Nel vasto campo della nostra lingua, alcuni verbi non si limitano a descrivere azioni: raccontano intenzioni, tracciano confini, evocano visioni del mondo. “Imporre” e “proporsi”, apparentemente simili nella radice, disegnano invece due traiettorie opposte nel modo di affermarsi. Il primo irrompe, il secondo si offre. In queste noterelle ci addentriamo nel fascino sottile che distingue l'autorità dalla disponibilità, la decisione dalla speranza, perché anche il gesto linguistico, a volte, è una questione di stile.
Il nostro lessico è ricco di sintagmi verbali che sembrano incarnare lo stesso slancio, quasi i due volti di una medesima tensione espressiva. Imporre e proporsi, pur muovendosi entrambi nella sfera dell’affermazione e dell’iniziativa, si collocano agli antipodi quanto a direzione, volontà e intensità del gesto.
Il primo, Imporre, di origine latina, nasce dall’incontro fra in- e ponĕre, “porre dentro” o “porre sopra”, con una forza che non chiede ma decide. Il verbo irrompe nella frase come fa un decreto in un’aula: stabilisce, determina, modifica. Si impongono regole, idee, presenze. L’autorità si impone. Il silenzio si impone. Persino un’emozione può imporsi: forte, improvvisa, indiscutibile. Non c’è spazio per il dialogo; c’è l’azione che cala dall’alto, netta, irrevocabile.
Eppure imporre, nella sua “durezza”, conserva una nobiltà semantica: è il verbo delle scelte forti, delle dichiarazioni intransigenti, dei tratti netti che scolpiscono il paesaggio linguistico come incisioni. Imporre, dunque, non sempre è prevaricare: talvolta è solo voler essere, intensamente.
Di tutt’altro tono proporsi (anche questo di origine classica: da pro- e ponĕre). È un verbo riflessivo che porta con sé delicatezza e intenzione. Proporsi è mettersi avanti, ma senza irrompere, senza usare la “forza”. Si propone un’idea, ci si propone per un ruolo, ci si propone un obiettivo. È il verbo delle ambizioni gentili, degli inviti impliciti, delle presenze che non forzano ma attendono.
Nel verbo riflessivo proporsi risuona l’etica dell’attesa: il soggetto non occupa, ma offre. È il contrario speculare di imporre: dove uno irrompe, l’altro si presenta; dove uno stabilisce, ordina, l’altro suggerisce, consiglia.
Entrambi, come insediare e assediare, gravitano attorno al gesto del porre. Ma mentre imporre è il porre autoritario, proporsi è il porre dialogico. Tutt’e due mirano all’affermazione; ma il primo prende, il secondo spera.
È qui che la lingua, nella sua finezza, disegna traiettorie divergenti: il gesto è simile, ma l’intenzione lo trasforma. Imporre è affermarsi sopra, proporsi è offrirsi davanti. E tra i due c’è tutto lo spazio del rispetto, della forza, del desiderio.
Due verbi, due stili di esistere, dunque: c’è chi entra in scena con un colpo di tamburo e chi si propone con la grazia di un invito. Ma se la lingua è anche teatro, qual è il vostro ruolo? Siete più da “imporre con forza” o da “proporsi con arte”? Raccontateci i vostri verbi, le vostre scelte, il vostro stile: il dibattito è aperto… e non ha bisogno di permesso per cominciare. Il palco è vostro.

1 commento:
Per quanto mi riguarda, propormi - oltre che offrire me stesso ad altri - ha anche il significato di "manifestare (a me stesso) il proposito", ovvero quasi l'impegno, di fare qualcosa. Senza riflessivo, significa offrire ad altri idee, suggerimenti, indicazioni, nella speranza di essere utile.
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