sabato 27 luglio 2024

A proposito del plurale di malalingua


 Come abbiamo scritto mercoledì, 24 luglio, il plurale malelingue - come riportano i vocabolari -  a nostro modo di vedere è errato perché non rispetta la regola grammaticale riguardante la formazione del plurale dei nomi composti di un aggettivo e di un sostantivo. Falsariga pluralizza, infatti, in falsarighe rispettando la su menzionata regola. Il DOP (e lo Zingarelli), in proposito, riporta falserighe plurale di uso raro. Per quanto attiene al plurale di malalingua, i lessicografi (e, quindi, i vocabolari) potrebbero seguire l'esempio del DOP, attestando malalingue (che secondo chi scrive è il plurale corretto) e malelingue di uso raro. In questo modo potrebbero salvare, come usa dire, capra e cavoli. Potrebbero fare altrettanto per quanto riguarda il plurale di malafede: malafedi e malefedi di uso raro. Malafedi, plurale ritenuto errato dai lessicografi, è immortalato nel Prontuario di pronunzia e di ortografia di Giulio Bertoni e F. Alessandro Ugolini.



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)

venerdì 26 luglio 2024

L'elzeviro

 


V
i siete mai chiesto/ti, cortesi amici, perché l’articolo di fondo di un giornale, soprattutto quello della pagina letteraria, si chiama elzeviro? No? Ve lo “sveliamo”. Si chiama così perché un tempo questo articolo era composto con caratteri di stampa inventati dalla famiglia olandese Elzevier che, dal 1592 al 1680 ad Amsterdam e a Leida, pubblicò molte opere latine stampate con caratteri molto nitidi, eleganti e piacevoli all’occhio. Per estensione si chiama elzeviro una qualsivoglia pubblicazione stampata con particolare cura.


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La lingua “biforcuta” della stampa


Giovanni Fuochi, il post in divisa da SS dell’ex comandante dell’aeroporto militare di San Damiano (già candidato con FdI): “Sinistrorsi vi aspetto

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In lingua italiana corretta: divisa di. Si tratta di un normale complemento di specificazione. Si veda qui, al punto 2. a.

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LA SENTENZA

Maxi diga di Genova, appalto regolare. Il Consiglio di Stato annulla la sentenza del Tar che aveva bocciato l’affidamento a Webuild

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Correttamente: maxidiga.  Qui.


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mercoledì 24 luglio 2024

Le malalingue? Perché no?!


 Sì, ci attireremo le ire e gli strali di linguisti e lessicografi per quello che stiamo per scrivere in quanto è una chiara "provocazione linguistica". Intendiamo parlare di un plurale che, a nostro modo di vedere, è errato perché vìola le leggi della grammatica: malelingue. In questo caso tutti i lessicografi (e linguisti) e, quindi, tutti i vocabolari, non si accapigliano e, all'unisono, "sentenziano": il plurale del sostantivo malalingua è malelingue. Per chi scrive, invece, è un plurale "orrendamente errato" perché non rispetta la regola secondo la quale i nomi composti di un aggettivo (mala) e di un sostantivo (lingua) nella forma plurale mutano la desinenza del solo sostantivo. In ottemperanza alla suddetta regola il plurale corretto è, quindi, malalingue

PS: Il plurale di falsariga è falsArighe (come riportano tuti i vocabolari); perché, invece, malalingua pluralizza in malElingue? Non è lo stesso caso?



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lunedì 22 luglio 2024

Succube? No, succubo

 


Stupisce, e non poco, il constatare che il prestigioso e autorevole vocabolario Treccani in linea (ma anche lo Zingarelli e altri dizionari), attesti il sintagma “succube” al pari di “succubo”. Per il Treccani, insomma, il lemma “succube” è voce corretta. Ci spiace, ma dissentiamo totalmente: la sola forma corretta è “succubo”; “succube” è grafia tollerata che in buona lingua italiana è da evitare, se si vuole scrivere e parlare correttamente.

Treccani: sùccubo (o sùccube) agg. e s. m. (f. -a e, rispettivam., -e) [dal lat. succŭba s. m. e f., comp. di sub- e tema di cubare «giacere», quindi propr. «chi si sottomette ad altra persona in un rapporto venereo», riferito come femm. (in Ovidio) a donna adultera, e come masch. (nel lat. tardo, in Prudenzio) al giovinetto Giacinto, amato, per la sua bellezza, da Apollo; la forma sùccube è influenzata dal francese]. – 1. agg. e s. m. Che si lascia dominare da altri, che non ha la forza e la capacità di far valere, contro le imposizioni altrui, la propria volontà e personalità (contrapp. al più raro incube): una donna succuba del marito; in quell’ufficio sono tutti s. del direttore; non conta nulla in casa, è un succubo della moglie e della suocera. 2. s. m. Essere demoniaco in forma di donna che, secondo antiche superstizioni, aveva nella notte rapporti carnali con uomini (v. incubo, n. 1). 

Vediamo, in proposito, che cosa dicono il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, e (soprattutto) il “Si dice o non si dice?”.  


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La Lega contro il femminile negli atti pubblici: multa fino a 5mila euro per chi usa​ «sindaca», «rettrice» e «avvocata»​

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INCREDIBILE!


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Da Copilot (Intelligenza artificiale)

È corretta la grafia “vieppiù”?

Risposta dell’Ia:

Sì, è corretto“Vieppiù” è un avverbio letterario che significa “ancor più” o “sempre più” 1. Ad esempio, potresti dire: “Vidi Sansone vie più forte che saggio” (come scrisse Petrarca)

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L’avverbio in oggetto non richiede il raddoppiamento della consonante P. Correttamente: viepiù.


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La lingua “biforcuta” della stampa

Animali in corsia: al via la rassegna al Policlinico Umberto I per sensibilizzare i bimbi sul rapporto con le creature del pianeta

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In buona lingua: Pianeta (P maiuscola).



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domenica 14 luglio 2024

Una grande 'pioggiata'

 

Ci siamo posti una domanda alla quale non abbiamo trovato una risposta: perché si dice una nevicata, una grandinata, ma un acquazzone per quanto attiene alla pioggia? Abbiamo pensato – e ciò farà inorridire linguisti e lessicografi – a un termine atto alla bisogna: pioggiata. Il suffisso “-ata”, come riporta il nuovo De Mauro in rete, “aggiunto produttivamente a verbi, forma sostantivi femminili che indicano un’azione considerata nel suo insieme o come evento singolo: chiacchierata, entrata, mangiata, nevicata, nuotata, passeggiata, scivolata, traversata”. Se da nevicare abbiamo “nevicata”, da grandinare “grandinata”, perché da piovere non possiamo avere pioggiata? In questo caso, però, “pioggiata” si potrebbe definire un sintagma metaplastico in quanto si discosta nettamente dal verbo (piovere). Una piacevole sorpresa: navigando in rete ci siamo imbattuti nel termine proposto che – giuriamo non lo sapevamo – è immortalato in alcune pubblicazioni. A questo punto i linguisti e, soprattutto, i lessicografi ci facciano un pensierino... 

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Alcuni proverbi, forse, poco conosciuti: l'assai basta e il troppo guasta; troppa cera guasta la casa; in un vaso mal lavato, il buon vin presto è guastato; guastando, s'impara.

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La lingua “biforcuta” della stampa

Troll, bot e finte inserzioni bilingue: la truffa last minute per i biglietti dei Coldplay fa vittime sui social

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Secondo la norma grammaticale: inserzioni bilingui.


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IN CENTRO

Viola ordinanza anti-alcol e aggredisce vigilessa, arrestato 23enne a Roma

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Non ci arrendiamo: dai oggi, dai domani, gli appartenenti al cosiddetto quarto potere “capiranno” che il femminile di vigile è… vigile. Correttamente: aggredisce una vigile.


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La sicurezza di Trump e le polemiche: gli occhiali da sole e le accuse alle agenti donna

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Non lo sapevamo: ci sono GLI agenti uomini e LE agenti donne. È proprio vero, dalla stampa c’è sempre da imparare.


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LA SENTENZA

Terremoto dell’Aquila, niente risarcimento ai sette studenti morti: colpevoli di “condotta incauta”

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Solo gli operatori dell’informazione sanno come si possano risarcire le persone defunte.


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Milano, allagata via Fontana: 400 famiglie senza acqua e luce. MM: salvaguardata fornitura in ospedali e università

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Come si salvaguarda una fornitura? Salvaguardare significa “difendere”, “tutelare”, “custodire”. La titolazione corretta avrebbe dovuto recitare: “assicurata fornitura”. E che dire di “senza acqua e luce” invece di “senza acqua NÉ luce”, come prescrive la grammatica?




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venerdì 12 luglio 2024

L’uscio del trenta (essere)

 


Non vorremmo essere tacciati di presunzione se affermiamo che molti (tutti?) lettori, pur non conoscendo questo modo di dire, lo mettono in pratica ogni qual volta la loro casa si riempie di gente e, quindi, diventa un luogo molto frequentato con un impressionante viavai di persone. L’espressione è la contrazione del detto (sconosciuto?) “essere l’uscio del trenta, chi esce e chi entra”, dove, però, quel trenta non ha nulla che vedere: è motivato da ragioni di pura assonanza. E a proposito di uscio, avete mai sentito la locuzione “trovare l’uscio di legno”? Anche se non l’avete mai sentita l’avete messa in pratica, inconsciamente, quando recandovi a far visita a una persona non l’avete trovata: avete trovato solo la porta chiusa, cioè l’uscio di… legno.

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Dal sito "libreriamo.it" un "quiz" sulla lingua italiana. Cimentatevi.

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La lingua “biforcuta” della stampa

L'EQUIVOCO

Scambio di bare a Roma: salma di una 90enne in partenza per l’India, fatta scendere dall'aereo poco prima del decollo

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È un vero mistero: come fa una salma a scendere da un aereo?

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SCONTRO NEL GOVERNO

La Lega attacca Meloni sui sistema di difesa dati a Kiev. Crippa: “I missili sono armi difensive?”

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Sì, chiaramente è un refuso. I titolisti hanno riletto il titolo? Se sì, per loro è corretto.


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ROMA

Sabaudia, il lungomuro della discordia verrà demolito: “È un abuso edilizio”

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Alcuni (tutti?) “dispensatori di notizie” dovrebbero ripassare, per non dire studiare, oltre alla lingua di Dante, anche la geografia. Sabaudia è un comune marino in provincia di Latina. Siamo molto perplessi sulla correttezza della grafia univerbata (una sola parola) di “lungo muro”.




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lunedì 8 luglio 2024

Sgroi – 184 - IL FUTURO GRAMMATICALE DEL SICILIANO TRA LEONARDO SCIASCIA (1979, 1982, 1984), DENIS MACK SMITH (1970) E GUY DEUTSCHER (2010)




di Salvatore Claudio Sgroi 


1. Il futuro interdetto al siciliano?  

Nel libro-inchiesta La Sicilia come metafora. Intervista di Marcelle Padovani, L. Sciascia (1979) stabiliva una (invero assurda) correlazione tra la mancanza di ottimismo quale tratto della psicologia dei siciliani (in primo luogo) e (in secondo luogo) la (presunta) mancanza del futuro grammaticale nel dialetto siciliano: 

la paura del domani e l’insicurezza qui da noi sono tali, che si ignora la forma futura dei verbi. Non si dice mai: ‘Domani andrò in campagna’, ma dumani, vaju in campagna ‘domani vado in campagna’. Si parla del futuro solo al presente” (p. 45). 

Questa riflessione pseudo-scientifica è avanzata stabilendo una pseudo-circolarità psico-linguistica tra (in primo luogo) mancanza di ottimismo e (in secondo luogo) presunta mancanza del futuro grammaticale in siciliano: 

Così, quando mi si interroga sull’originario pessimismo dei siciliani mi vien voglia di rispondere: ‘Come volete non essere pessimista in un paese dove il verbo al futuro non esiste?’”(ibid.). 

 

1.1. Sciascia (1982, 19841, 1990) 

Tale concezione viene ribadita da Sciascia in Kermesse (1982 sub ’nguliari p. 46) e in Occhio di capra (1984 pp. 85-86):  

“‘ti ngulìu, ti farò addolcire la gola (qui e da osservare che nel dialetto siciliano i verbi, le azioni, non sono mai al futuro; fatto linguistico-esistenziale di grande rilevanza; uno di quei fatti che dice tutto” (ried. 1990 pp. 102-103; ried. in Opere a c. di P. Squillacioti, Adelphi 2013, vol. II, t. I, pp. 1999-2000, ma senz’alcun commento nelle “Note” pp. 1419-31). 

 

2. Denis Mack Smith (1970)  

Di credere in questo presunto “fatto linguistico-esistenziale di grande rilevanza”, Sciascia era però solo indiretto responsabile, in quanto non faceva che riprendere tacitamente tale suggestione dalla Storia della Sicilia medievale e moderna di Denis Mack Smith (Laterza 1970), non sapremmo dire da chi a sua volta ispirata: 

In un’economia in cui tutto era precario, un comune lavoratore della terra non poteva mai fare programmi per l’avvenire, neanche a breve scadenza. Forse la mancanza del futuro nel dialetto siciliano era espressione di questa difficoltà a pensare al domani” (p. 424).  

 

3. Guy Deutscher (2010) 

Leggendo ora il volume di Guy Deutscher La lingua colora il mondo. Come le parole deformano la realtà (2010), ritroviamo la stessa idea, senz’alcuna fonte bibliografica, pur essendo il testo corredato di una ricca bibliografia internazionale (pp. 301-27): 

Alcune lingue non hanno neppure il futuro grammaticale, sicché coloro che le parlano per forza di cose non hanno la cognizione del futuro” (tr. it. Bollati 2013 p. 7).


4. Il siciliano senza “futuro grammaticale”? 

Riguardo al problema del futuro, com’è noto, in italiano si può dire (i) io parto (ora) (pres.) vs (ii) io parto domani (pres. con avv. “indicante un futuro non lontano”, futuro lessicale) vs (iii) io partirò (futuro sintetico, tout court) vs (iv) devo partire (presente deontico). 

Nel sic. moderno si può dire invece (i) ju partu (pres.) ‘io parto’ vs (ii) ju partu dumani ‘parto domani’ (pres. + avv. futuro, futuro lessicale) vs (iii) ju aj’a partiri lett. ‘io ho a/da partire; devo partire’ ovvero un “futuro-deontico, di necessità, perifrastico, analitico”.  

Se dal confronto dell’it. col sic. ci si aspetta di trovare in sic. il “futuro sintetico”, si potrebbe dedurre che nel sic. manca “il futuro”. Ma la presenza del “futuro perifrastico” non può in realtà autorizzare a sostenere che in sic. manca il futuro. Invero, sia l’italiano che il sic. hanno un diverso futuro: sintetico quello dell’italiano, e analitico/perifrastico quello del siciliano. Nel siciliano il futuro quindi esiste ed è ben vitale. La correlazione di tale presunta mancanza morfologica col pessimismo dei siciliani è solo fantasmatica, indimostrabile da ogni punto di vista. 

 

5. Il futuro in latino e in italiano  

Com’è noto, nel lat. classico il futuro morfologico, per es. am/abo, può essere definito – in termini sincronici – di tipo «sintetico», esattamente come in it. am/erò. Nel lat. parlato dell’epoca imperiale, e nel VI e VII sec., esisteva anche la forma cantare habeo, venio ad cantare, habeo ad cantare «largamente usata nel parlato, anche se evitata nella scrittura». Che è un «tipo di futuro», perifrastico, analitico.  

Se sincronicamente l’it. amer-ò è un futuro sintetico, diacronicamente però si spiega a partire dalla forma perifrastica, analitica lat. «amare + habeo» > amer. 

 

6. Diacronia del futuro in siciliano 

La forma perifrastica latina «habeo ad cantare» > sic. aju a cantari è una «forma analitica» ed è «un tipo di futuro caratteristico del mezzogiorno». Semanticamente, precisa G. Rohlfs nella sua Grammatica storica, «si tratta d’una sorta di futuro in cui ancora si sottintende un poco l’idea di necessità». Geograficamente, continua Rohlfs, «i suoi centri di diffusione sono la Sicilia, la Puglia, la Lucania e l’Abruzzo»; «Al di fuori del Meridione, questo tipo di futuro si trova nel fiorentino popolare»; «inoltre in Corsica»; «Infine, questo tipo di futuro è affatto normale in Sardegna».  

Riservare l’etichetta di «futuro» solo al tipo sintetico lat. class. am/abo, it. am/erò e non al tipo analitico, perifrastico «aju a cantari» e affermare quindi (con Sciascia) che nel sic. manca il futuro grammaticale, non è sostenibile in termini di teoria grammaticale.  

L’equivoco dell’affermazione sciasciana nasce anche dall’es. che lui fa: «Non si dice mai: ‘Domani andrò in campagna’, ma dumani, vaju in campagna ‘domani vado in campagna’» (p. 26), quasi censurando i dati (dumani aj’a-gghiri n campagna) per una tesi aprioristica.  

Là dove le forme del futuro sintetico compaiono in testi siciliani antichi, si tratta invece d’influssi letterari. 

 

Sommario 

1. Il futuro interdetto al siciliano?  

1.1..Sciascia (1982, 19841, 1990) 

2. Denis Mack Smith (1970)  

3. Guy Deutscher (2010) 

4. Il siciliano senza “futuro grammaticale”? 

5. Il futuro in latino e in italiano  

6. Diacronia del futuro in siciliano 




 



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)