di Alfio Lanaia *
Ecco un libro che ci libera dalle paure,
dai sensi di colpa e dall’ossessione degli errori che commettiamo quando
parliamo e quando scriviamo. Si tratta dell’ultima fatica di Salvatore Claudio Sgroi, Gli Errori ovvero le Verità nascoste, appena uscito per «Lingue e culture in Sicilia. Piccola Biblioteca per la Scuola», una collana che il Centro di studi filologici e linguistici siciliani di Palermo, diretto da Giovanni Ruffino, dedica al mondo della scuola e della cultura.
Lo diciamo subito, non si tratta dell’ennesimo libro sugli errori a cui l’editoria italiana ci ha abituato, anche se in esso vengono studiati in un vero e proprio “prontuario per l’uso linguistico” molti usi linguistici giudicati errati. È un libro, invece, che invita il lettore a dubitare che l’errore sia un oggetto “naturale”, materiale. Secondo Sgroi, infatti, l’“errore” è un uso linguistico giudicato errato in base a criteri di volta in volta diversi: etimologici, logicistici, estetici ecc. Esso in realtà è generato da una Regola nascosta e da scoprire rispetto a un’altra Regola che genera un uso linguistico valutato positivamente. Dietro ogni errore, dunque, vi è una regola altra, una “verità nascosta” che va cercata, scoperta ed esplicitata.
La prima parte del volume è dedicata a una classificazione degli errori [1. errore comunicativo di verbalizzazione, 2. errore diastratico (italiano popolare), 3. improprietà].
La seconda parte è una raccolta di 160 e più schede dedicate a un uso linguistico marcato e scandite dai seguenti item: a) Usi linguistici; b) Due Regole antagoniste; c) Due Genesi; d) Due Norme (usi sociali); e) Valutazione sociolinguistica (corretto-errato?).
In questo modo, dunque, l’autore ci fa scoprire il motivo, la regola (la verità nascosta) che spiega perché molti dicano/dicono egìda al posto di ègida, persuàdere, dissuàdere per persuadère, dissuadère, sàlubre per salùbre, o scrivano/scrivono qual’è invece di qual è, sognamo per sogniamo, e quali siano/sono le regole che ci fanno scegliere arancino o arancina, la tav o il tav, interdisciplinarità o interdisciplinarietà.
Di una frase come a me mi hanno fregato alla grande, che fa inorridire grammar-nazi e neopuristi (“a me mi” non si dice!), viene individuata la Regola antagonista (la verità nascosta), trattandosi di un costrutto con «dislocazione a sinistra» con valore enfatico: “a me” è il tema collocato in posizione prolettica e ripreso dal pronome “mi”, obbligatorio, in questo caso.
La «Genesi» di queste regole può essere di tipo “endogeno” oppure “esogeno”: così mettere la macchina nel garage è una frase endogena, mentre entrare la macchina (nel garage) è di tipo esogeno, in quanto di provenienza dialettale.
Detto ciò, come si fa a decidere quale delle due Norme sia/è quella errata? Sgroi propone un duplice criterio per etichettare l’uso di un parlante nativo come “errato”: a) è errato un testo poco comprensibile o incomprensibile di qualunque parlante, colto e incolto che sia; b) è errato un uso tipicamente e pressoché esclusivo dell’italiano popolare, in quanto socialmente privo di prestigio e ostacolo serio all’integrazione sociale.
Un libro, dunque, che non vuole confermare il lettore nei suoi pregiudizi e nelle sue certezze, ma vuole, al contrario, invitarlo a riflettere, a insinuargli il dubbio: se un uso linguistico, considerato errato, lo ritroviamo non solo diffuso nell’italiano dell’uso medio o nelle tante varietà regionali, ma anche nella migliore letteratura (De Roberto, Brancati, Sciascia) risulta veramente difficile classificarlo come errore tout court senza scoprirne la verità nascosta.
* Linguista e già docente a contratto
presso l'università di Catania
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