lunedì 31 gennaio 2022

Costrutti alla francese


 Ieri abbiamo visto alcuni francesismi travestiti, oggi ci occupiamo di alcuni costrutti (ma anche vocaboli) alla francese. Chi scrive, ripetiamo, non condanna tali costrutti ma invita gli amatori del divino idioma a sostituirli, quando possibile, con costrutti (e termini) italici. Come sempre pilucchiamo qua e là tra le varie pubblicazioni "scovando" i costrutti (e i vocaboli) gallici (in parentesi le forme e i termini italiani): amici cari, mi felicito (mi rallegro) per il vostro stupendo risultato; riteniamo un fuor d'opera (superfluo) raccontarvi i particolari di cui siete già a conoscenza; Giovanni era al corrente (informato) di quanto accaduto; volete sapere quanto costa? Vado a dirvelo (ve lo dirò) subito; la mamma di Leandro, nonostante i suoi novanta anni, si porta bene (gode ottima salute); Susanna sapendo quanto Carlo desiderasse quel libro antico, gliene fece un presente (gliene fece dono); i cugini di Filippo parlano con marcato (spiccato) accento meridionale; abbiamo assistito  a uno spettacolo sensazionale (impressionante); occorre stabilire quale deve essere la linea di demarcazione (separazione, confine); sapete qual è il capo d'opera (capolavoro) di Michelangelo?

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La lingua "biforcuta" della stampa

SPORT

E' italiana la sciatrice più veloce del mondo: 201 chilometri l'ora, terzo titolo per Valentina Greggio

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Ancora usano il mondo come secondo termine di paragone! Correttamente: al mondo. Tralasciamo la "e", verbo, con l'apostrofo e non, correttamente, con l'accento.

 

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LO STUDIO

Il Tevere è il fiume più pulito del mondo: "Sono stati fatti passi avanti giganteschi"

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Quanto è sporco il mondo?

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LA SCOPERTA

Forme gravi di Covid "colpa" di una molecola mancante. «È il segreto dei super-immuni»

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Correttamente: superimmuni. Dizionario Sabatini Coletti: Super ─ Primo elemento di composti nei quali indica posizione alta nello spazio (superattico), superamento di limite (supersonico), eccesso (supernutrizione), valore superlativo (supercarburante), vaste dimensioni (supermercato) ecc.



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domenica 30 gennaio 2022

Francesismi (o gallicismi) travestiti


 
Si chiama "francesismo" ─  secondo il  vocabolario Treccani (in rete)  ─  ogni  «Parola, locuzione o costruzione sintattica francese introdotta in altra lingua, sia nella forma originaria, come cachet, garage, sia con un adattamento strutturale, come per es., in ital., blusa, lavaggio (e moltissime altre parole in -aggio), d’abitudine (per di solito), ecc. Meno com., usanza propria dei Francesi». 

Il nostro idioma abbonda di francesismi "travestiti", cosí chiamati perché hanno assunto una veste italiana. Chi scrive non condanna i termini francesizzanti (entrati, ormai, nell'uso); consiglia, però, di farne un uso parco e di sostituirli, ove possibile, con vocaboli schiettamente italiani. 

Vediamo, dunque, piluccando qua e là tra le varie pubblicazioni, alcuni francesismi (in parentesi i corrispettivi termini "italiani"): avevo il portafogli nella tasca del gilè (panciotto, corpetto) ma ora non lo trovo piú; in questo negozio si vendono prodotti all'ingrosso e al dettaglio (al minuto); ciò che cerchi si trova nel tiretto (cassetto) a sinistra; il documento è privo del timbro (bollo) dell'ufficio che lo ha redatto; il giovanotto era privo di risorse (mezzi) per sopravvivere a lungo; prima di uscire assicurati che il rubinetto (chiavetta) dell'acqua non perda; questo libro è ricco di vignette (illustrazioni); raccontami tutto, soprattutto i dettagli (particolari); perché vuoi azzardare (arrischiare) tanti soldi in un'impresa incerta?; la giovane attrice debutterà (esordirà) la prossima settimana al teatro "La Rosa".



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sabato 29 gennaio 2022

Gli intercalari


 Dal prof. Aldo Onorati*, dantista, riceviamo e pubblichiamo

  In un precedente articolo ho parlato del "vezzo" di storpiare gli articoli determinativi maschili (ma anche quello indeterminativo "un") volgendoli al femminile (la tavolo, la mare, e, quando va bene, illa mare, la freddo, una piatto etc.). (Si veda qui e qui) Ora intendo segnalare un fastidiosissimo vizio (e non più solo "vezzo"): l'intercalare, o meglio gli intercalari, perché in un discorso questi sincopati, queste battute d'arresto dovrebbero essere multate se il "parlatore" si rivolge a un pubblico vasto attraverso mezzi di comunicazione potenti (e, fra l'altro, lo fa per mestiere e quindi viene pagato dagli ascoltatori). Sono arrivato, forse a causa dell'età avanzata, a una specie di idiosincrasia nei confronti di coloro i quali ogni due-tre parole ti sparano un'insensata "aaaaa", oppure una "eeeee", ovvero un interrogativo buttato lì a casaccio, quale "no?".

 Si tratta di "mezzi busti" televisivi (ma ciò non esclude che tante persone si esprimano infarcendo la frase con suoni che spesso sembrano una fusione di "a" ed "e", al punto da risultare quasi un suono straniero, estraneo al nostro limpidissimo alfabeto). Potrei - e vorrei - fare dei nomi, ma si dice il peccato, non il peccatore (anche perché - da studi recenti sull'argomento - sembra che quel difetto affondi le radici nella fanciullezza se non addirittura nell'infanzia). Una volta preso, quel fastidiosissimo inceppo non sparisce più. Diviene una seconda natura "espressiva", una sorta di separazione sintagmatica, o meglio una pausa brevissima che denota un'interruzione del pensiero.  

Non so a voi, ma a me dà una sorta di schiaffo psichico, tanto che cambio canale televisivo (e se si tratta di una persona in carne ed ossa, con la quale dialogo, aumento il numero dei caffè, nera bevanda che sortisce in me l'effetto contrario al desiderato: funge da sonnifero). Bene, anzi male; ma il "busillis" non finisce qui. La prima domanda che mi pongo è la seguente: "Possibile che nessuno, tra i cervelloni addetti al controllo delle notizie e di tutto il resto, si accorga del terribile tarlo che rode il legno levigato della nostra lingua cantabile?" 

Ho fatto un esperimento, una sera in cui stavamo seduti in sette davanti al video. La signora che conduceva un programma molto seguito (e che ha dei numeri innegabilmente, se non li rovinasse con i frequentissimi "aaaaa", "eeeee"), quel giorno aveva le tasche piene di intercalari, per cui erano come bastonate al fluire della frase e del periodo. Chiesi, per curiosità, se quel modo di "sputacchiare" le parole non desse fastidio anche ai miei invitati, tutte persone di una certa cultura (anche un filologo fra loro!). Mi guardarono come si guarda un alieno. Uno disse anche: "Beh? È un modo come un altro di esprimersi". Credetemi, cari lettori: sto convincendomi - data la generale indifferenza e insensibilità verso questi fastidiosissimi "vizi"- di essere io "lo sbagliato" (come usa dirsi oggi). Forse devo rivedere la mia grammatica e mettere al posto di "sono andato", "ho andato", e ricevere anche il plauso di qualche filologo! 

  Aldo Onorati

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Qui











 

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venerdì 28 gennaio 2022

La penna, il volume e il quaderno


 A
bbiamo scritto altre volte – in queste modestissime noterelle sulla lingua italiana – che molto spesso i vocaboli di tutti i giorni, quelli che adoperiamo comunemente – quasi inconsciamente – con il trascorrere del tempo vanno incontro a mutamenti che risultano in contrasto con l’etimologia. Prendiamo, per esempio, la penna e il volumeSe apriamo un qualsiasi vocabolario alle voci in oggetto leggiamo, rispettivamente, «strumento adoperato per scrivere» e «libro, costituito da fogli riuniti insieme». Bene, direte, e dov’è la grande scoperta? La troviamo se – come il solito – ci rifacciamo alla lingua dei nostri antenati: i Latini. Gli scolari dell’epoca (ma non solo loro) per scrivere sui fogli di papiro adoperavano una piccola canna ('calamum') di legno. Più tardi il “progresso” fece in modo che per maggior comodità il 'calamum' (la cannuccia) fosse sostituito con una 'pinna' (penna) generalmente d’oca. La sostituzione dell’arnese per scrivere portò, naturalmente, alla sostituzione o meglio al cambiamento del nome; oltre tutto la 'pinna' era oggetto molto più familiare che non il 'calamum'.

Oggi, con il termine penna chiamiamo qualunque mezzo atto allo scrivere; abbiamo la penna biro (così chiamata dal suo inventore, un ingegnere ungherese), la penna stilografica e il pennarello, anche se questi oggetti – a dispetto dell’etimologia – non hanno più nulla che vedere con gli uccelli e le loro… penne. Solo il calamo, imperterrito, resiste nella nostra lingua con l’accezione originaria anche se, per la verità, è considerato termine arcaico e, se si preferisce, detto e adoperato raramente e in senso quasi sempre scherzoso: con quale calamo mi hai scritto il biglietto d’auguri?

Più interessante, ci sembra, la storia, anzi l’origine del volume arrivato a noi con l’accezione di libro. Anche in questo caso torniamo indietro nel tempo e fermiamoci alla Roma dei Cesari o giù di lì. Il libro all’atto della sua invenzione presentava gravissimi inconvenienti in quanto a praticità: scarsa durata, fragilità, sottigliezza (il libro, sarà bene ricordarlo, in origine era il foglio di carta sul quale si scriveva). Cosa fare, allora?
  I nostri padri trovarono un altro sistema per confezionare fogli per la scrittura: intrecciando strettissime e sottilissime striscioline di papiro, comprimendole ed essiccandole al sole. Il papiro, quindi, non è un foglio naturale come il libro (uno strato del tronco di un albero) bensì costruito. Poiché il foglio era molto lungo esso veniva arrotolato su un bastoncino ('umbilicus') in modo che venisse un… rotolo; in questo modo si aveva il 'volumen', dal verbo 'vòlvere' (arrotolare, appunto) che veniva riposto nella 'capsa', una cartella cilindrica con coperchio. Oggi, però, chi pensa più al volume come a un rotolo? Ma le sorprese non sono ancora finite. Il volume, nell’accezione odierna, ha acquisito, per estensione, il significato di tomo cioè «ciascuna delle parti in cui è divisa un’opera a stampa in ragione delle materie trattate» (dal tardo latino 'tomus' e questo dal greco "tòmos" tratto da "tèmnein", tagliare, propriamente sezione).

E per finire, due parole due sul quaderno, termine anch’esso evolutosi in spregio all’etimologia. Il vocabolo, si intuisce, viene dal latino 'quattuor' (quattro) perché era ricavato da un foglio grande piegato in… quattro; mentre oggi un quaderno, contrariamente alla sua etimologia appunto, è composto di moltissimi altri fogli.










Lrecensione del prof. Salvatore Claudio Sgroi, docente emerito di linguistica generale presso l'università di Catania.





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giovedì 27 gennaio 2022

Sospettare...


 «Nulla ispira a un uomo tanti sospetti quanto il fatto di saper poco». 

Questa massima di Francesco Bacone, capitataci, per caso, sotto gli occhi ci ha dato la stura per riprendere il viaggio attraverso la foresta del vocabolario italiano alla ricerca di parole di tutti i giorni, quelle che adoperiamo per pratica il cui significato nascosto non è noto a tutti. Il sospetto è una di queste parole.

Il significato scoperto, dunque, si può apprendere consultando un qualsivoglia vocabolario dell'uso e scoprire così che detto termine può essere tanto sostantivo quanto aggettivo e che è tratto dal verbo sospettare che significa dubitare, supporre, temere, ma l'accezione principe resta quella più conosciuta, vale a dire ritenere qualcuno colpevole di qualche misfatto, senza, tuttavia, alcuna prova certa: la polizia sospettava quell'uomo di essere l'esecutore dell'omicidio.

Questo, dunque, il significato scoperto; e quello nascosto, vale a dire il significato intrinseco della parola, del verbo? Per scoprirlo occorre rifarsi all'etimologia che ci rimanda al verbo latino 'suspectare', intensivo di 'suspicere', composto con 'su(b)' (sotto) e 'specere' (guardare), in senso proprio guardare dal basso.

Chi ha un sospetto, dunque, guarda la persona sospettata dal basso in alto e — in senso figurato — la guarda fissamente a lungo. Insomma, come fa notare Ottorino Pianigiani (il quale, però, come abbiamo sempre scritto, non gode della "fiducia linguistica" di numerosi glottologi) «il sospettare sembra “quasi dica guardar sotto la veste per scoprirvi il pugnale nascosto, ma che invece ha il senso originale di “guardar dal basso in alto", presa la similitudine dalla fiera che a muso alzato fiuta il vento, o dal guardar sottecchi proprio di chi guarda con diffidenza».

Diffidare, infatti, non è sinonimo di sospettare, anche se meno “forte" di quest'ultimo? E la persona che sospetta non teme, non dubita, non prende ombra?

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La topotesía

 Forse quasi nessuno dei nostri 25 lettori (rubiamo le parole al principe degli scrittori, Alessandro Manzoni) ha sentito (o conosce) il termine topotesìa  (che non ha nulla che vedere con il... topo) perché pochissimi vocabolari attestano questo lessema.

Che cosa è, dunque? È un sostantivo femminile di origine greco-latina e vale descrizione di un luogo non reale, immaginario. È composto con le voci greche  “topos" (luogo) e  “tithemi" (io colloco, metto, pongo).

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La parola proposta da questo portale: amblosi. Sostantivo sinonimo di aborto, cosí chiamato, una volta, dai medici. È tratto dal verbo greco "ambloo", abortire.

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La lingua "biforcuta" della stampa

LA CURIOSITÀ

"Mattarella, proteggici tu". Con il saio e l'aureola in testa, spunta alla Camera il santino del Presidente

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Gesummaria, eravamo fermamente convinti che l'aureola si mettesse nei piedi. La stampa ha il potere di demolire tutte le nostre certezze, linguistiche e no.

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GREEN & BLUE

Matusalemme è il pesce d'acquario più vecchio del mondo: in natura è a rischio estinzione

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Quando gli operatori dell'informazione "capiranno" che il mondo non si può paragonare con alcunché? Correttamente: piú vecchio al mondo.

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IL MISTERO

L'"Angelo bianco" che svetta tra le colline del vicentino

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Correttamente (ovviamente): Vicentino, con la "V" maiuscola.



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martedì 25 gennaio 2022

Sgroi - 121 - Non dire mai "non esiste". A proposito di "splenduto"


di Salvatore Claudio Sgroi

 

 1. L'evento mediatico

Nel corso della domenicale tramissione su Rai-3 "Le parole per dirlo" del 12 dic. 2021, 10h20, Geppi Patota, grammatico e storico della lingua, -- oltre a giudicare esig-ito part. pass. del verbo esigere come errato, in quanto forma analogica non-etimologica, diversamente dal corretto esatto (su cui cfr. l'intervento 119 del 10 gennaio) -- ha anche ricordato il pp. di splendere ovvero splend-uto, giudicandolo non meno errato, anzi affermando "che non esiste" proprio.

 2. La disconferma di "splenduto"

L'espressione "non esiste" in bocca spesso ai (neo)puristi per giudicare -- senza alcuna esplicita motivazione -- "errato" un uso linguistico, richiama la tecnica indicata dagli psicologi nel rapporto con gli altri con il termine "disconferma", quando cioè si ignorano del tutto gli interlocutori, nei cui riguardi si nega anche il giudizio esplicito di dire "non sono d'accordo con te".

Nel caso specifico il "non esiste" equivale a dire non che splenduto è "errato", ma se ne nega l'esistenza, tout court. Il che è paradossale, perché in realtà la forma esiste, solo che non la si giudica degna di un esplicito giudizio di condanna.

 3. Vitalità di splenduto

Il ricorso a Internet e a "Google libri ricerca avanzata" consente in realtà di documentarne una certa vitalità e polisemia, tra usi propri e usi figurati, in  testi anche di personaggi illustri.

Intanto, la forma participiale splenduto è databile almeno dal 1598 con il noto John Florio: "SPLÉNDERE, SPLENDO, SPLENDEI, SPLENDUTO, to shine, to glister, to glitter, to be bright and beautifull. Also to have a very good grace or become passing well" (A Worlde of Wordes, a critical edition by ‎Hermann W. Haller, University of Toronto Press·2013, p. 674).

 

         3.1. Usi del '900 e del terzo millennio

Tra gli usi propri e figurati del '900 riportiamo:

 (i) Giuseppe Cosentino·1906: "‎coi loro incantesimi corruttori avevano sperato di poter sedurre la generosa coppia di amanti che è qui, e che aveva profferito il voto di non libare alle dolcezze del letto coniugale prima che splenduto avesse per loro la fiaccola d'Ismeneo" (Le commedie di Shakespeare, L. Beltrami, p. 237).

 (ii) Friedrich Nietzsche 1888 tr. it. 1908, 1910, rist. 2019: «Ci sono tante aurore che non hanno ancora splenduto»; questa scritta indiana sta sulla soglia del libro. Dove cerca il suo autore quel nuovo mattino, quel rosso tenero non ancora scoperto, con cui comincia ancora il nuovo giorno, ah! tutta una serie, tutto un mondo di giorni nuovi?" (Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è, Bocca p. 89, e Blowing books 2019).

(iii) Renato Serra 1938 [av. 1915] : "coeli ardentis species affulserat, il cielo aveva splenduto come un mare di fuoco, Liv." (Scritti di Renato Serra, a c. di Giuseppe De Robertis, ‎Alfredo Grilli, Firenze, Le Monnier, vol. 2, p. 152).

(iv) Andrea Sorrentino 1927: "La vetta del suo nuovo edifizio, canta i funerali per l'idolo che sempre vivo era splenduto durante i travagli della sua mente. Si presenta, così , il problema di quanto Vico dovesse ad Aristotele e di quanto lo spogliasse" (La retorica e la poetica di Vico: ossia, La prima concezione, Milano, Bocca, p. 160).

 (v) Ernesto Balducci 1940-1945: "chi comincia a nutrirsi della sua riflessione immagina di scoprire ciò che non era conosciuto per lo innanzi; un nuovo sole ha splenduto" (Diari 1940-1945, ed. Maria Paiano, Firenze, Olschki 2002, vol. 1, p. 197).

(vi) Eugenio Pennati 1945: "se la questione etica e religiosa si fosse risolta in una suprema rinunzia , quella che fu la grande civiltà moderna dei popoli d'Occidente non avrebbe mai splenduto" (Fondamenti di una filosofia della politica, Istituto Editoriale Italiano, p. 144).

 (vii) Anne Fiedler Nossing 1948: "nel voltare in italiano 'noch in aller Glorie der Poesie blühte und glänzte' usa il participio passato “splenduto” che soltanto un Italiano del Trentino è capace di scrivere, ma che urta l'orecchio d'un Toscano" (Heine in Italia nel secolo decimonono, S.F. Vanni, p. 257).

(viii) 1955: "sui monti della Tracia e ai piedi dell'Olimpo, da quella civiltà che ha splenduto di sfolgorante luce sull'Acropoli , all'ombra del primo olivo, e che rifulse mirabilmente sull'Agorà, incamminandosi poscia per la stessa via sacra" (Redia, vol. 40, p. xvi).

(ix) Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria 1961: "Il sole coi raggi ha diffuso le vacche, la terra si è stesa ampia col dorso, il fuoco è splenduto sulla vasta superficie" (Atti e memorie, Firenze, Olschki, vol. 26, p. 110).

(x) Marialuisa Cicalese 1973: "l'insegnamento hegeliano - spaventiano sarà compreso nella sua parte migliore che «ha splenduto invano» innanzi alle menti di Marx e Labriola pur discepoli di Hegel e Spaventa" (La formazione del pensiero politico di Giovanni Gentile, Marzorati, p. 58).

 E per quanto riguarda il 2000:

(xi) Maurice Fay 2015: "I maghi avevano creato un nuovo sole per illuminare il mondo magico che avrebbe splenduto per sempre, alimentando il cristallo che la imprigionava" (L'Occhio di Alfin: La Saga dei Mondi Gemelli, Lulu com, p. 246).

(xii) Pier Francesco De Rui 2018: "Le perdite, le sconfitte morali, le sofferenze, li avevano segnati togliendo loro quel bagliore innocente di cui avevano sempre splenduto. La pelle del viso era dura, graffiata dal vento e segnata dalle ferite" (Il sentiero delle lacrime, Youcanprint, p. 430).

(xiii) Aldo Parisi 2018: "Il sole delle tenebre non avrebbe splenduto su questa terra. Né ora né mai" (Sumus Tenebris Solem, Youcanprint, p. 170).

(xiv) Angelo Santoro 2019: "Loro ti vendevano il sole, ti dicevano per te sarebbe splenduto un sole raggiante, anche se non riuscivi a fare a meno di vedere sopra la tua testa solo le nuvole di un cielo che più plumbeo non si può (Gattopardi. 70 storie di neosatira, Goware).

(xv) Alessandro Moscatelli 2020: "Sono certo che dopo la tempesta il sole tornerà a splendere come sempre ha spleso...splenduto... credo pioverà ancora un pochino, ma se dovesse accadermi qualche cosa [...] Quale ricordo lascerei?" (L’albero degli smartphone, Gruppo Albatros il Filo, e-book).

Ecc.

 3.2. Usi letterari del '400 e del '900

Quanto agli usi letterari, col Battaglia (vol. XVI, 1992) riportiamo un es. del '400 e due dannunziani del '900 (sub risplendere), ripresi questi ultimi anche nella BIZ (Biblioteca Italiana Zanichelli):

 (i) G. D'Annunzio 1905: "La luce è risplenduta / a noi per la tua forza" (La nave) (accezione n. 12).

(ii) G. D'Annunzio 1907: "Necessità del fuoco, hai risplenduto" (Canzone per la tomba di Giosue Carducci) (accezione n. 2).

 (iii) Amabile di Continentia '400: "È stata la iustizia che in te sempre è resplenduta" (accezione n. 7)

 4. E i puristi?

Qual'è al riguardo la posizione dei puristi e neopuristi?.

V. Ceppellini, Dizionario grammaticale (Istituto Geografico De Agostini 1962, VI ediz.) sotto splèndere riporta: "Part. pass.: splendúto (usato raramente)".

G. L. Messina, Dizionario dei neologismi, dei barbarismi e delle sigle (Angelo Signorelli 1983)

per splèndere fa presente che "È un verbo difettivo, perché non ha il p.p. e quindi i tempi composti"; al pari di incombere "difettivo, perché non ha il p.p. e quindi i tempi composti". Ma per risplendere osserva che "non si adopera nei tempi composti, perché il p.p. risplenduto è ormai disusato".

Per S. Novelli, Si dice? Non si dice?. Dipende (Laterza 2014), la risposta iconica riservata a "Splenduto, risplenduto" è invece prescrittiva: non sono né da scrivere né da dire (p. 108).

 4.1. La lezione anti-puristica del purista Aldo Gabrielli

Per converso stupisce 'alla grande' A. Gabrielli [1898-1978] in Si dice o non si dice? (Milano, Club degli Editori 1976) che, ampliando l'analisi ad analoghi verbi presuntivamente "difettivi" come risplendere e soccombere, non si può non condividere, su tutta la linea:

"come tutti gli altri verbi della seconda coniugazione [...] hanno il participio passato in -uto: quindi, [...] splendúto, risplendúto [...], soccombúto" (p. 210): forme "corrette [...], non ci son santi" (ibid.); "e fanno male, malissimo i dizionari e le grammatiche a ignorarle, e peggio a dire che non esistono affatto" (ibid.).

L'autore è peraltro attento anche agli usi reali, sottolineando che "Esempi di questi 'brutti' participi, non mancano, soprattutto presso gli antichi, ma neppure i moderni li hanno sempre ignorati" (ibid.). E ricorda che "Il D'annunzio usò moltissime di queste forme; una per tutte, dalla Canzone per la tomba di Giosue Carducci: 'Necessità del fuoco, hai risplenduto!" (p. 211).

Conclude con un monito: "i dizionari smettano di dar l'ostracismo a questi participi" (ibid.).

Ma prima, nell'ambito dell'educazione linguistica, suggerisce agli studenti la tecnica dell'evitamento per non farsi "fregare" da insegnanti iper-tradizionalisti:

"Capisco che un ragazzo di dodici anni rifacendosi a questi esempi letterari potrebbe andare incontro, nel migliore dei casi, a un fregaccio rosso dell'insegnante: ma per uno scolaro c'è sempre modo di evitar questi rischi. Nel vocabolario italiano c'è tanta varietà di parole e di forme che resta solo l'imbarazzo della scelta: 'Il sole ha risplenduto tutto il giorno': diciamo che 'ha brillato' e siamo a posto" (ibid.), ecc.

Nell'omonimo, ma diverso, Si dice o non si dice (Mondadori 1969), Gabrielli si sofferma solo su soccombuto, con diversa opinione. Alla domanda "se esiste il participio passato del verbo soccombere" (p. 245) la risposta è: "Sì, esiste, è soccombúto." seguito dall'osservazione "Ma nessuno, credo, lo ha mai usato" (ibid.), con la precisazione del criterio perché tali forme possano essere giudicate corrette: "non credo che abbiamo esempi letterari per sostenersi" (ibid.). In realtà, usi letterari al riguardo non mancano, come i 2 seguenti dell'800, riportati nel Battaglia (vol. XIX, 1998), che definisce il "part. pass. rar. soccombuto":

(i) A. Rosmini av. 1855: "quella loro volontà (....) sarebbe soccombuta"; e

(ii) F. Petruccelli della Gattina av. 1890: "Il suo fez di velluto ha soccombuto alla fine (...), ed è scomparso".

In maniera sobria lo stesso Gabrielli nel suo Dizionario linguistico moderno (Mondadori 1956, 19693) aveva scritto sotto splèndere: "splendúto, raro nell'uso" (p. 1123); risplèndere: "risplendúto, raro" (p. 1062); soccόmbere: "soccombúto, raro" (p. 1108).

Il Grande Dizionario Illustrato della lingua italiana di A. Gabrielli, a cura di Grazia Gabrielli (Mondadori 1969) sub splèndere indica: "pp. splendúto, ma rariss., e perciò rari anche i tempi composti"; sub risplèndere: "risplendúto, raro"; sub soccόmbere: "pp. raro soccombúto".

Sulla stessa linea A. Gabrielli, Si dice o non si dice?. Guida all'italiano parlato e scritto, nuova ediz. a c. di Paolo Pivetti, con la coll. di Grazia Gabrielli (Hoepli 2009): "verbi col participio passato, diciamo così, raro" (p. 266) sono splenduto, risplenduto, soccombuto, che "non sono forme sbagliate: sono soltanto così poco frequenti da metterci in imbarazzo" (ibid.).

A. Gabrielli, Dizionario della lingua italiana (C. Signorelli 1993) sub splèndere: "raro splendúto; raro nei tempi composti"; risplèndere "si coniuga come splèndere"; sub soccόmbere: "raro soccombúto".

A. Gabrielli, Grande dizionario Hoepli italiano, a c. di M Pivelli e G. Gabrielli (Hoepli 2008): splendere: "raro splendùto; raro nei tempi composti"; risplendere "si coniuga come splèndere"; sub soccόmbere: "raro soccombùto".

 

5. Altri dizionari

A metà strada è lo Zingarelli 2021 sub risplèndere: "rari e lett. il part. pass. risplendùto e i tempi composti"; per soccombere: "part. pass. raro †soccombùto"; invece per splèndere: "difett. del part. pass. e dei tempi composti".

E analogamente Sabatini-Coletti 2007 sub risplèndere: "non com. il part. pass. risplenduto"; sub soccombère: "part. pass. ant. soccombuto, oggi non in uso"; invece sub splèndere: "manca del part. pass.".

 

Sommario

1. L'evento mediatico

2. La disconferma di "splenduto"

3. Vitalità di splenduto

3.1. Usi del '900 e del terzo millennio

3.2. Usi letterari del '400 e del '900

4. E i puristi?

4.1. La lezione anti-puristica del purista Aldo Gabrielli

5. Altri dizionari







 

 

                                                                                         




 

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