Ci sono verbi – nel nostro meraviglioso idioma – che pur somigliandosi come fratelli - nel “corso della vita” - hanno preso strade diverse. Insediare e assediare sono tra questi: condividono la stessa radice latina, sedere (“sedersi”), ma divergono nel prefisso e nel destino semantico.
Insediare nasce dall’unione di in- e sedere, attraverso il sostantivo sedia, inteso non come semplice oggetto, ma come “sede”, “posto”, “dimora”. Il sintagma designa l’atto di collocare qualcuno o qualcosa in una posizione stabile, spesso con un tono ufficiale o istituzionale. Il nuovo rettore si è insediato nell’Ateneo con un discorso sobrio e incisivo. La comunità si è insediata nel borgo abbandonato, riportandolo in vita.
Ma il medesimo verbo può acquisire sfumature più neutre o persino sgradite, pur conservando l’idea di stabilizzazione: Il gelo si è insediato nei campi, rendendo impossibile la semina. Un gruppo di turisti si è insediato nella casa vacanze e non accenna a partire.
Assediare, invece, non deriva da ad- + sedere come si potrebbe pensare, ma è un rifacimento medievale del latino classico obsidēre, composto da ob- (“davanti, contro”) + sedere (“sedere”), con il significato di “porre l’assedio”, “occupare”, “bloccare”. Il verbo si è evoluto nel latino medievale, probabilmente influenzato dal sostantivo assedium (assedio), e conserva nella sua forma attuale l’idea di stazionamento ostile davanti a un luogo per impedirne l’accesso o costringerlo alla resa. Le truppe nemiche hanno assediato la città per settimane, tagliando i rifornimenti. La stampa lo assediava con domande, senza lasciargli il tempo di respirare.
Anche in senso figurato, assediare conserva la tensione del verbo: L’ansia lo assediava ogni notte, impedendogli di dormire. I pensieri lo assediavano come api impazzite attorno alla testa.
La differenza tra i due verbi è sottile ma profonda: insediare è entrare e stabilirsi, assediare è circondare e premere. Il primo implica una presa di posizione, il secondo una pressione esterna. Il comandante si è insediato nel palazzo (è dentro, ha preso possesso). Il nemico ha assediato il palazzo (è fuori, lo stringe d’assedio).
Eppure, entrambi raccontano una forma di occupazione: una legittima, l’altra ostile. La lingua li ha fatti divergere, ma la radice comune li tiene legati come due poli di uno stesso gesto: sedersi, sì, ma dove e con quale intenzione?

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