domenica 30 ottobre 2022

La somma non è stata ancora esatta


 Due parole, due, sul participio passato del verbo 'esigere'* che, come si sa (o si dovrebbe sapere), è 'esatto' e non 'esigito'. Questo verbo, dunque, ha diversi significati: 'richiedere', 'pretendere'', incassare', 'riscuotere' e simili. Il participio passato, esatto, si adopera, però, solo nell'accezione di "riscuotere": la somma versata ancora non è stata 'esatta', cioè riscossa. Nell'accezione di 'pretendere', 'richiedere' e simili si ricorre al participio passato di un verbo sinonimo: 'preteso', 'voluto', 'richiesto', 'imposto': l'insegnante ha preteso (non 'esatto') che gli allievi ascoltassero la lezione stando in piedi. 
Stupisce il constatare che i sacri testi grammaticali che abbiamo consultato non ne fanno/facciano menzione.
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Esigere viene dal latino exìgere il cui supino è exactum e da questo si è poi formato il participio passato italiano.


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La lingua "biforcuta" della stampa

l'esposizione felina

A Concesio i gatti più belli del mondo si contendono il titolo di «Best of best»

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Siamo alle solite: quanto è bello il mondo?

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IL VIDEO

Svizzera, il treno passeggeri più lungo del mondo: due km di carrozze. Il viaggio è da Guinness dei primati

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Anche in questo caso: quanto è lungo il mondo?

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CORENO AUSONIO

Lanciano sassi dal cavalcavia a 12 anni. Il sindaco del frusinate: "Bravate che possono uccidere"

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Correttamente: Frusinate, con l'iniziale maiuscola trattandosi di un'area geografica.

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Il viceministro Galeazzo Bignami (FdI) e quella vecchia foto in divisa da nazista

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Correttamente: divisa di. È un normalissimo complemento di specificazione (specifica DI quale divisa si tratta).

















(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)


venerdì 28 ottobre 2022

"Pedanterie" linguistiche?

 


A costo di attirarci le ire di qualche “linguista d’assalto” (e ce ne sono a iosa), vogliamo mettere in evidenza il fatto che - a nostro modo di vedere - gli aggettivi “adeguato” ed “equo”, nonostante la stretta parentela etimologica, non si possono considerare “perfettamente” sinonimi. Adopereremo l’aggettivo adeguato quando sta per “proporzionato”: occorre dargli un risarcimento adeguato (proporzionato) al danno subíto. Useremo  equo  quando quest’aggettivo significa “giusto”, “ragionevole”: tutti, per il loro lavoro, hanno diritto a un’equa (giusta) retribuzione. Scriviamo queste noterelle perché abbiamo letto, su un giornale locale, che “gli avvocati hanno chiesto al tribunale di dare una pena equa all’atrocità del delitto”. Ancora ridiamo.

 

Forse non tutti sanno (i sacri testi trattano l'argomento?) che molti avverbi diventano preposizioni quando sono preposti al sostantivo. Vediamone qualcuno: dentro (dentro la stanza), sopra, fuori, sotto, dopo, prima, dietro, davanti, senza, eccetto, presso ecc. È bene ricordare, inoltre, che una preposizione composta di piú parole si chiama modo prepositivo o locuzione prepositiva: per mezzo di..., insieme con, in luogo di ecc.

Ancora una volta ci preme ricordare che il verbo “arricchire” si costruisce con le preposizioni “di” o “con”. I “dicitori” dei notiziari radiotelevisivi assieme ai colleghi della carta stampata, imperterriti, continuano a utilizzare la preposizione “da”, che, ripetiamo, è scorretta inducendo, quindi, in errore gli ascoltatori e i lettori sprovveduti in fatto di lingua.

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La lingua "biforcuta" della stampa

"Da Giorgia una lezione alle femministe. Le donne dem sono ancora succubi"

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Correttamente: succube. DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia: succubo [S2kkubo] (meno bene succube [S2kkube]) s. m. — anche agg.: come la statua sùccuba di Venere [k1me lla St#tua S2kkuba di v$nere] (D’Annunzio) — usato dal Rinascim. al primo ’900 quasi solo come s. m. o agg. m. nella forma del pl.: spiriti, demoni incubi e succubi; di qui la falsa ricostruz. moderna d’un sing. succube nel nuovo sign. di «chi soggiace alla volontà d’un altro». Vocabolario De Mauro: sùc|cu|bo agg., s.m. 1563 nell'accez. 2; der. del lat. tardo succuba “concubina”, der. di succubāre “giacere sotto”.

Succubo, insomma, è un aggettivo (ma anche sostantivo) della 1^ classe, come "buono". Quindi: succubo, maschile singolare; succuba, femminile singolare; succubi, maschile plurale; succube, femminile plurale.




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sabato 22 ottobre 2022

Sgroi - 140 - IL LINGUAGGIO DEI POLITICI (LEGHISTI) TRA "IN-PIEGATO" E "ÌNDICO" (PARDON: "INDÌCO")





di Salvatore Claudio Sgroi
 

 

1. L'evento mediatico

Un caro amico e collega ha voluto girarmi due e-mail aventi per oggetto il neo-presidente della Camera, il leghista, veronese, Lorenzo Fontana, pluri-laureato, con ben tre lauree (non saprei dire in che, né se triennali o specialistiche, né presso quale/i università, ma cfr. sotto § 2 i.e), autore di due svarioni: uno ortografico -- in-piegato anziché impiegato -- e l'altro fonologico -- "ìndico la votazione" anziché "indìco la votazione"

 

1.1. Lo strafalcione ortografico

Lo strafalcione ortografico in-piegato è apparso due volte nella autocertificazione alla Camera (si direbbe) autografa, a stampatello, del 21 marzo 2018, riguardo alla "Dichiarazione delle cariche ricoperte e delle funzioni svolte alla data della presentazione della candidatura", ripresa dal Fatto Quotidiano del 16 ottobre 2022:

 

"PARLAMENTARE EUROPEO

INPIEGATO PRESSO VERONA FIERE

IN ASPETTATIVA DAL 2009"

 

La pronuncia "ìndico la votazione per sede" è emersa il 19 ottobre a Montecitorio per l'elezione di quattro vicepresidenti, tre questori, e otto segretari.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/10/20/fontana-nuovo-strafalcione-per-il-presidente-della-camera-confonde-laccento-e-il-verbo-si-trasforma-video/6845252/

 

2. Parlante sgrammaticato = pessimo Politico?

È un topos sul linguaggio dei politici analizzare il loro eloquio, se scorretto, come 'arma' da utilizzare per criticare la loro prassi politica, come emerge p.e. dai circa 500 commenti riportati dal citato Fatto Quotidiano.it, di cui indichiamo giusto i seguenti:

 

(i.a) "un ignorante a questi livelli (al di sotto dello standard dei bambini delle elementari) non può avere idee, nè buone nè cattive".

(i.b) "Un Presidente della camera decisamente inpresentabile".

(i.c) "Cioè, a parte le tre Lauree, che se sei benestante le puoi comprare, lui ha cominciato dalla terza elementare. Eccezionale! Povera Italia, come siamo caduti in basso ...".

(i.d) "queste lauree misteriose. Come fa uno con tre lauree vere a non sapere come si scrive impiegato? Tesi non ne ha fatto? Libri non ne ha letto? mah".

(i.e) "Laureato in Scienze Politiche, Filosofia e Storia, grazie a Sant'Antonio da Padova. Credo non ci abbia capito niente. Forse sta imparando a scrivere correttamente".

(i.f) "Beh, certo che avere 3 (TRE) lauree (dicono) e scrivere "iNpiegato" è proprio degno di un leghista ... ultracattolico e bigotto".

 

Per altri invece la qualità dell'eloquio è irrilevante, essenziali essendo le idee e la prassi politica, come emerge dai commenti su ricordati:

 

(ii.a) "Ma davvero vogliamo preoccuparci per le non-conoscenze di grammatica e ortografia di Fontana? Preoccupiamoci delle idee che ha non di come le scriverebbe".

(ii.b) " una n o m certo non è un buon biglietto da visita, ma sono le idee che dovrebbero allarmarci, vedremo".

(ii.c) "Che si usino questi attacchi personali farciti di offese per criticare un politico è proprio sintomo di un degrado democratico! Alla caccia dei calzini blu o della lettera scritta senza l'accento ! Poi "ultracattolico" che cosa vuol dire ? Ma nella società "inclusiva" non si possono mica fare discriminazioni di sesso, religione e razza ! O ce lo siamo dimenticati ? Poi "bigotto" che cosa vuol dire ? Essere in disaccordo con la compravendita di bambini ? Proviamo a fare un referendum e vediamo quanti sono i bigotti!"

 

3. Le regole alla base della grafia (R-1 ortodossa) im-piegato e (R-2 popolare) in-piegato

Quali sono le motivazioni inconsce alla base delle due grafie in questione?

La grafia canonica <impiegato> si spiega con la pronuncia /impiegato/, ovvero con la [Regola-1] della sequenza fonologica costituita dalla "nasale bilabiale /m/ + occlusiva bilabiale sorda /p/", presente in migliaia di parole. Ben 3038 sono per es. i lemmi del Dizionario della lingua italiana di T. De Mauro (2000), mentre appena una ventina sono i lemmi  con la combinazione <np>, in prevalenza sigle (18) p.e. INPS o parole straniere (input). In altri casi sono invece canoniche ben tre grafie: con <ben>: ben parlante/benparlante/bemparlante/, ben pensante /benpensante/bempensante, ben portante/benportante/bemportante; -- con pan: pan pepato/panpepato/pampepato, pan porcino/panporcino/pamporcino; con due grafie: panpsichismo, pampsichismo; -- e ancora, sanpietro/sampietro, sanpietrino/sampietrino.

Nel caso di in-piegato deve aver agito la attrazione [Regola-2] popolareggiante delle sequenze di due parole come in piedi, un po', san Pietro, "un + parola iniziante con /p/", es. un paio, ecc. Qualcuno potrebbe anche far presente che il parlante in questione possa pronunciare nel suo dialetto veronese /in-piegato/, da qui la (caco)grafia <in-piegato>, un'interferenza quindi dialettale.

In attesa di poter sentire dalla bocca dell'interessato la sua pronuncia in dialetto e in italiano, al di là della pronuncia /in-piegato/ con /n/ dentale dinanzi a /p/, si potrebbe ancora spiegare <in-> come prefisso negativo "/in/ + /piegato/", come se <in-piegato> fosse formato, come già detto, da due parole. Ovvero lui potrebbe pronunciare /iMpiegato/ ma scrivere <in-piegato> perché assimila <in-> al prefisso negativo. Ossia anziché la (orto)grafia fonetica <impiegato> lui opterebbe per una (caco)grafia morfematica <in-piegato> come se significasse 'non-piegato'.

 

 4. Le regole alla base della pronuncia ìndico (da indicare) vs indìco (da indìre)

La frequenza del verbo ìndico (pres. indic. di indicare), verbo "Fondamentale" secondo il citato De Mauro, ovvero rientrante nel "Lessico di base" di c. 7000 parole note a chi ha conseguito il diploma di terza media, spiega la presenza di tale pronuncia rispetto a indìco (pres. indic. di indìre), verbo "Comune" noto ai diplomati e ai laureati (ma non al nostro presidente della Camera).

 

5. Conclusione

Ora indipendentemente dal fatto che il neo-presidente della Camera è, a quanto sembra, "omofobo, pro Putin, antiabortista, contro le famiglie Arcobaleno", quello che in effetti colpisce è l'aver egli conseguito ben tre lauree, che stridono non poco con lo svarione ortografico in-piegato e la pronuncia popolareggiante "ìndico la votazione".








 

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venerdì 21 ottobre 2022

Il plurale dei nomi in "-io"


E
gregio dottor Raso,

sono un giovane diciassettenne che, innamorato del proprio idioma materno ed appassionato alla linguistica, gode nel leggere le Sue "noterelle sulla lingua italiana", di cui Le sono gratissimo.

La contatto, spero sinceramente di non recarLe disturbo alcuno, perché ho da parecchio tempo un dubbio linguistico che ho cercato di solvere "con tutto me stesso", ma che rimane irrisolto siccome nessun dotto, mi pare, non se ne sia mai curato.

Ho pensato, dacché Lei è un grande e stimato esperto in questa materia, che scrivendoLe avrei potuto finalmente ottenere una risposta.

La mia perplessità è quella scritta nel cosiddetto "oggetto della mail": io so che il plurale delle parole che hanno -io come desinenza può essere la sostituzione della "o" finale con un'altra "i" (come in Latino), il disegnare un accento circonflesso sulla "i" oppure l'obsoleta "j".

Personalmente preferisco usare la seconda opzione che ho elencata senza un motivo preciso (e in genere non succede nulla), ma spesso capita ch'io utilizzi la desinenza in "doppia i". Ogni qualvolta che io scrivo "inizii", "ampii", o "gelataii", per fare degli esempii (perdoni il gioco di parole involontario), la mia docente di Italiano attuale, ma anche quelli che ho avuti in passato, mi barra in rosso questi termini perché a detta sua la grafia che uso è un errore.

Ho spesso provato a chiedere "come mai scriver "zii" fosse corretto, ma "cranii" non lo fosse e la risposta è sempre stata un freddo "son parole diverse".

Non vorrei presumere che la mia professoressa sbagli, ha studiato ed è laureata perciò io non sono in nessuna posizione di poterlo nemmeno pensare, tuttavia non riesco a capire come possa essere sbagliato scrivere "dubbii".

Spero davvero che Lei possa riuscire a trovare del tempo per rispondermi ed aiutarmi. In attesa di un Suo riscontro, La saluto ossequiosamente

 

Edoardo N.

(località omessa)

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Caro Edoardo,

mi stupisce la risposta dell'insegnante: sono parole diverse. No, non sono parole "diverse", sono parole che nella forma plurale si scrivono secondo una determinata regola, ma forse è meglio dire consuetudine, ortografica. Vediamola per sommi capi. I sostantivi in "-io", con la i atona (sulla quale non cade l'accento tonico quando si pronuncia) formano il plurale con una sola "i" ("i"scempia): lo studio/gli studi; l'odio/gli odi; l'olio/gli oli; il vizio/i vizi; l'armadio/gli armadi. Prendono la doppia "i", invece, i nomi o sostantivi in cui la "i" della desinenza (-io) è tonica, vale a dire sulla quale cade l'accento durante la pronuncia: lo zio/gli zii; l'addio/gli addii. Alla sua docente di lingua italiana consiglierei di ripassare la grammatica italiana.



 

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lunedì 17 ottobre 2022

Ammarare e... ammarrare



AstroSamantha è tornata a casa: la capsula Crew Dragon Freedom è ammarata nell'Atlantico

Questo titolo di un quotidiano in Rete ci dà lo spunto per mettere in evidenza il fatto che il verbo "ammarare" non è la variante di "ammarrare" (con due "r") come molti ritengono, anche gente di cultura. Tra i due verbi c'è una notevole differenza semantica (significato). Quanto al titolo, sarebbe stato "piú corretto" se gli addetti alla titolazione avessero adoperato l'ausiliare "avere": ha ammarato. Ma tant'è. E veniamo ai due verbi che non sono ─ come specificato ─ l'uno variante dell'altro. Quello con una sola "r" (ammarare) significa "scendere e posarsi sull'acqua" (si dice di un aereo, di un idrovolante e di un veicolo spaziale). Gli etimologisti lo fanno derivare dal sostantivo mare, coniato sul modello di atterrare. Ammarrare (con due "r") sta per "ormeggiare", "attraccare". Non è di provenienza italica, ma gallica: ammarrer, a sua volta dall'olandese maren, 'attaccare'. Ma oggi, sembra, è quasi in disuso.


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La lingua "biforcuta" della stampa

Feriti due bambine di 4 e 7 anni, cinque donne adulte e un uomo di 40 anni, tutti peruviani, oltre alla vigilessa che era alla guida

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Prima o poi, speriamo, gli operatori dell'informazione impareranno quale è la forma femminile corretta di vigile. Quanto a donne adulte... Treccani:  (Donna) Nella specie umana, l’individuo di sesso femminile, soprattutto dal momento in cui abbia raggiunto la maturità anatomica e quindi l’età adulta. Una donna, per tanto, è... adulta.

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Pisa, in attesa per 6 ore seduto su una sedia al pronto soccorso con una trombosi

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Chi aveva la trombosi? La sedia?



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sabato 15 ottobre 2022

Il dizionario etimologico del Pianigiani è affidabile?


G
li esperti di "Domande e risposte" del sito della Treccani, a un quesito di un lettore che chiedeva se "patologia" si possa considerare sinonimo di "malattia" o "disturbo", perché secondo il Pianigiani il vocabolo in questione significa (solo) "scienza che tratta dei disordini relativi alla disposizione materiale degli organi del corpo umano e delle loro funzioni", rispondono:

Il nostro parere è che non si deva considerare affidabile il Pianigiani, che ha un solo grande pregio indiscusso agli occhi di tutti, compresi coloro che, giustamente, sono appassionati di lessico e di etimologia: si trova facilmente on line ed è gratis. Per il resto, più volte i linguisti esperti in* etimologia hanno segnalato che il repertorio del Pianigiani è largamente inaffidabile (anche se il Pianigiani lui, in carne e ossa, era un tipo estroso – troppo, forse).

A questo punto sorge spontanea la domanda, come usa dire: se il Pianigiani è inaffidabile perché i responsabili del DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, lo hanno inserito tra le opere consultate?

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* Il responsabile di questo portale avrebbe scritto: esperti di etimologia.


 

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mercoledì 12 ottobre 2022

Ucraina: quale pronuncia?


 La guerra Russia-Ucraina ha scatenato una "guerra" sulla pronuncia: "à" o "i" (Ucràina o Ucraìna)? Ecco il "verdetto" del DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia:

Ucraina [ukra&na, meglio che ukr#ina] top. f. — antiq. Ucrania [ukr#nLa] (forma conservata dallo sp.): Dai cavalli d’Ucrania [dai kav#lli d ukr#nLa] (Aleardi) — russo Ukraina [ukra&]; ucr. Ukrajina [ukraL&na] — accentaz. -&na conforme al modello ucr. e russo, oltre che all’analogia delle parole it. in -&na, quindi più naturale per l’orecchio italiano — accentaz. -#ina favorita forse da un qualche aspetto esotico, lontano dagli usuali dim. in -&na, e certo diffusa anche in altre lingue (rum., ted., ingl.) e da molto tempo (in it., dal ’600), o in altre anc÷ra confermata da adattamenti che la presuppongono (sp. -#nLa già visto, fr. -$n, ungh. -wLnw)

Per una migliore "visione" si clicchi qui.














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sabato 8 ottobre 2022

L'onta, la moglie e l'incognito


I
l  sostantivo femminile onta significa, propriamente, "vergogna", "dispetto" e simili. Viene dal francese "honte", a sua volta dal tedesco "haunitha" (dileggio, beffa): ha vinto a "onta" dei suoi avversari. Quando manca l'idea della vergogna, del dileggio, del dispetto il suo uso non è "legittimo". È improprio (ma sarebbe meglio dire errato), quindi, adoperare questo termine - come fanno alcuni - nel significato di "nonostante": sono uscito a "onta" della pioggia. Si dirà, correttamente, "nonostante" la pioggia.

Come sta sua moglie? Come sta la sua signora? Quando il sostantivo signora è preceduto da un aggettivo possessivo ed è adoperato in luogo di moglie richiede tassativamente l'articolo. Se occorre abbreviarlo la sola forma corretta è sig.ra

Due parole sull'uso corretto di "incognito", che si costruisce senza la preposizione "in" (non in incognito, quindi). Il cantante è giunto a Roma incognito. L’aggettivo, infatti, viene dal latino incognitus composto con la preposizione negativa in e il participio passato del verbo cognoscere. La preposizione "in" è già "dentro" la parola, anzi all'inizio. Attendiamo, in proposito, gli strali di qualche linguista "d'assalto" nel caso s'imbattesse in questo sito.

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La lingua "biforcuta" della stampa

LA STORIA

Addio a Pebbles, il cane più anziano del mondo: fra cinque mesi avrebbe compiuto 23 anni

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Ma quanti anni ha il mondo?





Qui








 

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lunedì 3 ottobre 2022

Sgroi - 139 - Regole, eccezioni ed errori


di Salvatore Claudio Sgroi

  

1. Un modo di dire tradizionale

È un modo di vedere la realtà tradizionale e diffuso il dire, in fatto di lingua (e non solo), "È l'Eccezione alla Regola", riconoscendo così un vulnus per la Regola, una contrapposizione e una minaccia per la sua stessa esistenza.


2. Un secondo modo dire

Un altro modo di dire come "L'eccezione conferma la regola" da un lato vuole contrastare l'opinione secondo cui "un'eccezione annulla la regola", e dall'altro si sottintende che "una eccezione non è una regola che annulla un'altra regola".

Una visione più adeguata ci sembra invece il sostenere che l'Eccezione è in realtà anch'essa una Regola, magari minoritaria, che si contrappone a un'altra Regola più diffusa e magari maggioritaria e riconosciuta.

Per es. si dice comunemente che la Regola del comparativo in italiano implica la combinazione di "più/meno + agg. qualif." es. più/meno bello, con l'eccezione dei comparativi sintetici come migliore, meglio, peggiore, peggio in quanto latinismi, per cui non si può dire normativamente *più migliore/*più meglio. In termini teoricamente più corretti, invece, si può sostenere che in italiano la Regola-1 (maggioritaria) del comparativo analitico più/meno bello si affianca alla Regola-2 (minoritaria) del comparativo sintetico migliore, meglio ecc.

 

3. L'Errore: un uso non sgrammaticato ma generato da una Regola e giudicato negativamente

L'"Errore" è tradizionalmente un uso "sgrammaticato", giudicato quindi negativamente rispetto a un Uso grammaticalmente corretto, così nel caso degli ess. su citati *più  migliore/*più meglio.

Per conto mio, invece, l'Errore è un uso, variamente diffuso, giudicato sì negativamente con diverse motivazioni, ma generato da una Regola-1, spesso inconscia, ed è opposto a un Uso giudicato positivamente, generato a sua volta da una Regola-2.

L'Errore e l'Uso corretto sono quindi entrambi forme prodotte da una diversa grammatica, ma  con giudizi di valore opposti (cfr. S.C. Sgroi, Gli Errori ovvero le Verità nascoste, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani 2019).

Nel caso di *più migliore/*più meglio la Regola che li ha generati è la stessa Regola del comparativo in italiano che implica la combinazione di "più/meno + agg. qualif." es. più/meno bello estesa a migliore e meglio.

Normativamente *più migliore / *più meglio sono però giudicati "errati" perché, pur costrutti comprensibili, sono tipici dei parlanti/scriventi semi(n)colti dell'italiano (regional)popolare.

 

4. Un terzo modo di dire

L'espressione "L'Eccezione fa la Regola", titolo di un intrigante volume di M. Motolese, sottotitolo Sette storie di errori che raccontano l'italiano (Garzanti 2022), non nega, né minaccia la Regola, ma piuttosto promuove a Regola l'Eccezione, prima misconosciuta in quanto Regola.

Implicitamente se ne deduce anche che certe Eccezioni non fanno la regola, ovvero che non tutte le Eccezioni fanno regola.

C'è da chiedersi ancora quand'è che l'Eccezione diventa Regola, rispetto alla diversa concezione per la quale l'Eccezione ha sempre dietro di sé una Regola, magari nascosta o difficile da individuare.

 

5. L'Eccezione non esiste

Secondo una concezione radicale della realtà si può sostenere invero che l'Eccezione non esiste. Ogni aspetto della realtà è generato da una Regola, spesso inconscia per il parlante, non evidente a prima vista, e da scovare.

Ovvero l'Eccezione, quando esiste, -- e si potrebbe ancora legittimamente sostenere che l'Eccezione esiste sempre, -- è solo un caso che attende di essere spiegato da una Regola "in lista d'attesa" per essere identificata.

 

6. Ottimismo e pessimismo epistemologico

Epistemologicamente, una posizione ottimistica caratterizza chi riconosce sì l'esistenza -- ma contingente -- di eccezioni,  rispetto a chi pessimisticamente ritiene che le eccezioni esistono --necessariamente -- e non sono eliminabili.





 








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domenica 2 ottobre 2022

Sgroi - 138 - "Transire", "transare" o "transigere"?



di Salvatore Claudio Sgroi

  

1. L'evento televisivo

Nella trasmissione di RAI-1 domenica 2 ottobre, 8h40, alla storica della lingua Giovanna Fròsini, ospite della rubrica "Pronto Soccorso Linguistico" tenuta da Francesco Sabatini, in un audio-messaggio è stato posto il "dubbio linguistico" se fosse corretto un enunciato come "Su questa cosa non si può transire".


La risposta della storica della lingua è stata che si tratta di un uso errato, in quanto la forma corretta è "Su questa cosa non si può transigere", con transigere v. intr. 'scendere a patti' dal lat.  transĭgĕre. Il criterio alla base del giudizio normativo è quindi di tipo storico-etimologico.

Il Diz. etim. della lingua ital. (DELI) di M. Cortelazzo-P. Zolli (Zanichelli) consente di accertare che transigere intr. 'sorvolare' in tale accezione è databile il 26 gennaio 1798, con la puntualizzazione che "la data di immissione [...] rivela l'influsso del fr. transiger". Un franco-latinismo, dunque.

 

2. Transare

A dire il vero, il dubbio linguistico espresso dall'ascoltatore può riguardare anche la variante -- decisamente più comune -- transare, es. Su questa cosa non si può transare. La variante transare, (analoga a redarre/redigere, pp. redatto) si spiega a partire da transigere pp. transatto, ovvero con trans-are retroformato per analogia sulla ventina di verbi in -rre come (ri)trarre pp. (ri)tratto, attrarre pp. attratto, sottrarre pp. sottratto, ecc.

 

3. Transare vs transire-1 e transire-2

A questo punto si pone il problema del rapporto tra il comune transare e il decisamente meno comune transire del teleascoltatore.

Ora, se è vero che in italiano esiste il verbo transire v.intr. (essere) come indicato nel De Mauro (2000) voce "OB[soleta] passare, entrare, datato av. 1306, dal lat. transīre, comp. di trans- 'oltre' e īre '1andare'", il transire del teleascoltatore non può essere collegato con esso. Non si tratta cioè di un lessema polisemico, ma di un omonimo, omofono, con diverso significato e diversa etimologia.

 

4. Transire-2

Il trans-ire della frase "Su questa cosa non si può transire" si può infatti spiegare come sovrapposizione di "trans-are" su "trans-igere".

In conclusione, il transire-1 trecentesco ha un'etimologia diacronica, ovvero è un latinismo, mentre il transire-2 del telespettatore ha un'etimologia sincronica, ovvero è una neoformazione, probabilmente moderna-contemporanea.

 

5. Norma

Sul piano normativo il transare è certamente più diffuso, anche presso parlanti mediamente colti (come redarre) e quindi è corretto (i neopuristi, come G.L. Messina, Dizionario dei neologismi, dei barbarismi e delle sigle, A. Signorelli 1983 lo ritengono invece "Doppione inammissibile, da respingere in ogni caso"), mentre il transire è meno diffuso e probabilmente per questo può essere percepito come non corretto.











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Nulla e niente: il loro uso corretto


 “Nulla” e “niente” sono pronomi indefiniti (singolari) invariabili e si riferiscono a una cosa.  Hanno la “forza” di negare, senza l’aggiunta di un’altra negazione, solo se precedono il verbo di modo finito: nulla lo fermerà; niente lo soddisfaceva; nulla lo cambierà. Quando sono posposti al verbo non negano… nulla se non sono accompagnati da un’altra negazione (non): non dice nulla; non gli piace niente. Non è un buon italiano, dunque, dire o scrivere, per esempio, “mi meraviglia nulla”; “niente mangerò a pranzo”. 

Tuttavia costrutti senza il “non” si trovano nell’italiano antico: “Quando poteva s’aiutava, ma ciò era niente” (Boccaccio). Oggi, l’uso moderno “condanna” simili costrutti. Locuzioni come “fa niente”, “fa nulla”, “so niente” e simili sono considerate dialettali, infatti,  perché non accompagnate dal “non” e da evitare, per tanto, in buona lingua italiana.

Da notare, infine, che nelle frasi interrogative i due pronomi perdono la loro “negatività” acquistando un valore positivo: “ti occorre nulla”? (ti occorre, cioè, qualche cosa?); “vuoi niente?” (vuoi qualcosa?). Dimenticavamo. Nulla e niente si possono apostrofare: null’altro; nient’affatto.


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La lingua "biforcuta" della stampa

CRONACA

Trentenne in monopattino di notte sull’autostrada Torino-Aosta: maxi-multa

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Gli operatori dell'informazione capiranno, prima o poi, che i prefissi e i prefissoidi si scrivono uniti alla parola che segue? Correttamente: maximulta.

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Si riaccendono i forni in pietra, l’odore del pane caldo invade le valli del cuneese

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Correttamente: Cuneese (iniziale maiuscola, trattandosi di un'area geografica).





 









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