la pagina digitare 'corredare').

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La parola che proponiamo oggi è: falansterio (o falanstero). Sostantivo maschile. Si chiama cosí un "palazzone" destinato a ospitare una comunità.


venerdì 21 marzo 2014

Onciale

La parola che proponiamo oggi è: onciale (o unciale). È un aggettivo (ma anche sostantivo). Fu cosí chiamata una scrittura antica (tutta maiuscola) adoperata per epitaffi e in manoscritti le cui lettere avevano la dimensione di un'oncia, vale a dire la dodicesima parte di un piede.

giovedì 20 marzo 2014

"Sufficienza" sí; "beneficienza" no

Cortese dott. Raso,
anche se con ritardo, di cui mi scuso, la ringrazio di cuore per la esaustiva riposta circa il plurale di sopracciglio. Avrei un'altra domanda da porle, approfittando della sua non comune disponibilità. Esiste una regola che ci aiuti nel "decidere" quando una parola tipo "beneficenza" o "sufficienza" prende la "i" davanti alla terminazione "-enza"? Quasi sempre sono assalito dal dubbio e non sempre ho un vocabolario a portata di mano.
La ringrazio anticipatamente, e le porgo i miei migliori ossequi.
Giovanni U.
Macerata
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Gentile amico, può trovare la risposta al suo quesito cliccando qui. Aggiungo, a quanto leggerà, che alcuni vocabolari ammettono la grafia "sufficenza" (senza la "i"), ma non è una forma corretta. Veda anche qui.

mercoledì 19 marzo 2014

La tibia? Si suona

Ecco un'altra parola - fra le tante - omofona (stesso "suono") e omografa (stessa "grafia") con due distinti significati: tibia. Nella prima accezione indica il piú grosso dei due ossi della gamba, vale a dire quella che va dal ginocchio alla caviglia, piú conosciuto come "stinco". Nella seconda accezione, derivata dalla prima (alcuni dicono viceversa), indica uno strumento musicale a fiato, simile al piffero o al flauto, perché in origine era ricavato dalla tibia di un animale.

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La parola che proponiamo oggi è: muzzo. Tra i vocabolari è attestato - se non cadiamo in errore - solo nel GRADIT. Aggettivo che indica  quel sapore che sta tra l'asprigno e il dolce. L'origine non è chiara, sembra provenga dall'arabo "muzz" italianizzato, appunto, in muzzo.

martedì 18 marzo 2014

Attaccare il buzzico a qualcuno

Questo modo di dire, di uso prettamente romano (o romanesco) e sconosciuto - probabilmente - nel resto d'Italia, si adopera quando si vuol mettere in evidenza la "sopraffazione" di una persona; il detto si usa, insomma - naturalmente in senso figurato - allorché si compie un atto di prepotenza nei confronti di qualcuno. La locuzione trae origine da un gioco che - nei tempi andati - solevano fare i ragazzi nei confronti dei poveri cani randagi: attaccavano alla coda della bestiola un "buzzico" o altro recipiente di latta e li aizzavano a correre con fischi e urla. Il cane tanto piú correva quanto piú si sentiva inseguito dal rumore. C'è da aggiungere, per la cronaca, che questo divertimento era di moda anche presso la plebaglia per ingannare il tempo nell'attesa della corsa dei berberi. Quanto al "buzzico", cioè al recipiente di latta adoperato per contenervi l'olio, prende il nome - con molta probabilità - dal "buzzo", cioè dal ventre, in quanto la sua forma richiama alla mente il "buzzo" di un uomo.

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Tra le parole, che ci piacerebbe fossero rimesse a lemma nei vocabolari, segnaliamo tielismo. Sostantivo maschile che sta per "forte, eccessiva salivazione". Si veda qui (Vocabolario Crusca, 1830).

lunedì 17 marzo 2014

«Avere la scimmia»

Questo modo di dire, probabilmente poco conosciuto e dal "sapore" prettamente popolare, quando nacque si riferiva alle persone ubriache o, comunque, dedite all'alcol. Oggi, con il "progresso" che ha riempito il mondo di droga, la locuzione ha subíto un'evoluzione semantica ed è passata a indicare coloro che sono sotto l'effetto degli stupefacenti, tanto è vero che, attualmente, nel gergo degli addetti ai lavori, quest'espressione si adopera riferita alle persone in grave crisi di astinenza. Ma che cosa c'entra la scimmia? È presto detto. Nella letteratura popolare la scimmia è molto spesso associata all'idea di qualcosa di orrendo e di pericoloso e, quindi, a qualcosa che fa perdere il controllo su sé stessi, in particolare nel caso dell'alcolismo, un tempo considerato il piú vergognoso e peggiore dei vizi. La fantasia popolare vedeva, per tanto, l'alcolizzato come vittima di una scimmia che gli stava appollaiata sulle spalle e lo invitava, pressata dal proprio bisogno, a bere. Se l'ospite declinava l' "invito" l'animale subito si vendicava e lo faceva star male: gli graffiava il viso e gli tirava i capelli. La vendetta della scimmia, oggi, si è "spostata" dagli alcolisti ai drogati. L'espressione si adopera anche nella variante "avere la scimmia sulla spalla".

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La parola che proponiamo oggi è: spulezzare. Verbo intransitivo della I coniugazione, sta per "scappare", "fuggire precipitosamente". Nei tempi composti prende l'ausiliare essere.

domenica 16 marzo 2014

Immancabilmente...

Ancora una discrepanza tra il vocabolario Gabrielli in rete (ritoccato) e il "Dizionario Linguistico Moderno", dello stesso autore, circa l'uso corretto dell'avverbio immancabilmente. Leggiamo dal vocabolario: «In modo immancabile, sicuramente, certamente». Proprio queste due ultime accezioni vengono "condannate" dal Gabrielli nel suo dizionario linguistico. Scrive, dunque, il linguista: «(Immancabilmente) non si deve usare nel significato che gli danno i Francesi di "certamente", "sicuramente", "indubbiamente", "senza dubbio" e simili; dicono: "Verrò da te immancabilmente"; ma si dovrà dire: "Verrò da te sicuramente"; "Alla data di scadenza riceverai immancabilmente il denaro"; si dovrà dire: "Riceverai senza dubbio, sicuramente il denaro", ecc. Sarà invece bene usato nel significato proprio di "senza mancanza", "che non subisce mancanza"; per esempio: "Parte immancabilmente tutti i venerdí"; "Partecipa immancabilmente a tutte le partite di calcio"; "Appena apre un libro, immancabilmente sbadiglia"».

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La parola del giorno (di ieri) proposta da "unaparolaalgiorno.it": inesorabile.


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Dalla rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete:

                                                                                        maria scrive:
Le tue parole mi sono di grande conforto. Che complemento è “di grande conforto”? grazie!
                                           linguista_1 scrive:
E’ complemento di effetto, che comunemente è assimilato al complemento di fine.
Fabio Ruggiano
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A nostro modestissimo avviso, non siamo in presenza di un “complemento di effetto”, ma di vantaggio: Le tue parole vanno a mio vantaggio perché mi sono di grande conforto. Se i linguisti di “Repubblica” risponderanno alle nostre osservazioni saremo felici di rendervi partecipi.

sabato 15 marzo 2014

L'irre orre

Cortesissimo dott. Raso,
leggendo un libro mi sono imbattuto in una locuzione che non avevo mai sentito: irre orre. Le riporto la frase: «Sono stanco di questi irre orre, dimmi le cose come stanno». Può, gentilmente, dirmi cosa significa?
La seguo sempre, fin dai tempi del "Cannocchiale".
Grazie e cordiali saluti.
Federico B.
Aprilia (LT)
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Gentile Federico, l'espressione in oggetto (irre orre) è una locuzione sostantivata, maschile e invariabile, che sta per "indecisione", "incertezza" e simili. Per una spiegazione piú esaustiva le faccio "rispondere" dal vocabolario Treccani.


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“Sulle ventitré”
Il nostro commento è stato pubblicato, sul sito di “Repubblica”, oggi, con la data del 10 marzo. Riportiamo il nostro intervento e la risposta del linguista, che, a nostro avviso, ha dato una “non risposta” (guarda caso: è un irre orre).

                                              Fausto Raso scrive:
Ancora una volta – e mi dispiace – dissento dal dr Ruggiano. A mio modesto avviso “sulle ventitré” non è un complemento di stato in luogo (sia pure figurato), ma una locuzione avverbiale di modo come, per esempio, “alla carlona”, “alla marinara”, “per caso”, “di malavoglia” ecc. Il cappello, si sa, si porta sulla testa (complemento di stato in luogo figurato). Se ci poniamo le domande “come porta”,” in che modo porta”, “come tiene” il cappello, Giovanni?”. “Sulle ventitré”, mi sembra evidente, è un complemento di modo.

                                    linguista_1 scrive:
Lo spostamento del cappello determina l’abbassamento della parte anteriore della tesa in corrispondenza della posizione, molto bassa, del sole alle ore ventitré (nel sistema dell’”ora italica”, nel quale le ventitré segnavano l’ora precedente il tramonto). La tesa, quindi, si viene a trovare in una certa posizione.
Fabio Ruggiano

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«Ultim'ora»
La risposta del dr Ruggiano è stata cassata dal sito e inserita quella del coordinatore dei linguisti, prof. Massimo Arcangeli:
  1. linguista_1 scrive:
    Molti cordiali saluti
    Massimo Arcangeli