mercoledì 23 luglio 2025

Tra il rumore e il silenzio: l’arte perduta dell’ascolto

 

Udire e ascoltare sono considerati sinonimi, ma c’è una distinzione fondamentale, spesso trascurata, tra i due sintagmi verbali. Una differenza non solo linguistica, ma anche esistenziale, che parla del nostro modo di stare nel mondo e con gli altri. Cogliere questo confine invisibile è il primo passo per rendere più autentiche le nostre relazioni e più profonda la nostra presenza.

Udire è un atto involontario. Accade. È la percezione fisica di un suono attraverso l’udito, la ricezione passiva di un segnale acustico. Se stai camminando per strada e senti in lontananza il rombo di una moto, tu l’hai udito. Non l’hai cercato, non ti sei concentrato: il suono è entrato nei tuoi sensi senza il tuo consenso.

L’etimologia ci accompagna: udire deriva dal latino audīre, che significa “percepire con l’orecchio”. Questo verbo latino è a sua volta legato alla radice indoeuropea au-, che richiama l’idea del suono e dell’ascolto. Da audīre nascono anche parole italiane come udito, uditore, audizione, e perfino l’inglese audio. Udire, dunque, è un lessema con antiche radici sonore, rimaste sorprendentemente fedeli al significato originario nel passaggio ai nostri giorni.

Ascoltare, invece, è un’altra musica. È un atto volontario, consapevole, spesso anche emotivo. Significa prestare attenzione al suono, ma soprattutto al significato che esso “veicola”. È l’apertura intenzionale a ciò che arriva: parole, “silenzi”, emozioni. L’etimologia qui ci fa viaggiare lungo un sentiero diverso: ascoltare viene, infatti, dal latino classico auscultare i.e. “porgere l’orecchio”. Il verbo auscultare è ancora usato in ambito medico per indicare l’ “ascolto” dei vari organi del corpo tramite lo stetoscopio, ma nel quotidiano significa molto di più: rivolgere sé stessi all’altro con attenzione autentica.

Facciamo un esempio semplice. Sei seduto al bar con un amico. Attorno ci sono suoni, piatti che tintinnano: li odi [o li udi (sic!)]. Ma quando il tuo amico comincia a parlarti di qualcosa che gli sta a cuore, allora lo ascolti. Sposti la tua attenzione da tutto il resto a lui. Lo guardi. Le sue parole ti arrivano non solo negli orecchi , ma anche “dentro”. Ascoltare è, in qualche modo, un atto d’amore.

Nella vita quotidiana confondiamo spesso questi due verbi, ma basta un attimo per coglierne la differenza: posso udire mille voci, ma scegliere di ascoltarne davvero solo una. Posso udire una canzone alla radio mentre guido, ma solo quando l’ascolto mi accorgo del testo, della melodia, del sentimento che trasmette.

Ascoltare implica presenza. Richiede uno sforzo, piccolo o grande, ma sempre attivo. È ciò che facciamo quando cerchiamo di capire davvero qualcuno, quando leggiamo tra le righe, quando cogliamo ciò che non viene detto. Udire è corpo; ascoltare è mente, cuore, volontà.

In un mondo rumoroso, dove tutti parlano e pochi ascoltano, forse oggi più che mai la differenza tra udire e ascoltare è il confine invisibile tra il vivere in superficie e l’entrare in profondità nelle cose.



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