mercoledì 30 novembre 2011

Terrificare...



Ancora un verbo che - a nostro modo di vedere - non andrebbe adoperato in buona lingua italiana, anche se attestato nei vocabolari: terrificare. Perché non andrebbe adoperato? Perché pur avendo nobili origini latine è mutuato dal francese "terrifier". Il nostro idioma ha "atterrire", che dice la medesima cosa. Lo stesso si dica per "terrifico" e "terrificante". Il buon italiano ha 'orrendo', terribile', 'spaventoso' e simili.

martedì 29 novembre 2011

«Castrimagia»





Forse pochissime persone si sono imbattute in questo vocabolo perché - come molti altri - è stato relegato nella soffitta della lingua e non attestato, per tanto, nei vocabolari. Ci piacerebbe che fosse "riesumato" perché indica la "voracità nel cibarsi". Questo termine è stato immortalato dal divino poeta nel XXIII canto del Purgatorio.



Si trova, inoltre, in numerose pubblicazioni:

http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22castrimagia%22&btnG=

lunedì 28 novembre 2011

«Sbancare il lunario»






Sul sito Cruscate un'interessante discussione sulla correttezza dell'espressione "Sbancare il lunario" e su altre amenità linguistiche.




Si clicchi su:

http://www.achyra.org/cruscate/viewtopic.php?t=2811


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«Salire in su' muricciuoli»

Ancora un modo di dire - forse sconosciuto - relegato nella soffitta della lingua. Chi sale, dunque, sui 'muricciuoli'? Colui che diventa improvvisamente povero perché, apprendiamo da Ludovico Passarini (il "principe" dei modi di dire), «i poveri accattoni sogliono riposarsi e dormire su' muricciuoli».


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Ih e hi

Sono entrambe interiezioni e si adoperano a seconda delle sfumature che lo scrivente vuole mettere in evidenza, come si può rilevare dal “Treccani” in rete:

ih 〈i〉 interiez. – Esprime stupore, raccapriccio, rammarico, avversione, tedio e sim.: ih, quanta roba!; ih, che indecenza!; ih, che schifo! Ripetuta, esprime ironia, disprezzo e sim.: tu stai male e io no, ih ih; riproduce anche una risata sardonica, un pianto stridulo, un ghigno e sim.: dalla bocca ... gli venne fuori con suono stridulo e imbrogliato il ritornello d’una canzonettaccia francese ... seguìto da un ghigno: ih ih ih ih (Pirandello).






hi 〈hi〉 interiez. – Può esprimere sentimenti vari: disprezzo ironico (soprattutto verso chi manifesti boria, vanità o pedanteria), ostentazione di noncuranza, meraviglia davanti a cose eccessive, a lunghe enumerazioni, e sim. È inoltre il segno grafico con cui può essere reso un particolare modo di ridere o di piangere, con suoni acuti e brevi.




sabato 26 novembre 2011

«Affegatare»


Ancora un verbo relegato nella soffitta della lingua e, quindi, ignorato dai vocabolari: affegatare. Ci piacerebbe, invece, che fosse rispolverato perché esprime bene la "figura" della persona afflitta, accorata. Affegatare significa, infatti, “accorarsi”, “affliggersi” e simili: Giovanni, ti prego, non ti affegatare per cosí poco.

http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22affegatare%22&btnG=

venerdì 25 novembre 2011

«Assaccomannare»


Forse poche persone, anche tra quelle cosí dette acculturate, conoscono il verbo “assaccomannare” perché la quasi totalità dei vocabolari non lo registrano. Ed è un vero peccato – a nostro modesto avviso – perché il predetto verbo rende bene l’idea del “mettere a sacco”, quindi saccheggiare.

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Dallo “Scioglilingua” del Corriere della Sera in rete:
Evoluzione dell'Italiano
Perché l'Italiano, che pur avendo internamente i suoi strumenti per forgiare nuovi termini, fa così resistenza ai termini nuovi, preferendo magari latinismi o locuzioni.
Se io dovessi ad esempio utilizzare la parola "dubitante", intesa come "colui che dubita" (sulla stessa scia di "passante", inteso come "colui che passa", o "presidente" inteso come colui "che presiede o presidia"), mi si fa notare che potrei semplicemente dire "persona dubbiosa".
Mentre - ad esempio - l'Inglese molto più facilmente accetta nuovi termini in -er, che grosso modo equivale agli italiani -tore/-trice e -ante/-ente.
Quindi perché l'Italiano ha più difficoltà ad auto-generarsi?
(Firma)
Risposta dell’esperta:
De Rienzo Giovedì, 24 Novembre 2011
Fossi in lei non mi chiederei perché e andrei oltre. DUBITANTE, comunque, è brutto, forse perché mai usato, come invece ABITANTE. Forse gli italiani, in questo caso, seguono semplicemente la via del bello. Ma è parere strettamente personale. Chissà il Forum...
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“Dubitante”, anche se ritenuto brutto, si può adoperare, correttamente, con l’accezione di “colui che dubita”. Questo aggettivo-sostantivo si trova attestato, infatti, nel GDU, nel Devoto-Oli, nel Palazzi e nello Zingarelli. Il vocabolo, inoltre, è “immortalato” in molte pubblicazioni. Si clicchi su:

http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22dubitante%22&btnG=

giovedì 24 novembre 2011

L' «anguimano»





Gentilissimo dott. Raso,
la ringrazio di cuore per la sua cortese e tempestiva risposta al mio quesito su “ogn’uno”. Approfitto della sua non comune squisitezza per porle un’altra domanda di cui, sono certo, saprà darmi un’esaustiva risposta, risposta che tutti i vocabolari consultati non sono stati “in grado” di darmi. Che cosa significa «anguimano»? Ho scovato questo termine in una vecchia rivista mentre mettevo un po’ d’ordine nella mia soffitta.
Grazie e un ossequio
Ludovico L.
Arezzo
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Cortese Ludovico, il termine di cui desidera conoscere il significato è stato relegato nella soffitta della lingua perché non piú in uso, per questo motivo i comuni dizionari non lo registrano. Nei secoli passati era chiamato “anguimano” l’elefante perché – come ci fa sapere Ottorino Pianigiani – la sua proboscide “sembra quasi una mano a forma di serpe”. Il vocabolo è composto con le voci latine “anguis” (serpe) e “manus” (mano). Si trova nel dizionario del Tommaseo- Bellini e in altri libri. Clicchi sul collegamento in calce.



http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22anguimano%22&btnG=

mercoledì 23 novembre 2011

«Ogn'uno»? Desueto, ma corretto


Cortese dott. Raso,
la seguo sempre, e con vivo interesse. Da lei ho appreso “cose linguistiche” che le comuni grammatiche non riportano. Le scrivo proprio per questo. Qualche giorno fa leggendo un libro sono sobbalzato sulla poltrona alla vista di “ogn’uno” (sic!). Lì per lì ho pensato a un errore di stampa, poi vista la “caratura” dell’autore mi è venuto il dubbio. Ho consultato grammatiche e vocabolari vari ma non ho trovato “ogn’uno”. Può dirmi, gentilmente, se la grafia con l’apostrofo è corretta?
Grazie e cordialità
Ludovico L.
Arezzo
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Gentile Ludovico, non cita l’autore del libro, vista, però – come lei scrive – la sua “caratura”, sono portato a credere che abbia voluto strabiliare il pubblico adoperando la grafia desueta, ma corretta. Fino a qualche secolo fa, infatti, la grafia cristallizzata era «ogn’uno», con tanto di apostrofo. Solo ai giorni nostri si è imposta la grafia univerbata: ognuno. Certo, oggi difficilmente qualcuno scriverebbe ognuno con l’apostrofo, ma non per questo si può condannare chi preferisce la forma apostrofata. La grafia desueta è attestata nel vocabolario degli Accademici della Crusca (e in altre pubblicazioni). Clicchi su:


http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22ogn%27uno%22+crusca&btnG=

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Dalla rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete:
carla scrive:
22 novembre 2011 alle 12:22
senti dire “ci sono tutta una serie di elementi…..”: è corretto? Perchè a me pare che sarebbe corretto dire “c’è tutta una serie di elementi…”
grazie

linguista scrive:
22 novembre 2011 alle 12:27
Grammaticalmente è scorretto, in quanto l’accordo dovrebbe andare al singolare. L’accordo a senso, cioè logico (una serie indica più elementi in successione, quindi il verbo viene coniugato al plurale), è accettabile solo in alcuni contesti informali (non nello scritto e nel parlato curato).
Alessandro Aresti
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L’accordo a senso, cioè la “sillessi”, è previsto dalla grammatica; come si fa, dunque, a sostenere che la frase proposta dal lettore “ci sono tutta una serie di… “ è grammaticalmente scorretta? E che l’accordo a senso è accettabile solo in contesti informali? “Ci sono tutta una serie” è comunissimo in uno scritto formale, come si può vedere cliccando su:

http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22ci+sono+una+serie+di%22&btnG=#pq=%22ci+sono+una+serie+di%22&hl=it&ds=bo&cp=15&gs_id=j&xhr=t&q=%22ci+sono+tutta+una+serie+di%22&pf=p&sclient=psy-ab&tbo=1&tbm=bks&source=hp&pbx=1&oq=%22ci+sono+tutta+una+serie+di%22&aq=f&aqi=&aql=&gs_sm=&gs_upl=&bav=on.2,or.r_gc.r_pw.,cf.osb&fp=1fe59a5de69e8881&biw=1024&bih=637

martedì 22 novembre 2011

I «purosangui»


Contrariamente a quanto riportano le comuni grammatiche e i comuni vocabolari, l’aggettivo e sostantivo “purosangue” non è tassativamente invariabile. Essendo un nome composto si può pluralizzare secondo la regola della formazione del plurale dei nomi composti. Tale norma stabilisce che i nomi composti di un aggettivo e un sostantivo formano di regola il plurale come se fossero nomi semplici (cambia, quindi, la desinenza del sostantivo): il biancospino, i biancospini; la vanagloria, le vanaglorie; il purosangue, i… purosangui. Coloro che preferiscono dire e scrivere “purosangui”, pertanto, non possono essere tacciati di crassa ignoranza linguistica. Basta collegarsi al sito in calce per vedere che non abbiamo scritto una “bestialità linguistica”.

http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22purosangui%22&btnG=

PS.: Dimenticavamo. Anche se di uso raro, esiste un altro plurale: purisangue.

lunedì 21 novembre 2011

«Scioglier Giordano»





Ancora un modo di dire relegato nella soffitta della lingua, quindi “sconosciuto” ai piú. Chi è Giordano? E chi lo scioglie, dunque? Giordano è un cane e lo scioglie (naturalmente in senso figurato) la persona che, in preda all’ira, vuole vendicarsi di un’offesa ricevuta. Ludovico Passarini cosí spiega la locuzione: «(Il modo di dire) può esser derivato da qualche fattarello o novella in cui si cantasse che un tale offeso, volendosi vendicare, avesse sciolto dalla catena il suo fido ‘Giordano’, nome di un noto fiume solito imporsi a’ cani, e avesselo attizzato alla vita dell’offensore (a)».

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Dal Prof. Marco Grosso, moderatore di "Cruscate", riceviamo e pubblichiamo:

Indulgere "in" o indulgere "a"?


Si tende oggi a adoperare il verbo indulgere costruito con la preposizione in, mentre da sempre, in italiano, s’è costruito con a. Si tratta di un evidente influsso dell’inglese to indulge in, che i dizionari recenti si sono affrettati a registrare e ratificare.
Se è necessario tenere nel debito conto le evoluzioni che ogni lingua subisce per forza di cose, è altrettanto doveroso rimanere critici nel valutarle. Vi sono evoluzioni sane, e direi arricchenti; e ve ne sono di superficiali e deleterie. Il compito del dizionario sarebbe appunto di orientare il consultatore, cosa che sempre meno fa, acriticamente registrando, a mo’ di fotografo, quel che circola all’intorno.

Ecco l’esemplificazione dell’uso corretto.

Allora a gli occhi del soldàn rifulse

L’elmo, onde gravi l’onorata fronte;

per cui quel mago a se medesmo indulse

e forse affaticò Sterope e Bronte... (Tasso, Gerusalemme conquistata)


...Per indùlgere al mio tedio,

nova sorte mi fecero gli iddii. (D’Annunzio, Alcyone)



Uno degli obblighi miei piú gravi è quello di non avvertire la stanchezza che m’opprime, il peso enorme di tutti i doveri che mi sono e mi hanno imposto, e di non indulgere minimamente al bisogno di un po’ di distrazione, che la mia mente affaticata di tanto in tanto reclama. (Pirandello, Candelora)



...il mio compagno Renato Brozzi – di Parma come Ildebrando – m’intaglia una Venere lunga, molto lunga dagli inguini ai malleoli, stralunga, per indulgere al mio vano amore delle ismisurevoli gambe, in un avorio d’insolita misura e d’insolita struttura donatomi da un amico di Calabria reduce dall’Africa monstrifera. (D’Annunzio, Pagine del Libro segreto)



Non aveva sul volto che l’augusta impronta della morte che tutto placa, che a tutto indulge: non la serenità, ma la pace. (Serao, Il paese di Cuccagna)



Imperterrita indulge al resupino,

al temerario – o Numi! – che l’esplora

tesse gli elogi di quel suo cugino... (Gozzano, Poesie sparse)



Nessun esempio di indulgere in nel Battaglia (dizionario storico in 22 volumi), né nell’archivio BIZ[a], che raccoglie oltre mille testi della letteratura italiana dalle origini al Novecento. Secondo ogni evidenza, questo costrutto recente è stato introdotto da qualche traduttore poco attento. Torniamo dunque a dire come s’è sempre detto: indulgere A qualcosa.

martedì 15 novembre 2011

«Il distributore del distributorio»



Alcuni linguisti - apprendiamo da Luciano Satta - consigliano la voce "distributorio" per indicare le ampie stazioni di servizio per il rifornimento di carburante. Cosicché "distributore" dovrebbe essere soltanto l'apparecchio che elargisce benzina, o l'addetto che lo fa funzionare. I malviventi dunque aggrediscono un "distributore" per avere i soldi del "distributorio". Distinzione - secondo Satta - ragionevole. E noi la facciamo nostra.

domenica 13 novembre 2011

«Battere la quartana»



Un altro modo di dire – a nostro avviso - poco conosciuto. Chi batte, dunque, la quartana? La persona che trema per il freddo, ma soprattutto per la paura, come fosse assalita dalla febbre quartana. La quartana, come si può apprendere dal “Treccani” in rete, è «Febbre accessionale che compare ogni quarto giorno, e quindi è intervallata da due giorni di apiressia; rappresenta una varietà clinica della malaria, ed è detta doppia, tripla quando si manifesti con due o rispettivamente tre accessi febbrili ogni quattro giorni, per la presenza nel sangue di varie generazioni parassitarie».

* * *

Dallo “Scioglilingua” del Corriere della Sera in rete:

Novembre sì, ma non è il nono
Novembre dovrebbe derivare da nove, ma in realtà è l'undicesimo mese dell'anno.
Lo stesso vale per Ottobre da otto e dicembre da dieci.
Perché i numeri non corrispondono?
Poi si potrebbe parlare anche degli altri mesi.
(Firma)
Risposta dell’esperta:
De Rienzo Sabato, 12 Novembre 2011
La parola agli esperti in calendaristica del Forum.
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La risposta è semplicissima. Nel calendario romano l’anno cominciava con il mese di marzo, quindi novembre (da “nove”, appunto) era il nono mese, ottobre l’ottavo e dicembre il decimo. Con la riforma voluta da papa Gregorio XIII (calendario gregoriano) nel 1582, l’anno solare non comincia piú dal mese di marzo ma da quello di gennaio; pertanto settembre, ottobre, novembre e dicembre pur conservando il nome non rispecchiano piú il “numero”.

sabato 12 novembre 2011

Giugno: si pluralizza?




Dallo “Scioglilingua” del Corriere della Sera in rete:
i mesi al plurale
in three hot Junes dice W> Shalkespeare, traducendo: esiste il plurale di giugno?
Grazie
(Firma)
Risposta dell'esperta:
De Rienzo Venerdì, 11 Novembre 2011
Es. "Tutti i mesi di giugno"... "Nei mesi di giugno fa caldo..."
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Nessuna norma vieta di pluralizzare i mesi dell’anno: tutti i 2 giugni si festeggia la nascita della repubblica italiana. Cosí come non vieta la formazione del plurale di sabato e domenica (i sabati e le domeniche). Restano invariati gli altri cinque giorni della settimana perché finiscono per “i”.

venerdì 11 novembre 2011

Parco e giardino: sono sinonimi?




Dalla rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete:

1. Arno scrive:

Salve! Sarei molto grato se mi spiegaste che differenza e` fra le espressioni VADO IN/NEL/AL GIARDINO (PARCO). C`e` una regola? Grazie.

2. linguista scrive:

Partendo dal fatto che ‘giardino’ non è sininimo di ‘parco’, come invece lo è ‘giardinetto’, come avevo scritto il 29/09/2011 non c’è una regola. La scelta della preposizione per i complementi di stato e di moto a luogo dipende dal verbo usato, dal sostantivo che segue la preposizione, e dalle intenzioni comunicative: in questo caso specifico, ad esempio, ‘vado al parco’ è l’espressione più corretta per indica un moto verso il noto spazio verde di città, che tutti conosciamo; ma se si volesse ‘andare in Liguria’ si userebbe in, come a per ‘andare a Foggia’, ecc.
Anna Colia
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Ci piacerebbe sapere perché la linguista di “Repubblica” sostiene che “parco” non è sinonimo di “giardino”. Basta sfogliare un qualsivoglia vocabolario della lingua italiana per vedere che parco e giardino – sia pure con qualche sfumatura semantica – sono l’uno sinonimo dell’altro. Quanto a “giardinetto” apprendiamo - sempre dalla linguista – che non è il diminutivo di giardino, bensí un suo sinonimo. Hanno ragione da vendere, quindi, coloro che sostengono la progressiva evoluzione della lingua, evoluzione che capovolge completamente la grammatica. Stando cosí le cose, domani scopriremo, ahinoi!, che eravamo in errore quando scrivevamo “innocuo” (con tanto di “c”) l’evoluzione ha fatto sí che la grafia corretta è “innoquo”.

Un’ultima considerazione. È intollerabile leggere – in una rubrica di lingua – scritti infarciti di refusi…

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«Avere la camicia che non tocca il culo»

Gli amici blogghisti ci perdoneranno se proponiamo questo modo di dire dal “sapore” un po’ volgare. Ma anche la volgarità fa parte della lingua. Chi porta (o ha), dunque, la camicia che non tocca il didietro? La persona superba, quella che assume un atteggiamento orgoglioso in seguito a un successo. L’espressione richiama l’immagine di colui (o colei) che comincia a camminare con aria impettita, facendo uscire, in questo modo, la camicia dalla cintura dei pantaloni (o della gonna).

giovedì 10 novembre 2011

«Giulività» e «giulianza»


Egregio Fausto Raso,
seguo sempre il suo meraviglioso blog dal quale apprendo sempre cose interessanti e, spesso, a me sconosciute sul buon uso della lingua italiana. È la prima volta che le scrivo. Spero mi risponderà. Vorrei sapere qual è il sostantivo corrispondente dell’aggettivo “giulivo”. Bontà è, appunto, il sostantivo di buono. Quello di giulivo? “Giulività”? Esiste questo sostantivo?
Grazie e cordiali saluti
Massimo T.
Avellino
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Sí, cortese Massimo, esiste il sostantivo giulività, anche se non attestato da tutti i vocabolari. Un tempo era in uso anche il sostantivo giulianza, oggi “snobbato” da tutti i compilatori dei vocabolari.
Entrambi i sostantivi si trovano in numerosi libri. Veda i collegamenti in calce.


http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22giulivit%C3%A0%22&btnG=

http://www.google.it/search?tbm=bks&tbo=1&hl=it&q=%22giulianza%22&btnG=

mercoledì 9 novembre 2011

Come è cambiata la lingua italiana?





Una lezione di Massimo Arcangeli.




Si può ascoltare e vedere il professore cliccando su www.treccani.it




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«Essere dolce di sale»



Ecco un altro modo di dire - che potremmo definire "ossimorico" - probabilmente sconosciuto ai piú. Si adopera in senso ironico o scherzoso per definire una persona sciocca, di scarsa intelligenza o estremamente ingenua o credulona. L'espressione è tratta dal mondo culinario dove con "dolce di sale" si intende una pietanza insipida.

martedì 8 novembre 2011

«Andare in giulebbe»





Ecco un modo di dire veramente poco conosciuto. Si adopera quando si vuole mettere in particolare evidenza il fatto che una persona è “preda” di una grande gioia o piacere, spesso esagerando fino a sdilinquirsi, dando l’impressione di sciogliersi. La locuzione fa riferimento a una bevanda. In proposito si vedano i collegamenti in calce.

http://www.dizionario.org/d/index.php?pageurl=giulebbe&searchfor=giulebbe&searching=true

http://www.etimo.it/?term=giulebbe&find=Cerca

lunedì 7 novembre 2011

Gestire, cioè «fare gesti»





Ancora una volta i redattori del vocabolario Gabrielli in rete contraddicono ciò che il loro Maestro ha scritto nel “Dizionario Linguistico Moderno”. In questo caso si tratta del verbo «gestire». Scrive Aldo Gabrielli, nel suo “Dizionario”: «(Gestire) in buona lingua ha un solo significato: “fare gesti”, ed è il latino ‘gestire’, che vale propriamente “manifestare con gesti eccitati piú del consueto un particolar sentimento (di allegria, di disperazione, ecc.)”; è verbo sempre intransitivo: “Quell’oratore gestisce troppo”; “È un attore che non sa gestire mentre recita”, e simili. È quindi errato l’uso transitivo di questo verbo nel significato di ‘amministrare’, ‘condurre’, ‘dirigere’ (un negozio, un’azienda, e simili) o ‘trattare’, ‘discutere’ (una causa); tale uso deriva da un’impropria costruzione del verbo sui sostantivi ‘gestione’ e ‘gestore’».




Nel vocabolario Gabrielli in rete si può leggere:

gestire2
[ge-stì-re]
(gestìsco, -sci, -sce, gestìscono; gestènte; gestìto)
v. tr.
1 Avere la gestione di qualcosa; amministrare, condurre, curare per conto terzi: g. un'impresa, un'azienda, un negozio

2 Svolgere un'attività lucrativa in proprio utilizzando beni di proprietà altrui, su concessione del proprietario: g. un teatro, una piscina

3 estens. Guidare, condurre, indirizzare qualcosa nel modo dovuto: g. una trattativa sindacale; g. la propria vita autonomamente
‖ Misurare, dosare nel modo giusto: uno sportivo deve saper g. le proprie forze

Personalmente seguiamo gli insegnamenti del Gabrielli non “ritoccato” dai redattori.




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Dalla rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete:

1. Christian scrive:
Qual è la corretta analisi del periodo della frase “L’obiettivo dell’associazione è quello di coinvolgere tutti gli Stati dell’arco alpino per fare in modo che le Alpi tornino ad essere il tetto più verde d’Europa”.
Grazie.

2. linguista scrive:
Propongo quest’analisi:
L’obiettivo dell’associazione è quello = proposizione principale
di coinvolgere tutti gli Stati dell’arco alpino = proposizione dichiarativa
per fare in modo = proposizione finale
che le Alpi tornino ad essere il tetto più verde l’Europa = proposizione consecutiva
Si tratta di un periodo complesso, per la presenza di verbi fraseologici e di valori semantici piuttosto sfumati. Le ultime due proposizioni, in particolare, formano un’unità sintattico-semantica di senso consecutivo-causale, in cui è difficile operare un taglio netto.
Francesco Bianco
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Come scrive giustamente il linguista è difficile, per quanto riguarda le ultime due proposizioni, operare un taglio netto e proprio per questo motivo – a nostro modo di vedere – l’ultima proposizione ci sembra piú una finale che una consecutiva.

sabato 5 novembre 2011

«Eternizzare»? No, eternare

Il verbo “eternizzare”, che sconsigliamo, anzi condanniamo recisamente, è registrato solo – se non cadiamo in errore – nel GDU del De Mauro. Gli altri vocabolari riportano la sola forma corretta “eternare” (rendere eterno, immortalare). Perché condanniamo “eternizzare”? Perché è voce scorretta modellata sul francese “éterniser”. In buona lingua italiana si dice, per l’appunto, “eternare”, come possiamo apprendere dal divino Poeta: «M’insegnavate come l’uom s’etterna» (Inferno, XV). Adoperato nella forma riflessiva (eternarsi) sta per “procurarsi una fama perenne”.
Una rapida ricerca con Googlelibri ha dato 2.110 occorrenze per “eternizzare” (che, ripetiamo, è voce errata) e 56.200 per “eternare”.

giovedì 3 novembre 2011

«Malmeggiare»





Ci piace portare all’attenzione degli amici blogghisti, che seguono le nostre modeste noterelle, un verbo “sconosciuto” perché non attestato nei maggiori vocabolari in uso: malmeggiare. Sí, ‘malmeggiare’ , che significa ‘maltrattare’, ‘malmenare’ e simili: quel losco individuo non fa altro che malmeggiare la moglie. Secondo il GDU del De Mauro il verbo suddetto è un incrocio di ‘malmenare’ con ‘palpeggiare’ ed è “nato” nel XIV secolo. Secondo Ottorino Pianigiani, invece, è composto di “ mal” e “maneggiare”, maneggiare male, quindi maltrattare, malmenare.


Dimenticavamo. Il verbo si trova nella "Lessicografia della Crusca":

http://www.lessicografia.it/MALMEGGIARE

mercoledì 2 novembre 2011

«Rispetto a...»






Il rispetto, sostantivo maschile, è un “sentimento di riguardo, di stima e di deferenza nei riguardi di una persona”. Questa premessa perché alcuni, “spalleggiati” dai vocabolari, fanno seguire questo sostantivo dalla preposizione “a” formando una locuzione come termine di contrapposizione. Bene. Anzi, male. A nostro avviso è un errore che in buona lingua italiana è da evitare. Non diremo, per esempio, i sindacati “rispetto agli” industriali rivendicano piú investimenti ma, correttamente, “nei confronti dei/degli”. La stessa locuzione – sempre a nostro avviso – è tremendamente errata se si adopera come termine di paragone: una città, per esempio, è piú o meno bella “di” un’altra, non “rispetto a” un’altra.


"Rispetto a", insomma, a nostro modo di vedere, non rispecchia l'etimologia del sostantivo:


http://www.etimo.it/?term=rispetto&find=Cerca

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Venerdì scorso abbiamo inviato un messaggio di posta elettronica alla redazione del “Treccani” in rete perché emendasse un orrore che campeggiava sulla prima pagina del sito. Finora l’orrore è rimasto. Ecco il messaggio inviato:
Gentile Redazione,
segnaliamo un "orrore" sulla "homepage" del sito da emendare al più presto:

«Quando l’allievo supera il maestro solo la critica riesce a sminuire le opere di un’artista celeberrimo. E’ il caso di Filippino Lippi, figlio di Filippo Lippi, ...».
Non crediamo sia necessario specificare quale "orrore".
Cordialmente
Fausto Raso

martedì 1 novembre 2011

Gli "elettrauti"? Nessuna norma vieta questo plurale






La totalità dei vocabolari consultati non ammette (o, se preferite, non ammettono) il plurale del sostantivo “elettrauto”: l’elettrauto, gli elettrauto. Anche se di uso raro, invece, esiste il plurale regolare “elettrauti” e coloro che lo adoperano non possono essere tacciati di ignoranza linguistica essendo una scelta… stilistica. In proposito si veda il Dop, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia:

http://www.dizionario.rai.it/poplemma.aspx?lid=58997&r=113121