Il verbo "anellare" deriva dal sostantivo "anello",
il cui etimo risale al latino "anellus", diminutivo di
"anus", che significa "cerchio" o "forma
circolare". L'origine richiama quindi la forma caratteristica
dell'anello, simbolo di continuità e circolarità. Analogamente,
"inanellare" ha un’origine strettamente legata a
"anello", con il prefisso "in-" che conferisce al
verbo un'accezione di movimento o azione specifica, spesso
indirizzata verso l’idea di mettere qualcosa in una sequenza di
anelli.
Le sfumature di significato dei due verbi, pur
avendo una radice comune, si distinguono attraverso il loro uso in
contesti specifici. "Anellare" si riferisce, più
propriamente, al creare o disporre qualcosa in forma di anelli. Può
indicare, per esempio, un movimento che avvolge, oppure una
disposizione fisica, come nella frase: "Il fumo dell'incenso
anellava l'aria, formando spirali delicatissime." Qui, il verbo
"anellare" acquisisce un aspetto poetico, evocando
l’immagine di cerchi sovrapposti e in movimento.
"Inanellare",
invece, estende il suo uso anche a un campo figurativo. Non si limita
all’idea di disposizione in cerchi, ma si carica di una sfumatura
dinamica, come l’atto di collegare elementi in sequenza, creando
continuità. Questo verbo si presta bene nelle espressioni
metaforiche e simboliche, come: "Ha inanellato una serie di
successi nella sua carriera, dimostrando una dedizione impeccabile."
Qui "inanellare" suggerisce l’idea di un percorso
progressivo e continuo, in cui ogni successo è parte di una catena
ben definita.
Un'altra differenza emerge nei contesti più
tecnici: il verbo "anellare" viene utilizzato in ambito
botanico per descrivere la pratica dell'anellazione, una tecnica che
consiste nel rimuovere un anello di corteccia per favorire specifici
sviluppi nella crescita della pianta. "Inanellare", al
contrario, è meno legato a usi specialistici e mantiene una
versatilità espressiva nella comunicazione quotidiana.
Un
dettaglio curioso e affascinante sul linguaggio corrente: gli anelli
non vengono “indossati” (come si legge e si sente dire), ma
"calzati", proprio come si fa con un guanto o una scarpa.
Questo termine sottolinea la perfetta simmetria tra l'oggetto e il
corpo che lo accoglie, aggiungendo eleganza e precisione alla
descrizione.
Un esempio comparativo può aiutare a
cogliere meglio la sfumatura tra i due verbi. Immaginiamo una collana
fatta di perle: se si descrive l'azione di infilare ogni perla come
"inanellare", si pone l’accento sulla progressione e
sulla successione degli elementi. Se si parla di "anellare",
l’attenzione si sposta più sulla forma circolare del filo o sulla
disposizione delle perle.
In conclusione, sebbene
"anellare" e "inanellare" siano legati dall'etimo
e abbiano significati sovrapponibili in determinati contesti, le loro
sfumature offrono un ricco ventaglio di applicazioni che spaziano dal
tecnico al figurativo, dal poetico al quotidiano. La loro forza
espressiva risiede proprio nella possibilità di evocare immagini e
idee che oscillano tra il concreto e l’immaginario, arricchendo
l’italico idioma di una profondità unica.
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La lingua “biforcuta” della stampa
Le scarpe nere (e consunte) che ha sempre indossato: così Francesco ha voluto essere sepolto
Una scelta d'altronde coerente con il suo pontificato e come si è sempre presentato ai fedeli, sugellato dalla decisione di essere sepolto “nella terra nuda” nella Basilica di Santa Maria Maggiore.
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Le scarpe “si calzano”, non “s’indossano”. Indossare e calzare.
Correttamente: suggellato (doppia ‘g’).
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