Il lessema sconcertante è un aggettivo spesso abusato o frainteso nel linguaggio comune. Si tende, forse per influsso mediatico o per eccesso retorico, ad adoperarlo in contesti emotivamente forti, associandolo a esperienze ripugnanti, terribili, drammatiche o clamorose. Ma questa distorsione semantica tradisce il significato autentico del termine, che merita di essere ricondotto al suo contesto originario.
L’etimologia di sconcertante è illuminante. Viene dal verbo sconcertare, che a sua volta nasce dalla combinazione del prefisso separativo s- con concertare. Quest’ultimo rimanda all’idea di accordo, di armonia come avviene, per esempio, in ambito musicale, dove “concertare” significa coordinare le diverse voci o strumenti affinché producano un insieme armonioso. Sconcertare, dunque, è l’opposto: rompere quell’armonia, disunire ciò che era coeso, creare disordine là dove c’era sintonia. L’aggettivo sconcertante assume così il significato di “che turba, che disorienta, che mette in imbarazzo o in confusione”. E lo fa in modo elegante, sottile, talvolta silenzioso, ma profondo: scuote le aspettative, incrina le certezze, insinua il dubbio.
Ciò che è davvero sconcertante non necessariamente è orripilante o tragico. Si tratta, piuttosto, di ciò che disorienta la mente o le emozioni, che lascia perplessi, interdetti, momentaneamente privi di una chiave di lettura adeguata. Un’affermazione paradossale può essere sconcertante; un comportamento inatteso da parte di una persona fidata può esserlo; persino un’opera d’arte innovativa può risultare sconcertante alla prima fruizione. Non perché siano negativi o disturbanti in senso assoluto, ma perché ci spiazzano, ci disorientano.
Confondere sconcertante con ripugnante, scioccante, orribile, o anche straordinario significa annullare quella sfumatura intellettuale ed emotiva che è, invece, il cuore del lessema. Il rischio è di trasformare un aggettivo raffinato e preciso in una formula generica e iperbolica, svuotandolo della sua efficacia.
In tempi in cui le parole sono spesso scagliate più che scelte, è un atto di resistenza culturale tornare alla precisione, alla cura del vocabolario. Dire “sconcertante” quando intendiamo “incredibile” e simili non ci rende più incisivi, solo più imprecisi. E impoverisce, a poco a poco, la ricchezza di una lingua, la nostra, tra le più articolate al mondo.
Conservare il significato profondo dei termini non è solo un esercizio da linguisti: è un gesto quotidiano di consapevolezza. Ogni parola che scegliamo è un riflesso del nostro pensiero e della nostra attenzione verso chi ascolta.
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“Capace di” o “capace a”?
Spesso siamo presi dal dubbio: si deve dire “essere capace di” o “essere capace a”? La forma corretta è “essere capace di” quando l’espressione è seguita da un verbo di modo infinito o da un sostantivo: Rossano è l’unico capace di risolvere problemi complessi; Giovanni sapeva quando tacere e quando colpire: era capace di astuzia come pochi. “Capace a”, anche se si incontra in qualche pubblicazione, non è una forma corretta in buona lingua italiana.
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