lunedì 30 agosto 2021

Il "che" e la virgola (obbligatoria?)

 Il che — come si sa (o si dovrebbe sapere) — introduce le proposizioni subordinate relative che, a loro volta, si dividono in relative restrittive e relative esplicative.

Le prime danno un'informazione indispensabile per precisare il significato della proposizione principale: non ho ancora restituito alla biblioteca il libro che avevo preso in prestito. In questo caso la virgola prima del che interromperebbe il significato dell'antecedente (principale); le seconde, le esplicative, forniscono un'indicazione in più, non strettamente necessaria per il significato della principale: domani telefonerò a un mio amico, che è appena tornato a casa dall'ospedale.

Riassumendo. Nelle relative restrittive la virgola prima del che non è necessaria; in quelle esplicative, al contrario, è necessaria, se non obbligatoria.

Comma e capoverso

 I due termini non sono sinonimi, come erroneamente si crede. E i vocabolari non aiutano. La spiegazione più chiara viene dal vocabolario della Treccani, che riportiamo fedelmente. Alla voce comma leggiamo: «Ognuna delle suddivisioni di un articolo di legge, rappresentata tipograficamente da un accapo, in modo che il primo comma corrisponde al ‘principio’, il secondo comma al ‘primo capoverso’ e così via». Al lemma capoverso si legge: «Nelle citazioni di leggi, regolamenti, contratti ecc. si chiamano primo, secondo, terzo capoverso e così via le suddivisioni dell’articolo corrispondenti rispettivamente al secondo, terzo, quarto comma, spettando al primo comma il nome di principio».

domenica 29 agosto 2021

La dialisi linguistica

 Forse pochissime persone sanno che non c’è solo la dialisi medica, ma anche quella linguistica, che, purtroppo, la maggior parte dei cosí detti sacri testi non menziona/menzionano. Vogliamo vedere di cosa si tratta? È una figura retorica (simile all’ipèrbato) che consiste nell’interrompere la continuità di un periodo mediante un inciso. Viene dal greco dialyein, "separare"; separa, quindi, con un inciso le parti di un periodo. Un bell’esempio dantesco: «Parte sen giva, e io retro li andava, Lo duca…» (Inferno XXIX, 16-17). Nella retorica classica era cosí chiamato anche l’asindeto, vale a dire un costrutto senza congiunzioni (solo virgole).

Il prefisso ri-

 Il prefisso ri- (che in alcuni casi diventa re- o ra-) indica, in linea generale, l’idea della ripetizione, è erroneo il suo uso, quindi, quando l’azione o il fatto avviene per la prima volta.

Vediamo, per tanto, con qualche esempio piluccato qua e là, l’uso improprio o, meglio, errato di questo prefisso. In corsivo i termini con il prefisso, in parentesi quelli da usare correttamente.

La prima ripresa (presa) della scena non ha soddisfatto il regista; il compito dello storico è quello di ritrarre (trarre) dall’oblio fatti e personaggi importanti; la sconfitta di Caporetto è stata prontamente rivendicata (vendicata, in questo esempio è errato anche il verbo usato: una cosa è rivendicare, un’altra è vendicare); il moribondo ha aperto gli occhi per un breve istante, poi li ha richiusi (chiusi) per sempre; per il permesso di soggiorno sono state richieste (chieste) informazioni al paese d’origine; una volta giunti in America tutti vi hanno richiamato (chiamato) i propri familiari; ho ricercato (cercato) il mio barboncino dappertutto, ma senza successo; il viaggio non è stato lungo e faticoso: eppure risento (sento) una certa stanchezza. Pedanteria? A voi, amici amatori del bel parlare e del bello scrivere, giudicare o, se preferite, "sentenziare".

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La lingua "biforcuta" della stampa

PALLACANESTRO

Altra firma young per il Basketball Lamezia. Nella fila gialloblu arriva il classe 2001 Federico Romeo

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Correttamente: gialloblú. Nei composti il monosillabo blu prende l'accento.

venerdì 27 agosto 2021

Ladro? No, protettore

 Avreste mai immaginato, cortesi lettori,  che un tempo in compagnia dei ladri si stava molto bene?  Che ogni persona avrebbe voluto al suo fianco un ladro per sentirsi più tranquilla, più sicura?

In origine, infatti, questo termine indicava l’uomo che scortava una persona di alto rango, era — diremmo oggi — il gorilla (su calco del francese 'gorille') addetto alla tutela di personaggi importanti. Il ladro, insomma, dal latino 'latro', tratto da 'latus' (fianco, lato), era la persona che camminava a lato di un’altra persona per proteggerla da eventuali aggressori.

Con il trascorrere del tempo attraverso un processo di degenerazione semantica (la semantica è lo studio del significato dei vocaboli e del suo sviluppo storico) il termine ladro ha acquisito l’accezione odierna di… ladro, cioè di brigante, rapinatore.

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La parola proposta da questo portale: magnalmo. Aggettivo sinonimo di "magnanimo": coraggioso, intrepido, di grande spirito, di animo nobile. Termine aulico composto con la voce latina "magna" (femminile di "magnus", grande) e "almo", maschile di "alma" (anima). Si veda anche qui.

giovedì 26 agosto 2021

Dall'1 settembre o dal 1 settembre?

 Da un quotidiano ("che fa opinione") in rete:

MISURE ANTI-COVID

Green Pass, scuola, università, trasporti: ecco cosa cambia dall'1 settembre. Ira dei presidi: "Sui controlli siamo in alto mare"

L'articolo (e le preposizioni) da adoperare con le date è sempre motivo di dubbio. Nel caso specifico si adopera "dal" (senza apostrofo) seguito da 1: dal  1 settembre. Lo abbiamo segnalato ai responsabili del giornale in oggetto ma siamo stati ignorati. Il perché (di "dal") lo spiega, magistralmente, l'Accademia della Crusca: " (...) Le indicazioni comprendenti anche mese e giorno sono introdotte modernamente da un articolo maschile singolare: «il 20 settembre 1870». Per estensione, si può aggiungere che, nel caso di una data come 11/10/1989, l'articolo che vi si anteporrà sarà l' (seguendo la pronuncia della data: l'undiciottobre millenovecentoottantanove); stessa regola vale per le date che iniziano con 1: anche per queste, si considera il modo in cui tali date vengono pronunciate e quindi si scriverà il 1/2/2003 (cioè il primo febbraio duemilatré). Infatti, come specifica Serianni, 'Per i giorni del mese si usa l'ordinale per il giorno iniziale [...], ma il cardinale per i giorni successivi, siano o non siano accompagnati dal giorno del mese [...]' ".

Voi, amici che seguite le nostre noterelle fatene tesoro.

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La parola proposta da questo portale: ciofo. Sostantivo maschile che vale "sciocco", "sciatto" e simili. Si veda qui e qui.





mercoledì 25 agosto 2021

C'è berlina e... berlina

 Ecco un'altra parola polisemica (che ha piú significati) di cui il nostro idioma è "abbastanza ricco": berlina. Questo vocabolo, dunque, ha due significati ma origini completamente diverse. Cominciamo con la "berlina" che dapprima indicava una "carrozza a quattro ruote" poi, per estensione, "carrozza ferroviaria", infine "automobile". Ma perché "berlina"? Perché sembra che questo tipo di carrozza  ─ che alcuni ritengono progettata dall'italiano Filippo di Chiese  ─  veniva costruita a Berlino. L'altra accezione che è "derisione", "scherno", "pena umiliante" ha dato origine al modo di dire "mettere alla berlina". In questo caso il termine viene dal germanico "Bretling", asticella. Questa tavoletta, sulla quale veniva incisa la colpa del condannato, era appesa al collo del reo affinché fosse oggetto di scherno.

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La parola proposta da questo portale: desìdia. Sostantivo femminile che sta per "ingnavia", "pigrizia" e simili. È pari pari il latino "desidia", tratto dal verbo "desidere", restare seduto, inoperoso.

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La lingua "biforcuta" della stampa

FISCO

Bollo auto, mini condono

al via per le cartelle sui debiti sotto i 5 mila euro

Correttamente: minicondono (parola unica). Treccani: Primo elemento compositivo, tratto dal lat. minĭmus «minimo» dietro l’esempio dell’ingl. mini- (sentito però anche come riduzione di miniature «miniatura»); questo, diffusosi internazionalmente dapprima nel composto minigolf, si è affermato soprattutto con la coniazione di miniskirt, la cui traduz. ital. minigonna ha dato in Italia la spinta ad altre composizioni, proprie soprattutto del linguaggio della pubblicità e della moda (ma anche dell’uso com. e letter.), nelle quali si fa riferimento a lunghezza, dimensioni e sim. inferiori a quelle normali (per es., miniabitominiappartamentominischermo, e altre formazioni scherz. e per lo più occasionali, come miniassegnominiriformaministipendio, ecc.). In qualche caso si contrappone a maxi-, analogam. al quale può essere usato, in espressioni ellittiche, come elemento lessicale autonomo (v. mini). Dei molti termini formati con questo prefisso, oltre ai più significativi registrati al loro luogo alfabetico, ve ne sono altri che, per essere meno frequenti o meno stabili, per appartenere al linguaggio della pubblicità o per essere di significato troppo ovvio e trasparente, sono stati tralasciati.

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LE REGOLE

Green pass obbligatorio per scuola, trasporti e università: cosa cambia dal 1° settembre

Locatelli: ragionevole validità di 12 mesi

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Correttamente: dal 1 (senza esponente). Crusca: Le indicazioni comprendenti anche mese e giorno sono introdotte modernamente da un articolo maschile singolare: «il 20 settembre 1870»". Per estensione, si può aggiungere che, nel caso di una data come 11/10/1989, l'articolo che vi si anteporrà sarà l' (seguendo la pronuncia della data: l'undiciottobre millenovecentoottantanove); stessa regola vale per le date che iniziano con 1: anche per queste, si considera il modo in cui tali date vengono pronunciate e quindi si scriverà il 1/2/2003 (cioè il primo febbraio duemilatré). Infatti, come specifica Serianni, "Per i giorni del mese si usa l'ordinale per il giorno iniziale [...], ma il cardinale per i giorni successivi, siano o non siano accompagnati dal giorno del mese [...]."

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PREVIDENZA

Autonomi e professionisti, via alle domande all'Inps per l'esonero dei contributi

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Correttamente: dai contributi. Si esonera da qualcosa, non di qualcosa.

domenica 22 agosto 2021

Guadagnare...

Due parole su un verbo che - a nostro modo di vedere - viene molto spesso adoperato se non in modo errato, impropriamente: "guadagnare". Il significato del verbo è - come si può leggere in un qualsivoglia vocabolario della lingua italiana - "ottenere o ricevere come utile o profitto da un lavoro, da una prestazione o da uno scambio commerciale". Il verbo, insomma, implica una 'fatica' fisica o morale. È adoperato correttamente, quindi, in frasi tipo "guadagnare 250 euro il mese; "è riuscito a guadagnarsi la simpatia di tutti gli astanti"; oppure, "guadagnare terreno", vale a dire conquistarlo avanzando con fatica; "guadagnare tempo", ottenerlo, cioè, con qualche artificio.

 Come si può vedere, dunque, negli esempi sopra citati c'è sempre l'idea del lavoro, della fatica. Non è corretto usarlo in frasi - come si legge spesso sulla stampa - "ha guadagnato 300 mila euro nel gioco delle scommesse". Dov'è la "fatica"? In questo caso e in altri simili il verbo appropriato è 'vincere'. Insomma - non vogliamo essere ripetitivi - in frasi in cui non è sottintesa l'idea della fatica, l'uso del verbo guadagnare è errato o, per lo meno, improprio. 

Non si dirà, quindi, "guadagnare l'uscita" (espressione tanto cara a molti conduttori di programmi televisivi); "guadagnare in fretta la fuga"; "la nave ha guadagnato il porto in nottata" e frasi simili. In buona lingua ci sono verbi propri che fanno alla bisogna: raggiungere, arrivare, entrare, giungere e simili.

Andare a far terra per pipe

Ecco un modo di dire "inconsueto", adoperato in senso scherzoso il cui significato è morire. La locuzione allude al corpo del defunto che, una volta inumato, si trasforma in terra. E con la terracotta, un tempo, si facevano le... pipe.

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La lingua "biforcuta" della stampa

Sopravvissuta al rogo dell'auto su cui viaggiava nel crotonese: "Grazie all'eroe che mi ha salvato"

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Correttamente: Crotonese (con la "C" maiuscola). I nomi che indicano un territorio geografico prendono l'iniziale maiuscola.




sabato 21 agosto 2021

Defatigare e defaticare

Abbiamo notato  ─  con sommo piacere  ─  che il prestigioso vocabolario Treccani in rete ha emendato  il lemma "defatigare". Ecco quanto si leggeva s.v. "defatigare":

defatigare (non com. defaticare) v. tr. [dal lat. defatigare, comp. di de- e fatigare «affaticare»] (io defatigo, tu defatighi, ecc.), letter. – Stancare, esaurire le capacità di resistenza di una persona. Part. pres. defatigante anche come agg., che affatica, che logora le forze. Part. pass. defatigato, anche come agg., affaticato, spossato.

Defatigare e defaticare non sono l'uno sinonimo dell'altro hanno significati diversi.

Ecco, infatti, quanto si può leggere, ora, al lemma emendato dal Treccani:

defatigare (ant. defaticare) v. tr. [dal lat. defatigare, comp. di de- e fatigare «affaticare»] (io defatigotu defatighi, ecc.), letter. – Stancare, esaurire le capacità di resistenza di una persona. Part. pres. defatigante anche come agg., che affatica, che logora le forze. Part. pass. defatigato, anche come agg., affaticato, spossato.

Ci lascia molto perplessi, però, quell' «ant.» che, a nostro avviso, andrebbe cassato perché ambiguo. Defaticare, infatti, non è voce "antica" o "antiquata" ma è un verbo "vivo e vegeto" e con "significato autonomo". Vediamo, quindi, il lemma "defaticare" che il Treccani ─ "stranamente" ─  classifica tra i neologismi.

venerdì 20 agosto 2021

E se si "ripristinasse" il correttore di bozze?

 Con l'avvento delle nuove tecnologie gli editori dei giornali hanno deciso di non avvalersi piú - anche per limitare i costi - di quel  losco figuro che, con certosina pazienza,  andava a caccia dei refusi (errori di battitura) e contemporaneamente "raddrizzava" - secondo le norme orto-sintattico-grammaticali - gli articoli degli operatori dell'informazione: il correttore di bozze. Questa figura professionale era invisa sia ai giornalisti, alle cosí dette grandi firme, in primis, sia ai poligrafici. Gli uni perché vedevano che i loro scritti erano sottoposti al vaglio di un "essere inferiore" che si permetteva di correggere quanto aveva partorito la loro eccelsa mente; gli altri perché erano costretti a "ribattere" (riscrivere) gli articoli corretti. Questa figura, dunque, non c'è piú: gli strafalcioni che si vedono sui giornali cartacei (e su quelli in rete), un tempo imputabili all'ignoranza e alla svista del revisore-correttore, sono, oggi, esclusivamente opera dell'estensore dell'articolo (il merito o demerito, quindi, è esclusivamente dell'articolista). Oggi, insomma, leggere un giornale (cartaceo o in rete) è estremamente faticoso: virgole sparse qua e là come fossero del sale, orrori ortografici, concordanze spallate (sic!), periodi sospesi (che non finiscono), date errate, uomini che diventano donne e viceversa, personaggi storici collocati in epoche diverse, capoluoghi di regione errati, fiumi che diventano mari e viceversa, potremmo continuare...  

Da un quotidiano in rete:

Picchia a sangue la moglie:

non soddisfava i suoi desideri

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Correttamente: soddisfaceva. I composti di "fare" si coniugano come il verbo-madre (fare). Non si segua, per carità, quanto si può leggere ─ siamo allibiti ─ qui.

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LITORALE ROMANO

Spiagge, dal 1° settembre divieto di annegare: Raggi elimina i bagnini. L'appello: "Aspetti almeno la fine della stagione balneare"

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Correttamente: dal 1 settembre (senza esponente). Il primo giorno del mese è sempre un "ordinale", si scrive, quindi, come si pronuncia (si legge): primo settembre.

In proposito segnaliamo anche questo vecchio articolo.

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La parola proposta da questo portale: nictòbato. Aggettivo e sostantivo maschile, sinonimo raro di sonnambulo. Termine aulico composto con le voci greche "nics" (notte) e "bàino" (cammino), "cammino di notte", quindi. Si trova qui.


mercoledì 18 agosto 2021

Sgroi - 114 - L'italiano regionale di Firenze corretto o no?


di Salvatore Claudio Sgroi

 1. I trascorsi

Dovendo rispondere al rebus della frase se dormano io che ci posso fare? (cfr. intervento n. 112 del 15 agosto) adoperata da una ragazza nata a Siena, figlia di un avvocato, che presentava un problematico congiuntivo, ci siamo rivolti ad amici-colleghi toscanofoni per accertare se tale costrutto, a me (siciliano) estraneo e innaturale, faceva parte della loro competenza attiva e/o solo passiva, e come eventualmente lo spiegassero da linguisti.

 2. Gli informanti

Dei dodici "malcapitati" potenziali informanti, da me elicitati, otto hanno cortesemente risposto al mio quesito.

 2.1. Un toscanofono "educato"

Un colto toscanofono, peraltro non linguista, aveva così commentato:

 "Da bambino e da ragazzo dicevo anch'io 'se dormano', poi corretta da me in 'se dormono' per evitare canzonature vista la divergenza dalla norma dotta".

 2.2. Un fiorentinofono "e-gregio"

Un informante fiorentino -- con mia sorpresa, devo dire -- (intervento n. 113 del 16 agosto, § 4) aveva affermato di ignorare tale uso che non aveva mai sentito in Toscana:

 "una frase così non la uso nemmeno io [oltre te] (e penso che non si usi in nessun angolo della Toscana)".

 2.3. Un informante "informato sui fatti"

Un terzo informante non-toscano (ho poi scoperto) ma radicato da anni in Toscana mi aveva analiticamente informato sulla competenza linguistica di una "insegnante pisana" che usava frasi come "quando dormano è difficile svegliarli", mentre lo stesso uso era estraneo a studenti delle medie del "contado pisano" (cfr. intervento n. 113, su citato).

 2.4. Un informante "discreto"

Un quarto informante ha ora preferito mostrarsi "discreto" quanto ai suoi usi idiolettali, ed ha in maniera stringata commentato: "dormano non è congiuntivo".

 2.5. Informante sintetico

Un quinto informante, in una rapida, sintetica ma esauriente risposta, ha fornito tutti i dati pertinenti:

a) sul piano geografico la “forma in questione è assolutamente radicata e diffusa, in Toscana”;

b) sul piano diafasico generale si adopera “non solo in contesti informali”;

c) nello stesso tempo ha aggiunto: “Comunque anche per me è di regola nel parlato meno controllato”. Che io tendo ad interpretare nel senso che lui usa tale variante solo nel “parlato meno controllato”; il che mi è stato confermato in una successiva e-mail: "Per quanto mi riguarda, mi pare di censurarla nel parlato piú controllato";

d) sul piano metalinguistico, si tratta di “una estensione alle altre coniugazioni della forma dell'indicativo presente della prima”.

 2.6. Un informante tra linguistico e metalinguistico

Un sesto informante fiorentino ha intrecciato dati linguistici e metalinguistici per dar conto che nella nostra frase non si tratta di un congiuntivo:

"Ti rispondo basandomi sulla mia sensibilità di vecchio parlante".

"Un contesto come 'io che ci posso fare se lo chiamino [= cong.] o no' non è [per me] naturale".

Ovvero: "Uso verbi di prima coniugazione, perché, come sai, nell'uso fiorentino, anche a livello di italiano regionale, è comune l'estensione a tutte le classi verbali della desinenza di 3pl -ano al presente indicativo".

Da cui si può dedurre che la frase se dormano io che ci posso fare? fa parte della sua competenza nativa.

 2.7. Un informante "non-anonimo"

Ma l'informante che non è possibile lasciare come i precedenti nell'anonimato è Annalisa Nesi, che mi ha risposto per quanto riguarda l'italiano parlato a Firenze, con dati diversi sul piano metalinguistico, linguistico, etimologico, diatopico, diafasico, nonché normativo.

Metalinguisticamente, "si tratta di un presente indicativo e non di un congiuntivo. E' il noto fenomeno della III persona plurale dei verbi della II e III coniugazione che esce in -ano per analogia con la I coniugazione: cantano, bevono, vengono > cantano, bevano, vengano".

Né mancano ess. al riguardo: "Si sente dire ad esempio: queste mele mi piacci-ano di più di quelle; se non veng-ano, non me ne importa".

Etimologicamente, si tratta di un uso dialettale (non solo fiorentino) e normativamente percepito come "non corretto" nell'italiano regionale "meno sorvegliato":

 

"Il fenomeno è avvertito come dialettale, o almeno come non corretto, e appartiene, oltre che al fiorentino e ad altri dialetti toscani, all'italiano regionale "meno sorvegliato".

 

Questi dati sono ricavabili da un recente saggio (a me ignoto) da lei pubblicato: L'italiano regionale di Firenze, apparso in La piazza delle lingue. Firenze e la lingua italiana (Firenze, 29 settembre-2 ottobre 2016), n. 8, Atti a cura di Claudio Marazzini eAnnalisa Nesi, Firenze, Accademia della Crusca, 2019, pp. 57-70.

 

"Ecco cosa ho scritto di recente", lì a p. 63, ha puntualizzato la Nesi nell'e-mail.

 

(i) In primo luogo accenna ad usi antichi e rustici, diastraticamente marcati:

 

"Sul piano della morfologia verbale l'italiano di Firenze, ma anche di altre parti di Toscana, rifugge da forme, insieme antiche e rustiche (portonno, andonno) decisamente marcate verso il basso".

 

(ii) Quanto al registro, si sofferma quindi sulla nostra variante presente "in situazioni colloquiali":

 

"ma si ha resistenza in situazioni colloquiali di -ano per la 3a persona plurale dell'indicativo: leggano per leggono, scrivano per scrivono".

                                                                                              

(iii) Storicamente la Nesi fa anche presente che il fenomeno è stato segnalato dai puristi fin dall'inizio del '900. Si tratta infatti di un "fenomeno citato anche da De Amicis 1905, p. 55 e da [Fedele] Romani 1907 [Toscanismi], p. 40)".

 

(iv) Sul versante normativo, si sofferma sulla auto-percezione dei parlanti e sul loro giudizio di correttezza:

 

"Certo che la forma pare meno avvertita e censurata dai fiorentini, almeno a livello di dichiarazioni, infatti fra i casi di vengano registrati dalla LinCi nei capoluoghi toscani il numero più alto è a Firenze (5 informatori su 12). Ricordo il caso di un politico fiorentino nel cui parlare in pubblico il fenomeno spiccava anche alle orecchie degli stessi fiorentini.".

 

2.7.1. Uso deamicisiano errato perché dialettale

L'e-mail si conclude con la dichiarazione sulla propria competenza solo passiva del fenomeno: "Io non lo uso, non mi appartiene", probabilmente perché etimologicamente dialettale, in consonanza con la posizione espressa ne L'idioma gentile, di De Amicis (1905), da lei opportunamente ricordato, che qui cito:

                                                              

"Per insegnar la lingua ai tuoi fratelli d'Italia, che ti riconoscono maestro dalla nascita, devi guardarti anche tu dai dialettismi, non con altrettanta, ma con maggior cura degli altri; non devi lasciarti sfuggir mai, neppure una volta (e ti sfuggono non di rado)" leggano per leggono, temano per temono (p. 55).

 

2.8. Un informante "informato" ma estraneo all'uso fiorentino

Un ottavo informante mi ha accuratamente informato sulla diffusione geografica (fiorentina) del fenomeno e sulla sua spiegazione metalinguistica ("metaplasmo"):

 

"Caro Salvatore, mi segnali un fenomeno che ho costantemente nelle orecchie: il tipo 'dicano' per 'dicono' è proprio del parlato fiorentino ed è un metaplasmo con estensione della desinenza della 1^ coniugazione alle altre"

 

Nel contempo ha precisato di averne solo una competenza passiva, perché lui è di diversa area toscana, confermando così quanto indicato da L. Giannelli nella sua monografia dialettale sulla Toscana (19761, 20002), ricordata nell'intervento n. 113 del 16 agosto (§ 2.8 "Dialetto aretino"):

 

 Non fa parte delle mie abitudini perché sono aretino e nel parlato aretino c'è il fenomeno opposto, cioè l'estensione della desinenza della 3^ 'mangiono' per 'mangiano'."

 

Presentando il tutto in una prospettiva "contrastiva", suscettibile di approfondimento:

 

"E' uno dei tanti segni tangibili dell'incompatibilità degli aretini coi fiorentini. Questo come prima informazione, ma si può approfondire e allora bisogna fare un discorso completo sulle coniugazioni, che non si esaurisce in due parole".

 

2.9. Altri informanti, altre fonti

Altri potenziali informanti potrebbero ulteriormente arricchire di particolari questo costrutto di morfologia verbale, per es. sulla sua diffusione.

E così altri contributi scientifici sfuggitici. Al riguardo non possiamo non segnalare nello stesso volume sull'italiano regionale della Toscana (§ 2.7), il contributo di Paolo D'Achille Gli “errori” dei fiorentini. Lo stesso A. (non toscano) in L’italiano e la fiorentinità, ieri e oggi, in «La Crusca per voi», 54, 2017 - I, pp. 3-6, fa un breve accenno alla "possibile risalita di elementi locali anche in contesti 'italiani" (p. 5, colonna I), citando per quanto ci riguarda l'es. "leggano per leggono" (p. 5, colonna II).

 3. Qualche conclusione

Degli 8 toscanofoni che hanno risposto al mio invito, quello che più mi ha colpito è il fiorentino (§ 2.2) nella cui competenza (attiva e passiva) il costrutto riguardo sia al fiorentino vernacolare che al suo italiano locale è assente: un ulteriore indizio che una varietà linguistica non è mai geograficamente omogenea.

Delicato è il problema della norma (uso corretto/sbagliato), diversa da parte dei parlanti con/senza auto-censura e da parte dei grammatici secondo i diversi criteri esplicitati o meno.

Il fatto che l'informante "educato" (§ 2.1) si autocorregga "per evitare canzonature" o che la scelta marcata del parlante sia "di regola nel parlato meno controllato” (§ 2.5.c), ovvero nell'italiano regionale "meno sorvegliato" (§ 2.7), o che auto-censuri tale variante ("Io non lo uso, non mi appartiene" (§ 2.7.1), perché etimologicamente dialettale -- è ovviamente in tutti i casi una scelta più che legittima.

Ma stando agli usi della giovane senese (§ 1), dell'insegnante pisana (§ 2.3), del "politico fiorentino" (§ 2.7.iv), stando agli "usi radicat[i] e diffus[i]" in Toscana “non solo in contesti informali” (§ 2.5), ovvero in "situazioni colloquiali" (§ 2.7.i) -- sul piano normativo-- in un'ottica laica, non trattandosi di usi tipici dell'italiano popolare, non si può certamente sostenere che si tratti di usi "scorretti".

Ovvero chi usa tali varianti diatopicamente marcate non può essere normativamente discriminato da chi opta (legittimamente) per scelte diverse.

 

Sommario

1. I trascorsi

2. Gli informanti

2.1. Un toscanofono "educato"

2.2. Un fiorentinofono "e-gregio"

2.3. Un informante "informato sui fatti"

2.4. Un informante "discreto"

2.5. Informante sintetico

2.6. Un informante tra linguistico e metalinguistico

2.7. Un informante "non-anonimo"


2.7.1. Uso deamicisiano errato perché dialettale


2.8. Un informante "informato" ma estraneo all'uso fiorentino


2.9. Altri informanti, altre fonti

3. Qualche conclusione








martedì 17 agosto 2021

"Sú" (con tanto di accento)? Dipende... (e non è un errore)

 Isu, in funzione avverbiale, si può anche accentare e non è assolutamente un errore, al contrario di quanto si legge nel sito della Treccani in La grammatica italiana (e in altri "sacri testi").

«La grafia  con accento, anche se abbastanza diffusa, è scorretta e ingiustificata, perché non c'è possibilità di confusione con omografi (...)».

Il DOP, invece, è di parere diverso e chi scrive segue le sue indicazioni. Si veda qui.
Occorre distinguere, infatti, il su preposizione dal  avverbio. Tra i due su c'è una notevolissima diversità di intonazione, di suono e, quindi, di... accento.

Il su preposizione è, in generale, atono: raccogli i panni su uno stenditoio; guarda su quella cima. Il su con valore avverbiale è, invece, fortemente tonico: guarda sù, verso la cima; non andare sù.

Il  avverbiale, per tanto, si può accentare per mettere in evidenza la sua sonorità e nessuno, docenti di lingua compresi, potrà dire che è uno strafalcione perché la linguistica lascia ampia libertà di scelta a colui che scrive.

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La parola proposta da questo portale, ripresa dal "Nuovo De Mauro": zagaglia. Sostantivo femminile con il quale si indica un'arma simile alla lancia, ma di dimensioni ridotte. Si veda anche qui.