Esistono mestieri, con un nome, che conoscono tutti, e altri che fanno girare il mondo senza avere nemmeno il nome. Questa è la storia di uno di questi ultimi: il tecnico che veglia sul braccio segreto dell’elettricità, il pantografo, silenzioso interprete tra cielo e rotaia. In mancanza di una definizione ufficiale, abbiamo provato a crearne una, non con una scheda tecnica, ma con una favola. Così è nato il ferrotranpantografista: un neologismo necessario, forse eccessivo, certo affettuoso.
In una città fatta di binari lucenti e cielo trafitto da fili d'argento, i tram e i treni danzavano ogni giorno grazie a una magia invisibile: la Linea del Cielo, un intreccio di cavi aerei che portavano la corrente vitale a ogni veicolo su rotaia. Ma quella magia era fragile. Bastava un’oscillazione, un attrito fuori norma, e il pantografo si piegava come un ramo stanco.
Quando questo accadeva, nessuno sapeva bene a chi rivolgersi. Manutentore ferrotranviario era troppo generico.
Gli elettricisti scotevano la testa: “Troppo meccanico.” I meccanici sospiravano: “Troppo elettrico.” E nei documenti del ministero dei trasporti… quel mestiere non aveva nemmeno un nome.
Ma c’era un giovanotto. Si chiamava Gualtiero, aveva le mani segnate dal rame e un cacciavite che portava sempre con sé, come un pendaglio sacro. Non guardava solo in basso tra le ruote, né solo nei quadri elettrici: lui alzava gli occhi verso l’alto, lì dove viveva il pantografo, quel braccio snodato che sfiorava il cielo e raccoglieva la corrente con eleganza danzante.
Un giorno, davanti ad alcuni ferrotranvieri, confusi, Gualtiero sollevò lo sguardo e disse:
“Visto che nessuno ha mai dato un nome a ciò che faccio… lo invento io.”
Prese tre radici come fossero bulloni:
Tran (tram), per ricordare il mondo dei tram e il concetto di trasporto su rotaia.
Ferro, come omaggio al regno possente delle ferrovie, fatto di acciaio e volontà.
Pantografo, il cuore pulsante della sua vocazione, che tocca i cavi celesti e guida l’energia a terra.
E, infine, aggiunse ‘-ista’, come si fa per tutte le vere professioni, per consacrare il ruolo.
“Mi chiamerete ferrotranpantografista,” disse con voce calma ma vibrante. “Perché io veglio sulla corrente che danza tra cielo e rotaia.”
Da quel giorno, nessuno ebbe più dubbi.
Quando il filo tremava nel buio, quando il pantografo gemeva come un’arpa stonata e i treni si ammutolivano, tutti sapevano chi chiamare: lui, il tecnico che aveva dato un nome al proprio destino.
E da allora, in ogni deposito al calar della notte, c’è chi giura di udire il canto lieve dell’elettricità tornare a scorrere, come una carezza tra rotaia e cielo. È il segno che il ‘ferrotranpantografista’ è passato di lì.
I lessicografi potrebbero prendere in considerazione la neoformazione e lemmatizzarla nei vocabolari:
ferrotranpantografista - s. m. e f. (pl. m. -i). – Persona addetta alla manutenzione e riparazione dei pantografi ferrotranviari.
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
1 commento:
Che stile meraviglioso. Grazie.
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