mercoledì 24 agosto 2022

Sgroi - 135 - LORENZO RENZI, filologo, linguista, storico, critico letterario, ecc., autore delle "Lettere della Grande Guerra"

 


di Salvatore Claudio Sgroi

 

 

1. L'evento editoriale

Decisamente un unicum il volume di Lorenzo Renzi, Lettere della Grande Guerra, sottotitolo Messaggi, diari e memorie dall'Italia e dal mondo, con la collaborazione di Enrico Benella, Dan Octavian Cepraga, Silvia Rossi (Il Saggiatore nov. 2021, pp. 424), dedicato "alla memoria di Tullio De Mauro che ha insegnato a molti di noi la dimensione sociale del linguaggio", con apparato iconografico (in collab. con E. Benella) di foto di soldati al fronte italiani, tedeschi, romeni, francesi, austroungarici, canadesi, indiani, britannici, colti nel momento in cui leggono o scrivono lettere dei/per i loro cari. Di cui quella più struggente è la foto di un baffuto francese (poilu) che legge nascosto nel cavo di un albero.

 

2. Lettere della Grande Guerra di soldati del mondo a confronto

L'originalità del volume, che ha richiesto all'A. circa cinque anni (p. 32), è costituita dall'analisi comparativa delle lettere di soldati italiani (parte I, pp. 79-156) con lettere di soldati francesi (parte II, pp. 159-82), tedeschi (pp. 183-222), inglesi (pp. 223-50), austriaci e russi (pp. 251-72), romeni (pp. 273-88), romeni di Transilvania e del Regno (pp. 289-308), dei sepoy indiani (pp. 309-36), fondata sulla analisi critica di una ricchissima bibliografia internazionale. Dinanzi alla complessità della comparazione storica, filologica e linguistica, legata anche alla varietà di lingue in esame, Renzi non esita a confessare i suoi limiti: "possiamo anche tentare di dire qualcosa sulla lingua  di alcune lettere, anche se non possediamo in realtà le competenze da germanista che sarebbero necessarie " (p. 200), o quando dichiara di ignorare la scrittura gotica del tedesco.

 

2.1. Lettere dei soldati italiani

L'analisi delle lettere dei soldati italiani -- cinque miliardi le lettere scambiate nella I Guerra mondiale (p. 9) -- prende le mosse dagli studi del filologo e linguista austriaco Leo Spitzer (Lingua italiana del dialogo ([1914] 1922 tr. it. 2007) e dedicati specificatamente al tema (Perifrasi del concetto di fame (1918 tr. it. 2019), Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918 (1921 tr. it. 19761, 20162)), Piccolo Puxi (1927 tr. it. 2015), ecc., peraltro promossi fin dal 1976 dallo stesso Renzi per il medesimo editore. L'analisi è condotta sia sul piano ideologico dei protagonisti che su quello filologico e linguistico. Trattandosi di lettere di soldati, scarsamente alfabetizzati, a cui il trentenne Spitzer aveva avuto modo di accedere nel suo ruolo di censore della corrispondenza dei prigionieri, domina l'"italiano popolare", con sfondo variamente dialettale, a livello orto-fonografico, morfologico, morfosintattico, lessicale, testuale.

Renzi esamina peraltro le raccolte pre- e post-spitzeriane, ampliando l'analisi ai diari e alle memorie di soldati, con lettere anche fotocopiate, e in trascrizione sia "diplomatica" che "interpretativa" (integrata cioè soprattutto della punteggiatura) per facilitare la comprensione al lettore comune.

Delle 38 lettere in italiano esaminate da Renzi (pp. 38-, 67-155), riprendiamo parzialmente in trascrizione diplomatica "contrastiva" con integrazioni canoniche una lettera salentina del 1916 (p. 72), marcata a livello sintattico (possessivi prenominali), punteggiatura carente, minuscole pro maiuscole, lessicale (dialettalismi), morfologico, fono-ortografico, stile telegrafico:

 

Mia moglie [= Moglie mia]<,>

ti dico che sto bene<,> sono vivo

e vedo morire e morire e ogne [=ogni]

giorno. [S]pero <che> voi <stiate> bene tutti.

[S]ono contiento [= contento] ca [=che] [S]ibistiano [= Sebastiano] cresce

spierto [= bene, accorto] e voglio ca [= che] Dio mi possa <far>

vedere [C]arminuccia ca e [= che è] nata

e la penso e no la [= no lla, per assimilazione di "non la"] conosco.

[...]

 

Renzi ha cura di sottolineare le differenze tra le lettere dei soldati e quelle degli ufficiali, normativamente più canoniche. Si sofferma in particolare sulle vicende di Caporetto (pp. 109-36) con le polemiche infuocate sulla responsabilità della sconfitta, giudicata anche da un militare tedesco (pp. 131-36) e da E. Hemingway (Addio alle armi 1929 tr. t. 1947), e sul tema dei disertori, oppositori, pacifisti, sui casi di fraternizzazione (pp. 137-56).

 

2.2. Lettere dei soldati francesi

Le lettere dei soldati francesi -- 10 miliardi quelle scambiate nella I Guerra mondiale (p. 9) -- sono in "français populaire", cfr. per es. je suis  été [= j'ai été] vacciné (p. 168). Ma il tallone d'Achille resta l'ortografia e l'omofonia, ess. tu verra<s> que sa [= ça] ira bien (p. 168), ils sont [= ont] toujour<s> été bien reçut [= reçus] avec grand<e> perte (p. 165), Cet [= c'est] avec grand plaisir que je vien<s> de recevoir ta bonne lettre qui ma [= m'a] fait plaisir de te savoir en bonne santé (p. 168).

E questo anche se i soldati sono in genere più colti di quelli italiani in virtù della legge Ferry 1882 che aveva reso obbligatoria l'istruzione fino a 13 anni (p. 159). L'analfabetismo tra le reclute francesi nel periodo 1900-1915 era infatti circa il 5%, laddove in Italia oscillava tra il 40-20% (p. 342).

Le raccolte epistolari francesi precedono quelle italiane. Spitzer ricorda le Lettres de soldat di Charles Bonnier 1891 (p. 160) studiate da Prein 1921, seguite dalla imponente raccolta di J. Norton Cru 1929. Renzi ne commenta 7 (pp. 163-82), tra cui le lettere dei tre fratelli Demolière (pp. 163-70) disponibili in rete dal 2015.

 

2.3. Lettere dei soldati tedeschi

Il corpus delle lettere dei soldati tedeschi, alfabetizzati al 99% (p. 199), è tra i più imponenti, calcolato in 28,7 miliardi di pezzi (pp. 9, 183, 199). Particolarmente significative le raccolte di B. Ulrich 1971, nonché Le lettere di studenti caduti di P. Witkop del 1915 (pp. 185-98), scelte da un corpus di 20.000 testi (p. 192), di "giovani di origine cittadina e borghese" (p. 199), che sono tuttavia lungi dal rappresentare -- sottolinea Renzi -- il sentimento predominante del soldato tedesco in guerra, e sono prive di tracce dialettali, presenti invece in quelle italiane.

Delle 16 lettere in tedesco e in traduzione analizzate da Renzi (pp. 192-22), non prive di errori e di tratti popolari (p. 201), non può non colpire quella in cui si denuncia il comportamento verso un compagno ferito, morto per l'incuria del medico militare (pp. 220-22), che ha agito con "irresponsabile trascuratezza". L'autore della lettera chiede quindi al padre: "Metti bene da parte questa lettera" (p. 221) perché "Potremo servircene dopo la guerra, appena si potrà dire di nuovo la propria opinione liberamente e pubblicamente" (ibid.).

 

2.4. Lettere dei soldati inglesi

Il cap. è stato scritto con S. Rossi. Le prime lettere di guerra dei soldati inglesi risalgono alla guerra in Crimea (1853-1856) e sono state edite da O. Figes 2010 (p. 229). Si calcola ben oltre 2miliardi le lettere scambiate tra i soldati (p. 227-28) nel corso della I guerra mondiale. Rilevanti le raccolte di P. Fuessell del 1975 di ufficiali colti (p. 225), alta borghesia del paese (p. 226), e di E.J. Ledd del 1979. Renzi e Rossi ne commentano 5 (pp. 229-49), rilevando i non pochi tratti popolari, ess. (p. 230) whear 'where', we comance 'commence', abought 'about', we hall 'all'.

 

 

2.5. Lettere dei soldati austriaci e russi

Renzi analizza 7 testi di un "diario di guerra" (p. 252), "dal contenuto spesso drammatico, ma dall'andamento romanzesco" di G. Silberer del 1917, insomma un "romanzo autobiografico" (p. 251), con lettere 'inventate' dall'autore.

E poi delle Lettere dalla prigionia di Sil-Vara del 1917 (pp. 260-72) di austriaci e di russi tradotte in tedesco, in un tedesco normalizzato e "corretto" (p. 261) con commento di 6 testi

 

 

2.6. Lettere dei soldati romeni

Il corpus delle lettere dei soldati romeni documentano una straordinaria novità. Accanto alle lettere in prosa, normativamente corrette, Renzi ne esamina 6 (pp. 274-83), sono presenti infatti lettere in versi (p. 273) nello stile della tradizione orale (8 testi alle pp. 283-88 e 294-308). Del cap. sulle "Lettere in versi di soldati romeni di Transilvania e del Regno" (pp. 289-308) autore è Dan Octavian Cepraga.

Rilevante la lettera del 1916 di un padre che ricorda al figlio "il dovere di lottare quanto più puoi" (p. 277), fino al sacrificio ultimo: "Non curarti della vita, che non appartiene che al re e al tuo paese" (ibid.), "perché morire per la patria significa morire da eroe" (ibid.), "il mio cuore di padre ti benedirà (ibid.)".

 

2.7. Lettere dei sepoy indiani

Dei sepoy ovvero "in India, in epoca coloniale, indigeno arruolato nell'esercito inglese", è riportata la lettera (p. 328) di un soldato sikh, tradotta dall'urdu in inglese, ideologicamente del tutto opposta a quella su ricordata del padre rumeno:

 

"Mamma, che tu sia maledetta,

perché non mi hai fatto ragazza

per filare con te al focolare".

 

Da parte sua un altro soldato scrive in urdu (p. 323) al fratello anche lui soldato:

 

"Ho sentito che sei venuto in guerra. Sono molto arrabbiato con te.

Era già troppo che ci sono io, e è peccato che ci devi venire anche tu. [...]

Datti da fare in modo da risparmiare la tua vita, e non fare sciocchezze.

Fai esattamente come ho fatto io. Ho salvato la pelle e sono anche diventato

un eroe. [...] Fai tutto quello che puoi e non comportarti da idiota. [...]

 

Renzi chiude il cap. riportando brani delle Memorie del bengalese Sisir Sarbadhikari (pp. 331-33) del 1915-18 edite 40 anni dopo dall'autore nel 1957.

 

 

Sommario

1. L'evento editoriale

2. Lettere della Grande Guerra di soldati del mondo a confronto

2.1. Lettere dei soldati italiani

2.2. Lettere dei soldati francesi

2.3. Lettere dei soldati tedeschi

2.4. Lettere dei soldati inglesi

2.5. Lettere dei soldati austriaci e russi

2.6. Lettere dei soldati romeni

2.7. Lettere dei sepoy indiani




 

martedì 23 agosto 2022

Quando la stampa...


A
bbiamo inviato queste segnalazioni ai responsabili di un quotidiano in Rete, con tanto di documentazione. Siamo stati ignorati.

Aperitivo 'salato' a Fregene, la titolare del Singita: "In 21 tra signore della Roma bene e amici, 35 euro a testa per un privée sul mare"

--------------

Correttamente: privé.

Treccani:
privé agg., fr. (propr. «privato, riservato»), usato in ital. come agg. e s. m. – 1. Privato, soprattutto nell’espressione club p., locale ad accesso riservato (destinato spec. agli incontri di carattere sessuale). 2. Come s. m., sala o ambiente riservato all’interno di un locale notturno, un casinò e sim.: prenotare un p.; ritirarsi nel privé.

……………………..

De Mauro: privé

/pri've*/ 

pri|vé s.m.inv. 1989; fr. privé /pʀi've/ propr. "1privato"

……………………..

Gabrielli: privé

s.m. inv.

Sala riservata

……………………..

Garzanti: privé

[pri-vé] n.m. invar.

sala riservata in un locale pubblico (p.e. discoteca, night ecc.): è possibile prenotare il privé per un’atmosfera più raccolta

Etimologia: ← voce fr.; propr. ‘privato’.

-------------------------------------

Banda di ladri messa in fuga dal lancio di posaceneri e sedie dal balcone

----------------------

Correttamente: posacenere  (invariato).

Treccani:

posacénere s. m. [comp. di posare e cenere], invar. – Lo stesso che portacenere: mi si dice che in qualche ministero la virtù ha trionfato al cento per cento: centinaia di p. rimangono fino all’ora di chiusura brillanti e immacolati come li ha lasciati il personale delle pulizie (Gianni Rodari).

***

Ancora una contraddizione tra il vocabolario Gabrielli (in Rete, e "ritoccato") e il "Si dice o non si dice?", sempre del Gabrielli (in Rete), circa il femminile di soldato:

Vocabolario. Si dice o non si dice?


lunedì 22 agosto 2022

Perché "strascichi" e non "strascici"?


C
ortese dott. Raso, le sarei veramente grato se potesse spiegarmi il motivo per cui il plurale del sostantivo strascico è "strascichi" e non "strascici", come dovrebbe essere secondo le norme grammaticali. I sostantivi sdruccioli, quelli che hanno l'accento tonico sulla terzultima sillaba, ed è il caso di strascico, nel plurale non mutano la finale "-co" in "-ci"? Seguo sempre il suo meraviglioso e istruttivo blog. La ringrazio in anticipo, se avrà la cortesia di prendere in considerazione la mia richiesta, e le porgo i miei più cordiali saluti.

Sebastiano T.

Ragusa

---------------------

Gentile amico, l'argomento è stato trattato qui. Il plurale 'errato', strascici, si trova, comunque, in numerose pubblicazioni.

 

***

La lingua "biforcuta" della stampa

Barletta, incendio vicino l'ex mattatoio: nube di fumo si vede a chilometri di distanza

-------------------

Non ci stancheremo mai di ripetere che vicino si costruisce con la preposizione "a": vicino all'ex mattatoio.

*

A Pianfei l’addio all’avvocato Cinzia Galvagno morta durante una vacanza in Portogallo

------------------

A questo punto è preferibile l'orribile (ed errata) avvocatessa a una concordanza spallata (sic!): avvocato morta.


(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)


domenica 21 agosto 2022

Qualcosa: maschile o femminile?

 


Alcuni vocabolari classificano ‘qualcosa’ di genere femminile, altri di genere maschile, altri ancora di ambi (sic!) i generi. Vediamo un po’ di fare chiarezza. Intanto è un pronome indefinito ed è la forma contratta di ‘qual(che) cosa’ e per il suo valore indeterminato è considerato di genere neutro, quindi maschile: qualcosa è stato fattoqualcosa non è andato per il verso giusto. In grafia univerbata, come forma contratta di qualche cosa, è preferibile, dunque, consideralo sempre di genere maschile. Sarà tassativamente femminile, invece, in grafia analitica (scissa) (cosa, infatti, è di genere femminile): qualche cosa è stata fattaqualche cosa non è andata per il verso giusto. In una parola sola (univerbata) gli alterati, che sono di genere femminile: qualcosinaqualcosettaqualcoserellaqualcosellinaqual-cosuccia.

***

Il vocabolario Sabatini Coletti (in Rete) attesta il sostantivo femminile "fame" tra quelli difettivi. Specifica, infatti, che si usa solo nella forma singolare. La cosa ci meraviglia, e non poco, perché si tratta di un dizionario la cui autorevolezza è indiscussa. Gli altri vocabolari consultati (cartacei e in Rete) non sono dello stesso avviso: alcuni riportano chiaramente il plurale, altri non specificano lasciando intendere, quindi, che il sostantivo in oggetto si pluralizza normalmente: la fame/le fami.  Il plurale, inoltre, si trova nel Vocabolario degli Accademici della Crusca: «(...) Fame prendesi spesso per Il patimento prodotto dal bisogno non sodisfatto del nutrimento, il qual patimento, se prolungato, cagiona la morte; e dicesi così d'uomo, come di città, popolo o nazione, esercito, e simili; e pure in tal senso usasi poeticam. anche nel plurale (...)». Interessanti, infine, le varie locuzioni (Tommaseo).


***

La lingua "biforcuta" della stampa

TY

Dopo le vacanze serve la crema ultra idratante: quale usare per ogni tipo di pelle

-------------------

Correttamente: ultraidratante.  Qui.


 

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)

sabato 20 agosto 2022

Con quante mani si scrive?


 Molto spesso, anzi sempre, i  recensori dei libri o di altre pubblicazioni quando... recensiscono un'opera scritta da due autori usano l'espressione "a quattro mani". La locuzione suddetta, oltre che errata, è ridicola. Una persona scrive con una mano, non con due, quindi, correttamente (e secondo logica), bisogna dire "è un'opera scritta a due mani", cioè da due persone.  "A quattro mani" si adopera esclusivamente per designare due persone che suonano sul medesimo pianoforte; queste, infatti, adoperano ambe (sic!) le mani, quindi la melodia viene "prodotta" da quattro mani. Recentemente abbiamo letto una recensione del nostro libro " S.O. S. scrittura" (redatto assieme a Carlo Picozza e Santo Strati) in cui il recensore parlava di un libro scritto "a sei mani"...

"A due mani", "a quattro mani".










 


(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)

venerdì 19 agosto 2022

Avere delle remore


Q
uesto modo di dire - usato anche nelle varianti “farsi delle remore”, “vincere le remore”, “superare le remore”, “essere una remora” - significa, come si sa, “essere d’impaccio”, “costituire un ostacolo”, “essere di freno”, sia in senso fisico sia in senso morale. Quante volte diciamo, inconsciamente, “non avere remore, agisci come credi”, vale a dire non indugiare, non mettere un freno alle tue azioni? Qual è l’origine dell’espressione, dunque? È un po’ controversa, per la verità. Alcuni danno al termine remora, trasportato pari pari dal latino all’italiano, il medesimo significato che aveva nella lingua originaria: ritardo, indugio, dilazione. E in questo caso si adopera, infatti, in espressioni del tipo “concedere una remora al pagamento”, “concedere una remora all’applicazione di un accordo”. Altri, invece, fanno derivare la locuzione dal nome di un pesce, della famiglia dei Teleostei, lungo circa 40 cm, il cui dorso presenta una specie di ventosa che gli permette di attaccarsi agli altri pesci o alle imbarcazioni “frenandone” la corsa. Quest’ultimo punto, però, è solo un’antica credenza ricordata anche dal Manzoni nel suo capolavoro. Colui che ha delle remore, dunque, in senso traslato ha un “pesce” che lo induce a rallentare un movimento o a porre un freno alle sue idee.

***

La lingua "biforcuta" della stampa

LA STORIA

Quell’abbraccio del bambino al cane randagio e le carezze all’altro quattrozampe di strada

------------------

Correttamente: quattro zampe.

*

IL CASO

Maresciallo capo dei carabinieri in servizio a Padova trovata morta in un alloggio a Cuneo, aveva 37 anni

-------------------

Marescialla capa. Sí, avete letto bene. Proprio cosí. Maresciallo e capo formano il femminile regolarmente, come tutti i sostantivi maschili in "-o".

Sapere.it (De Agostini): Il femminile regolare di capo, nel significato di persona che esercita un comando o dirige un’impresa, è capa, e così si può chiamare una donna che svolge tale funzione; tuttavia, poiché questa forma ha spesso un uso scherzoso, molti preferiscono chiamare anche una donna capo, al maschile. Si tratta di una scelta, però, che può creare nel discorso qualche problema per le concordanze. Ed è il caso in questione: maresciallo capo... trovata morta.

*

L'allarme di Legambiente:

«In Italia è fuorilegge il 32% di acque di mare e laghi»

-------------------

Molto, molto meglio, anzi la sola forma corretta: fuori legge [fuori (della) legge]. I mari e i laghi non sono fuorilegge, cioè banditi.


 

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)


 

mercoledì 17 agosto 2022

Gli urli e le urla; gli orecchi e le orecchie


 U
rlo essendo un nome "eteroclito-eterogeneo" ha due plurali: urli e urla. Il femminile plurale, però, contrariamente a quanto riportano alcuni vocabolari, si usa solo per "le urla" dell'uomo in senso collettivo. Insomma: gli urli di Maria ma le urla di Giovanni, di Maria e di Pietro. È errato, per tanto, dire o scrivere "le urla della vittima risonavano in lontananza"; in questo caso, anche se si tratta di una persona, bisogna dire "gli urli" perché non c'è la "collettività". Anche per quanto riguarda il plurale di "grido" il discorso è lo stesso. I soliti vocabolari riportano: le grida per indicare quelle degli uomini; degli animali sempre gridi. Non è proprio cosí, come abbiamo visto.

E veniamo al plurale di orecchio. Questo sostantivo, al contrario di urlo e grido, ha anche due singolari: orecchio e orecchia. Il maschile si adopera in senso proprio, vale a dire come "organo dell'udito"; il femminile in senso figurato: l'orecchia della pagina. Nella forma plurale avremo, quindi, gli orecchi e le orecchie con la medesima distinzione che abbiamo fatto per il singolare.

Non sono forme ortodosse, quindi, anche se di uso comune, le espressioni "tirare le orecchie"; "sentirsi fischiare le orecchie"; "fare orecchie da mercante" e via dicendo. Non si tratta, come molti sostengono, di un uso figurato del sostantivo orecchio. Si deve dire, correttamente, "orecchi". A questo punto qualche pseudolinguista - ne siamo certi - vorrebbe tirarci... gli orecchi. Ma tant'è. 



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)

lunedì 15 agosto 2022

Buon Ferragosto

 Alle amiche e agli amici di questo portale un sereno Ferragosto 2022




(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)

domenica 14 agosto 2022

Orditora o orditrice?


T
utti i vocabolari consultati (cartacei e in Rete) attestano orditora, femminile di orditore, come voce popolare. Il solo femminile "corretto" è/sarebbe orditrice, come la quasi totalità dei sostantivi femminili derivati da maschili in "-tore": pittore/pittrice; attore/attrice; scultore/scultrice. La cosa ci stupisce, e non poco, perché la forma ritenuta popolare (orditora) è attestata (senza la scrizione "pop.") nel Vocabolario degli Accademici della Crusca (si trova anche nel TLIO, Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, e nel Tommaseo-Bellini). Possibile che questi "sacri testi" divulghino voci ritenute popolari? Per quanto ci riguarda privilegeremo il lemma... popolare.

***

Due parole, due, sull'avverbio "invece", che si può scrivere in grafia analitica  (in vece) e in grafia univerbata (invece), naturalmente non a caso. In  grafia scissa quando l'avverbio in questione assume il significato di "in luogo di", "al posto di": alla cerimonia era presente l'assessore alla cultura in vece (al posto) del sindaco. In grafia univerbata se l'avverbio ha il significato di "al contrario", "all'opposto" e simili: sembrava un galantuomo, invece si è rivelato un mascalzone. Nell'uso corrente è spesso rafforzato dalle congiunzioni "ma" o "mentre": ha detto di essere uscito, mentre invece è rimasto tutto il giorno chiuso in casa. È un uso prettamente familiare che - in buona lingua italiana - è meglio evitare.

***

La lingua "biforcuta" della stampa

Incidenti sul lavoro, morti due operai a Caltagirone e nel vicentino

------------------

Correttamente: Vicentino (con l'iniziale maiuscola, trattandosi di un'area geografica).

*

LAVORO E FAMIGLIA

Congedi parentali, le novità da oggi: più giorni per i neo papà e fino ai 12 anni dei figli

------------------

I prefissi e i prefissoidi (ed è il caso di "neo-") si scrivono uniti alla parola che segue: neopapà.

*

TURISMO

Ferragosto sold out come nel pre Covid: aumenta la tassa di soggiorno

-------------------

Chi non "mastica" l'inglese come fa a capire che "sold out" significa "tutto venduto", "tutto esaurito"? Se avessero adoperato termini italiani il quotidiano avrebbe perso di... autorevolezza? Avrebbe detto il grande Totò: "Ma mi facci il piacere!"

*

Barca si capovolge nell'agrigentino, salvati in sette

-----------------

Correttamente: Agrigentino (A maiuscola).

*

Incendiato il caffè letterario vicino la casa di Pirandello

----------------

Vicino si costruisce con la preposizione "a" (semplice o articolata). Correttamente:  vicino alla casa.

-------------------------------------------------

 Ora abbiamo anche l'assessoressa con il plurale assessoresse. Poveri Dante e Manzoni, si rivolteranno nella tomba.

Una scuola di Firenze sarà intitolata a Piero Angela. Lo fa sapere Palazzo Vecchio riferendo che il sindaco Dario Nardella, in accordo con le assessoresse, alla toponomastica Maria Federica Giuliani, e all'istruzione Sara Funaro, ha deciso di intitolargli un istituto scolastico "per ricordare la sua grande sensibilità divulgativa che ha formato intere generazioni di donne e di uomini alla cultura scientifica generale".

 
 

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)