domenica 31 marzo 2019

"Forfait" o "forfeit"? Dipende...

Probabilmente ci ripetiamo, ma come dicevano i nostri antenati Latini...  Ancora una volta, nostro malgrado, dobbiamo dissentire da certi vocabolari che ritengono i termini barbari "forfait" e "forfeit" l'uno sinonimo dell'altro. Nel Treccani, per esempio, possiamo leggere: «forfeit fòofit› s. ingl., usato in ital. al masch. – Nel linguaggio sport. (in Italia spec. nell’ippica), termine equivalente al fr. forfait (v.forfait2)». La cosa, presentata in questo modo, genera solo equivoci e confusione. I due termini, il francese "forfait" e l'inglese "forfeit" hanno significati diversi. Il dizionario del Battaglia - a nostro modesto avviso - è un po' piú chiaro. Alla voce italianizzata "forfè" (che a noi non piace) precisa: «... per il significato numero 2 (sport: rinuncia o mancata presenza di una squadra o di un concorrente ad un incontro) confronta l'inglese "forfeit" (che è tratto dal francese)». Il DOP, Dizionario di Ortografia e Pronunzia della ERI (versione cartacea), non ha peli sulla lingua: specifica chiaramente la diversità di significato dei due termini, il francese e l'anglo-fancese. Come non ha peli sulla lingua l'insigne (e rimpianto) linguista Aldo Gabrielli: "forfait" vale 'prezzo fatto'; "forfeit", invece, vale 'ritiro'. Ma anche il DELI, per la verità, distingue i due vocaboli: "forfait", 'contratto per cui ci si impegna a fornire una prestazione o un bene a un prezzo globale prestabilito' e "forfeit", 'mancata partecipazione o ritiro prima dell'inizio dello svolgimento di una gara'. Come vedete, amici, non stiamo farneticando: c'è forfait e... forfeit.

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"Sia... sia" o "sia... che"?

Entrambe le locuzioni si possono adoperare. Sarebbe bene, però, non incoraggiare la diffusione del sia... che perché, come scrive Luca Serianni, accademico della Crusca, nella sua Grammatica Italiana: «(...) La correlazione è ottenuta col congiuntivo presente del verbo essere, usato con valore concessivo. Il che al secondo membro, piuttosto diffuso e ormai accettato anche dai grammatici tradizionalisti (...), talvolta potrebbe ingenerare confusione, specie in periodi complessi (...)». Accettato, tradotto, significa tollerato. La sola forma grammaticalmente legittima è, dunque, sia... sia. Questa locuzione correlativa sta per tanto... quanto, e... e; il secondo sia può essere sostituito da o, ossia, giammai da che, con cui non può evidentemente stare in correlazione: sia noi sia voi; sia noi ossia voi. È giusta, corretta, invece la locuzione sia che... sia che: sia che partiate, sia che restiate.


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Ancora sulla lingua "biforcuta" della stampa
Da un quotidiano in rete:

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A nostro avviso, stando alla "legge logico-grammaticale", la congiunzione avversativa "ma", in questo caso, è un'intrusa e da eliminare, quindi. Secondo la "logica grammaticale": "La donna che non prova dolore potrebbe aiutare milioni di malati in tutto il mondo". Attendiamo smentita da parte di qualche sedicente linguista.

 


sabato 30 marzo 2019

La "lingua" della stampa

Da un quotidiano in rete della Capitale:
Tridente, slitta la Ztl
sarà attiva dal 2 maggio
L'apertura dei nuovi varchi elettronici è stata spostata di un mese.
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A nostro modo di vedere - in lingua italiana - l'apertura andava cambiata in «l'entrata in funzione» perché - secondo il senso "italo-logico" - la frase si interpreta cosí: l'apertura dei nuovi varchi elettronici (ora chiusi) è stata spostata di un mese. Attendiamo gli strali di qualche sedicente linguista; strali che, se arriveranno, ci lasceranno nella "piú squallida" indifferenza.

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Spelare e spellare. Si presti attenzione a questi due verbi perché molto spesso - per distrazione? - vengono considerati l'uno sinonimo dell'altro. Hanno, invece, accezioni distinte. Il primo significa togliere il pelo, perdere il pelo; il secondo sta per scorticare, togliere la pelle. Ci viene da ridere, in proposito, quando negli scaffali dei supermercati leggiamo pomodori pelati invece di (correttamente) pomodori spellati.

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Cadere nella pania


Chissà quanti gentili blogghisti hanno sperimentato, senza rendersene conto, questo modo di dire sulla loro pelle. Come? Cedendo a lusinghe che, in realtà, nascondevano un tranello. La “pania” è - come recitano i vocabolari - una “sostanza collosa estratta dalle bacche del vischio che, spalmata su bastoncini di legno, serve a catturare piccoli uccelli”. In senso figurato, quindi, cade nella pania la persona che resta vittima di un inganno, di un raggiro, di un’insidia.

giovedì 28 marzo 2019

Voci teutoniche (germanismi) nel nostro idioma

Con il termine "germanismo" si intende - in linguistica - ogni parola o locuzione tedesca (o di origine germanica) entrata a pieno titolo nella lingua di Dante - solitamente con modificazione della pronuncia e della grafia, "rispettando", cosí, i sistemi grafici e fonetici della lingua italiana.
 I "teutonicismi"  - ci sia consentito questo neologismo (1) - presenti nel nostro linguaggio corrente si possono dividere in due gruppi: 1) germanismi antichi (quelli entrati nel nostro idioma durante le invasioni barbariche);  2) germanismi moderni (quelli entrati nella nostra lingua in seguito ai rapporti politico-culturali intercorsi fra le regioni germaniche e il nostro Paese, dal secolo XIV al XX). Fra i germanismi antichi: termini militari (elmo, guardia, guerra, bando, albergo, strale, sgherro, sguattero); termini di parti del corpo umano (guancia, anca, milza, stinco, schiena, nocca); nomi di colori (grigio, bianco, bruno, biondo); vocaboli vari (guercio, schermo, sghembo, palla, melma, schietto, zolla, zazzera, snello, spaccare, bara, arraffare, grinta, strofinare, spruzzare, stormire, recare); termini dell'arredamento, di utensili domestici, della casa (sapone, scaffale, sala, stalla, panca, nastro, spola, scranna, stamberga, vanga, stecca, lesina, roba, rocca). Fra i germanismi moderni fanno la parte del leone quelli entrati nel secolo XX: voci culturali (psicanalisi, hinterland, plusvalore); termini gastronomici (crauti, strudel, gulasch, wurstel); voci politico-militari (lager, panzer, fuhrer). Nei secoli precedenti si possono "contare" solo voci isolate, come piffero, alabarda, borgomastro, brindisi, cobalto, feldspato*, valzer).

(1) Senza saperlo abbiamo coniato un termine già esistente, anche se non in uso.

 * Qui

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La parola, anzi un verbo proposto da questo portale e non a lemma nei vocabolari consultati: confarrare. Verbo transitivo che vale: unire in matrimonio.

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La lingua "biforcuta" della stampa

Da un quotidiano in rete:

La Camera approva la mini naja
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In buona lingua italiana: mininaia
I prefissi si scrivono "attaccati" alla parola che segue. Naia si scrive con la "i" normale. Si veda qui.


sabato 23 marzo 2019

Indeciso? No, titubante


Quanto stiamo per scrivere non avrà "l'imprimatur" dei linguisti e dei lessicografi perché siamo "sbugiardati" da tutti i vocabolari consultati, solo il Palazzi ci dà ragione. Ma tant'è. Intendiamo parlare dell'uso "distorto" dell'aggettivo indeciso che, a nostro avviso, non si può riferire a persone ma solo a cose sulle quali si deve prendere una decisione, in particolare su una causa, su una lite, su una questione, su una controversia: la vendita dell'appartamento condominiale è ancora indecisa. Una persona che non sa prendere una decisione non è, quindi, una persona indecisa, ma titubante, dubbiosa, incerta, perplessa, esitante, irresoluta e simili. Frasi tipo: Rossano è indeciso - per le prossime ferie - fra il mare e i monti, ci sembra una castroneria linguistica.
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Un vocabolo aulico, precisamente un aggettivo, snobbato dai vocabolari dell'uso: termegisto (grandissimo, eccelso). I vocabolari non lo registrano, probabilmente, perché è un termine ibrido essendo composto con una voce latina, "ter" (tre) e una greca, "mègistos" (grandissimo).


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La lingua "biforcuta" della stampa
Da un quotidiano in rete:
cronaca
Donna uccisa dal nipote a Modena, il procuratore: "Delitto folle"
Il procuratore Lucia Musti: "Il gesto appare senza movente e senza spiegazione". La procura ha richiesto la convalida dell'arresto
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Come si può "concordare" un sostantivo maschile riferito a un femminile? Correttamente: la procuratrice Lucia Musti. De Agostini: Il femminile regolare di procuratore è procuratrice, e così si può chiamare una donna che eserciti il mestiere di procuratore. Alcuni preferiscono però chiamare anche una donna procuratore, al maschile, specie nelle denominazioni procuratore legale e procuratore della repubblica. Si tratta di una scelta che non ha basi linguistiche, ma sociologiche, e che comunque può creare, nel discorso, qualche problema per le concordanze. Per il significato storico, il nome nella forma femminile non è stato probabilmente mai usato perché storicamente non sembra che questo titolo sia mai stato attribuito a donne. Tuttavia chi volesse, per esempio, far comparire una procuratrice in una favola, potrebbe utilizzare questa forma di femminile grammaticalmente regolare; potrebbe anche utilizzare procuratore maschile per la donna ma ciò gli potrebbe creare, nel discorso, qualche problema per le concordanze.




mercoledì 20 marzo 2019

Un'accentazione "topica"

Il nostro bellidioma è pressoché ricco di parole barbare cioè di parole straniere – accolte in pompa magna dai nostri dizionari e adoperate, quindi, a ogni piè sospinto (anche se molto spesso se ne potrebbe fare volentieri a meno essendoci il termine omologo” italiano). Una di queste parole è robot che come tutti sappiamo significa “macchina elettronica. Ciò che non tutti sanno, invece, è che la provenienza del termine non è francese, bensí ceca. Coloro, dunque, che pronunciano robòt(con laccento sulla seconda o”) danno a questo vocabolo unaccentazione topica, vale a dire errata. La parola, come dicevamo, è di origine ceca e deve conservare, per tanto, laccentazione originaria; laccento, insomma, cioè il tono” della voce, deve cadere sulla prima o” (ròbot). Non esiste una pronuncia alla francese; chi segue questa moda sapendo di prendere una topica, sapendo, cioè, di sbagliare, lo fa per puro snobismo linguistico. L’accentazione corretta ripetiamo è solo quella in cui il tono” della voce cade sulla prima o. Il termine che indica una “macchina automatica a comando elettronico o elettromeccanico” atta a vari usi è il nome proprio ceco Ròbot che lo scrittore Capek estrapolò” dal sostantivo ròbota” (‘lavoro pesante’) per designare gli automi protagonisti del suo dramma (‘R.U.R.’ – Rossums Universal Robots). Dopo la traduzione in lingua italiana il vocabolo si diffonde nel nostro Paese e il solito sapientone lo pronuncia alla francese, dando la stura allaccentazione topica, cioè maledettamente errata. Quanto a topica, nel caso specifico, non è il femminile dellaggettivo topico (il vocabolo lo abbiamo virgolettato, infatti) che ha tuttaltro significato, ma un sostantivo che significa sbaglioed è adoperato soprattutto nellespressione fare una topica, prendere, cioè, un abbaglio, un granchio.

domenica 17 marzo 2019

Accademia della Crusca: il tema del mese


Agli amici interessati ai problemi di lingua segnaliamo un articolo di Vittorio Coletti, dell'Accademia della Crusca, sulla "transitività" e "intransitività" dei verbi.

venerdì 15 marzo 2019

Prorogare = rinviare?

«Per un'indisposizione del cantante*** il concerto per i festeggiamenti del santo patrono della parrocchia è stato prorogato a data da destinarsi». Cosí un giornalino di quartiere. Forse è il caso di chiarire subito, per coloro che non sono molto avvezzi ai fatti di lingua, che l'uso del verbo prorogare - in questo caso - è errato. Prorogare è pari pari il latino prorogare, composto con 'pro-' (a favore) e 'rogare' (chiedere) e significa - come si può leggere nei vocabolari dell'uso - "continuare oltre il tempo stabilito o concesso". Nella prima metà del secolo XIV - leggiamo dal De Mauro - il verbo valeva “chiedere al popolo una proroga di poteri per un magistrato”. Non ha, quindi, il significato (errato) che spesso gli si dà, vale a dire: aggiornare, rinviare, differire, rimandare e simili. Il periodico di quartiere avrebbe dovuto adoperare quindi, correttamente, i verbi "rimandare" o "rinviare": «(...) è stato rinviato a data da destinarsi». A nostro avviso il testo contiene anche un altro piccolo 'errore': la particella enclitica "si" (destinarsi). Perché?, vi domanderete. E qui, probabilmente, ci attireremo gli strali di qualche linguista. La preposizione "da" posta davanti a un verbo di modo infinito dà a quest'ultimo un valore passivo. "Da destinare" significa, pertanto, "che deve essere destinata", la particella "si" (destinarsi), quindi, se non errata è superflua.

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Due parole sul verbo "ribattere", che si può costruire tanto transitivamente quanto intransitivamente, ma non "ad capochiam".  È intransitivo e si coniuga con l’ausiliare avere quando vale “insistere ostinatamente su un determinato argomento che ci interessa in modo particolare”: sono ore e ore che ribatti sulla stessa questione; non fece che ribattere su quel punto del programma (la questione stava particolarmente a cuore). In tutti gli altri casi è transitivo. È tremendamente errato dire o scrivere, quindi, “ribattere alle accuse”. La sola forma corretta è “ribattere le accuse”. È un grossolano errore, insomma, (e la stampa, in questo, è “maestra”) adoperare il verbo intransitivamente quando non “rientra” nei significati su menzionati. Se si hanno dei dubbi, in proposito, si adoperi il verbo “replicare” (in luogo di ribattere) che si può costruire con la preposizione “a”: replicare a un ordine. Abbiamo dalla nostra il vocabolario Sabatini Coletti in rete: Contraddire un'affermazione: r. le accuse; con l'arg. sottinteso, replicare: è sempre pronto a r.

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La lingua "biforcuta" della stampa
Da un quotidiano in rete:
Sosta selvaggia, giro di vite della Procura: vanno a giudizio una decina di automobilisti
Con la loro vettura hanno bloccato la circolazione dei mezzi pubblici per oltre mezz'ora. Rischiano fino a un anno
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Un'unica vettura per una decina di automobilisti? Una decina di automobilisti all'interno di una vettura? Correttamente: con le loro vetture (ogni automobilista ha la propria vettura, ovviamente).




giovedì 14 marzo 2019

Sgroi - 17 - "Frammistione": etimo diacronico?

di Salvatore Claudio Sgroi *

Premessa
Stimolato dai rilievi di alcuni amici-linguisti sull'ipotesi dell'etimo diacronico di frammistione, documentata a partire almeno dall'800 a tutt'oggi, ripropongo l'intervento dell'11 marzo con un supplemento di dati e di argomentazioni pro etimo diacronico (dal lat. intermixtio, onis).

1. Vitalità di frammistione
Sulla vitalità del termine frammistione, oltre l'es. già indicato, del 1803, presente in un testo tradotto dall'inglese:

  Erasmo Darwin 1803: "Linneo, nella Introduzione a' suoi ordini naturali, suppone che pochissimi fossero i vegetabili dapprima creati, e che il loro numero sia andato crescendo in ragione della frammistione e'  loro sponsali" (Zoonomia ovvero leggi della vita organica, Milano, Pirotta e Maspero, p. 234; Napoli, Trani 1808 p. 247, ecc.),

ne segnalo, sempre sulla scorta di Google libri ricerca avanzata, altri due del 1815 e del 1830 in ambito giuridico e in ambito storico

 1815: "§ 28  [...] e niente più comune diventa il formento in tali casi di quello che un gregge che risultasse dalla frammistione di due, uno tuo , l'altro di Tizio" (Corpus iuris civilis romani, Corpo del diritto civile romano. Le instituzioni del diritto civile romano dell'imperatore Giustiniano, volgarizzate con il testo latino a fronte, Milano, Baret, p. 91).

 H. Ellis 1830: "La frammistione confusa dei due sessi nei tempii, il dispregio, l'avversione e la trascuranza di quelle pubbliche solennità che formavano una parte delle abitudini giornaliere del popolo, sono cose particolarmente riferite nei rapporti dei mandarini" (Viaggio di lord Amherst alla China, Torino, Stamperia alliana, p. 127).

 Particolarmente interessante anche l'es. seguente:

 Giuseppe Onofrio Marzuttini 1830: "Laonde quando tu odi nomare Iddio, intendi una sostanza senza principio, senza fine, semplice, senz'alcuna frammistione, invisibile, incorporea, ineffabile, inestimabile, in cui niente v'ha di aggiunto, niente di creato" (Collezione delle opere dei padri e di altri autori ecclesiastici della chiesa aquilejese, tradotte illustrate e impresse.col testo a fronte dall'abate G.O. Marzuttini, Udine, Fratelli Mattiuzzi, p. 23).

 Il cui testo latino così recita:

 "Deum cum audis, substantiam intellige sine initiom, sine finem, simplicem, sine ulla admistione, invisibilem, incorpoream, ineffabilem, inestimabilem, in qua nihil adjunctumm, nihil creatum sit" (p. 22).

 Il sost. admistio, admixtio, sinonimo di intermixtio, è termine ciceroniano (Calonghi Dizionario latino italiano).


Nel '900 in ambito linguistico si possono segnalare, prima del già citato Berruto 2005:


Gaetano Berruto 1985: l'enunciazione mistilingue, è «la frammistione di costituenti appartenenti a due sistemi linguistici diversi in uno stesso enunciato senza che ai segmenti inseriti sia possibile attribuire un qualunque valore (micro)funzionale»" (“'l pulman l'è nen ch-a cammina tanto forte'. Su commutazione di codice e mescolanza dialetto-italiano”, in "Vox Romanica" 44 (1985), pp. 59-76, a. p. 67, giusto la precisazione dello stesso Berruto; citato anche in Il caso Camilleri: letteratura e storia, Palermo, Sellerio 2004, p. 90; cfr. anche pp. 92, 93).

 Bruno Moretti, ‎Dario Petrini, ‎Sandro Bianconi 1992: "Ciò potrebbe a sua volta favorire la frammistione in italiano di tali termini anche quando vengono usati con valore referenziale. Fattori pragmatico-interazionali e socioculturali in senso lato legati al ruolo e alle connotazioni dei due codici" (Linee di tendenza dell'italiano contemporaneo. Atti del XXV Congresso internazionale di studi della Società di linguistica italiana (Lugano, 19-21 settembre 1991, Roma, Bulzoni, p. 361).

E poi:

 Gianna Marcato, a cura di, 2005: "Quanto alle abbanniate caratterizzate dalla frammistione del codice lingua e del codice dialetto, sono presenti produzioni del tipo un èuro na bbella vaschìetta. un èuro. bbelli chivi. un èuro. bbelli nìespuli. [...]" (Dialetti in città. Atti del convegno, Sappada-Plodn (Belluno), 30 giugno-4 luglio 2004, Padova, Unipress, p. 101; e p. 93).

 Alberto A. Sobrero, ‎Annarita Miglietta, a cura di, 2006: "Da un punto di vista segmentale, costituiscono singoli episodi di frammistione tutte le sequenze continue di dialetto, a partire dal singolo elemento (es. l'articolo) fino ad arrivare a gruppi di parole e di frasi" (Lingua e dialetto nell'Italia del Duemila, Lecce, Congedo, p. 248, anche pp. 249-50).

 Paola Como 2007: "[...] l'individuazione dei confini della frammistione. In linea generale, per l'attribuzione dell'elemento omofono ad uno dei due codici, sono stati adottati criteri di costituenza sintattica.” (La variabilità del dialetto. Uno studio su Monte di Procida, Napoli, Liguori, p. 208).

  2. Etimo sincronico o diacronico?
In attesa che i dizionari accolgano il termine, c'è da chiedersi quale ne sia l'etimo.

 2.1 Frammist-ione neoformazione suffissata?
L'analisi di frammistione è invero trasparente al parlante comune che può analizzarlo come suffissato formato dal part. pass. "frammisto + suffisso -ione". Apparentemente quindi frammist-ione sembrerebbe una neoformazione, una voce cioè creata in italiano, un neologismo almeno dell'800.
Sennonché i suffissati in -ione non sono neoformazioni ma, come è stato dimostrato, prestiti da altre lingue, cfr. eros-ione dal lat. erosiōne(m), confus-ione dal lat. confusiōne(m), trasmiss-ione dal lat. transmissiōne(m), ecc.

2.2. Frammistione latinismo
La base Frammisto, databile av. 1765, è a sua volta latinismo, dal lat. intermixtus, part. pass. di intermiscere. Il sost. femm. frammistione è quindi riconducibile al s.f. latino intermixtione(m). Il lat. intermixtio, -onis è documentato nel IV sec. d.C. con C. Marius Victorinus grammatico e retore (cfr. Calonghi Dizionario latino italiano). E la forma intermixtione è adoperata anche nel latino moderno, "Recentior Latinitas", almeno a partire dal 1500, stando al Thesaurus formarum totius latinitatis a Plauto usque ad saeculum XXum a cura di P. Tombeur (1998). E grazie a Google è documentabile in vari testi latini a partire dal '700.

2.2.1. Latinismi analoghi
Casi analoghi al lat. inter-mixtione > it. fra-mmistione, in cui cioè l'inter lat. è tradotto con fra-,  ma reso anche con inter-, sono costituiti dalle seguenti due coppie di lessemi:


lat. inter-pōnĕre > 1)   it. fra-pporre sec. XIV, Livio volgar.

                           > 2)  it. inter-porre 1304-08, Dante.

                              
lat. intermĭttĕre > 1)  it. fra-mmettere 2ª metà XIII sec., Fatti di Cesare

                          > 2) it. inter-mettere 1354.


 2.3. Fra-mmistione: neoformazione prefissata?
Si potrebbe anche ipotizzare un'analisi di frammistione come neoformazione prefissata: "fra- + mistione", ma il prefisso fra- si combina con verbi e non con nomi (cfr. M. Grossmann - F. Rainer, a cura di, La formazione delle parole in italiano, Niemeyer, 2004, pp. 131-32).

 2.4. Conclusione
Alla fine, l'ipotesi di frammistione come neoformazione, prefissata o suffissata che sia, non sembra strutturalmente sostenibile, ed è quindi decisamente preferibile propendere per l'etimologia diacronica, dal lat. intermixtione(m).

* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania