giovedì 24 luglio 2025

Per colmare alcuni vuoti lessicali...


 
Proposta di neologismi per colmare il vuoto lessicale nella denominazione del lutto affettivo non codificato.

Nella lingua italiana (e non solo) esiste una singolare lacuna lessicale: la mancanza di termini univoci e condivisi per indicare soggetti colpiti da un lutto affettivo che esula dalle categorie tradizionalmente codificate. Se esiste il “vedovo” per la perdita del coniuge e “orfano” per la perdita dei genitori, mancano parole per indicare:

il genitore che perde un figlio,

il fratello o la sorella che perde un fratello o una sorella

il figlio che perde un genitore (oltre “orfano”, che ha limiti semantici e sociologici),

persino una variabile coniugale che tenga conto della pluralità affettiva contemporanea.

A partire da un lavoro di riflessione onomaturgica condotto con rigore linguistico e tensione etica, si propongono i seguenti neologismi:

Orbofiliale -  Composto da orbo (dal latino orbus, “privo di”) + filiale (da filialis, “relativo al figlio”). Significa “genitore che ha perso un figlio o una figlia”. Neologismo fortemente trasparente: evoca immediatamente la privazione di un legame genitoriale. Non è metaforico né eufemistico: è parola piena, che restituisce dignità nominativa a una condizione finora priva di nome.

 Orbofraterno - Orbo + fraterno. Indica chi ha perduto un fratello o una sorella. Mantiene chiarezza semantica, evitando sovrapposizioni improprie con altri termini affettivi. È adatto sia al contesto narrativo sia a quello terapeutico e commemorativo.

 Orbogenitoriale - Orbo + genitoriale. Indica il figlio o la figlia che ha perso il proprio genitore. Non si pone in concorrenza con “orfano”, ma amplia il registro linguistico disponibile, soprattutto nei contesti adulti, psicologici o memorialistici.

Orboconiugale - Orbo + coniugale. Termine che può affiancare o arricchire il concetto di “vedovo”, rimuovendone l’aspetto giuridico o burocratico e aprendo a contesti affettivi più fluidi. Può essere utile in ambiti letterari, psicologici o sociologici.

Questa proposta nasce dall'esigenza non solo linguistica, ma antropologica: dare un nome al lutto significa riconoscerne l’esistenza. Senza parole, l’esperienza rischia di restare invisibile, non trasmissibile, relegata al silenzio. L’adozione di questi neologismi potrebbe aprire nuove strade per la narrazione, la psicologia del lutto, la sociolinguistica e la lessicografia normativa.

Si invitano dunque studiosi e operatori linguistici a valutare l’adozione, la sperimentazione o la discussione pubblica di questi termini, affinché la lingua continui a essere specchio vivo dell’esperienza umana.












Queste proposte non sono conclusioni, ma aperture. Chiunque voglia aggiungere, riflettere, contestare o arricchire è benvenuto. La lingua vive perché si confronta.




(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)










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