giovedì 31 ottobre 2019

Parole "rovesciate"

Con parole rovesciate intendiamo quei vocaboli che nel corso della lunga storia - molto spesso avventurosa - assumono accezioni non solo diversissime, ma addirittura opposte (alla loro etimologia). Nel piluccare qua e là nell’immensa foresta del vocabolario della nostra lingua non ci proponiamo soltanto di esaminare dei casi curiosi, ma anche e soprattutto di trarre qualche insegnamento sul modo in cui il nostro lessico funziona e si viene, via via, mutando.
      Per dare subito un’idea di ciò che intendiamo dire prendiamo, per esempio, due vocaboli conosciutissimi come maestro e ministro: stando all’etimologia il primo dovrebbe essere di gran lunga più importante del secondo. Maestro proviene, infatti, dal latino "magis" (più) e dovrebbe avere, quindi, un’autorità superiore a quella del ministro che viene anch’esso dal latino, "minus",  ma col significato di meno (inferiore). Accade, invece, l’opposto.

       Ma vediamo di piluccare qua e là, per l’appunto, cominciando con quelle parole che i grammatici definiscono medie o indifferenti. Esempio tipico è la fortuna che nella sua accezione primaria indica la sorte, vale a dire quello che capita: una persona che tenta la fortuna sa in partenza che questa potrà esserle favorevole o avversa. Nell’uso comune, però, con fortuna si intende, o meglio si pensa esclusivamente alla sorte prospera. E solo a questa ci riferiamo quando adoperiamo l’aggettivo fortunato. Un viaggio, tuttavia, anziché fortunato può essere fortunoso in quanto, come recitano i vocabolari, presenta molte vicende, soprattutto tempestose e infelici: è stato un periodo fortunoso.      
     Altre parole medie che con il tempo hanno finito con l’orientarsi in un senso o nell’altro sono successo, che ha preso un buon significato e viceversa tempesta, che l’ha preso cattivo. In questo caso, per rendersi conto dell’evoluzione, è sufficiente confrontare un intervento tempestivo con un intervento tempestoso. E che dire dell’ascensore che fa regolarmente una corsa in salita (ascesa) e una in discesa? A rigore di termini si dovrebbe chiamare ascensore - discensore; però essendo più utile per salire che per scendere ha preso il nome dalla funzione predominante che, ovviamente, ha sopraffatto l’altra.
     E il significato di signore non si è modificato fino a rovesciarsi? Signore - come tutti sappiamo - viene dal latino "senior" che voleva dire anziano, più vecchio. Il grande rispetto che un tempo si aveva per gli anziani portò ad adoperare il termine come un titolo onorifico, e pian piano il vocabolo si estese a tutti coloro che avevano una certa autorità, finché si finì con il chiamare signori tutti quanti. L’antico significato è talmente nascosto che si può parlare benissimo di un giovin signore e non si corre neanche il rischio di offendere una bellissima ragazza chiamandola signorina che, stando all’etimologia, appunto, significa vecchierella. 
    Ancora. Prendiamo il verbo cacciare. Questo risale al latino "capere" che valeva catturare, prendere; il verbo esprime lo sforzo di prendere un animale per poi, naturalmente, cibarsene. Di qui si sviluppa l’idea della fuga e del conseguente inseguimento: l’animale cacciato corre via quanto può. Il significato primario del verbo, quindi, finisce con il rovesciarsi, perché quando cacciamo una persona dalla nostra vita, lungi da noi l’idea di sforzarci di prenderla; cerchiamo, al contrario, di levarcela di torno. 
   In qualche caso, però, il rovesciamento di significato delle parole è dovuto ai prefissi o ai suffissi che contribuiscono alla loro formazione. Il prefisso in-, per esempio, in lingua italiana (come del resto in latino) può avere un significato intensivo e un significato negativo: il prefisso in- di  incoraggiato è intensivo; quello di inopportuno, viceversa, è negativo. In linea di massima i due filoni sono paralleli, non si confondono. Vi sono, però, le solite eccezioni che confermano la regola.

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