lunedì 28 ottobre 2019

Capricci...


«Il mio bambino oggi fa i capricci: ha la tonsillite; ma è generoso e non gli si può rimproverare nulla».
    Queste parole di una nostra cara amica ci hanno dato lo spunto per riprendere il nostro viaggio - attraverso l'immensa foresta del lessico italiano - alla ricerca di vocaboli "di tutti i giorni", vocaboli che conosciamo e adoperiamo "per pratica" ma di cui ignoriamo il significato "nascosto", quello insito nella parola. Cominciamo con il capriccio. 
    Chi non conosce questo termine? Se non altro basta aprire un qualsivoglia vocabolario del nostro meraviglioso idioma e leggere: voglia, ansia improvvisa, irragionevole, di breve durata; stravaganza, bizzarrìa. Bene, questo il significato "scoperto". Vediamo, ora, quello nascosto che ci rimanda all' "origine etimologica" del termine. 
   Diamo la parola a Ottorino Pianigiani (anche se, come ripetuto più volte, non gode di "affidabilità linguistica" di numerosi glottologi): «Capriccio, voglia o idea, che ha del fantastico e dell'irragionevole, e per lo piú in modo subitaneo, per leggerezza di natura o per poca riflessione. Probabilmente da 'capro' animale di bizzarra natura, di corto cervello, ovvero come se dicesse cosa inattesa che balza dal cervello, quasi salto di capra». Avete mai osservato il comportamento delle capre? Non è un comportamento... capriccioso? 
   E veniamo a generoso, altro termine noto la cui... notorietà ci riporta al latino "generosus", vale a dire che è di "buon lignaggio", tratto da "genus, generis", razza, genere ('nobile per nascita'). Il generoso, stando all'etimologia, è grande e nobile di cuore.


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Meglio o piú bene?

 Buona parte delle comuni grammatiche, in uso nelle scuole medie, trattando del comparativo di maggioranza  dell'aggettivo bene raccomandano di adoperare solo quello organico, "meglio", perché  "piú bene" è forma tremendamente errata. Se cosí  fosse dovrebbero mettere all'indice il "meno bene", la cui correttezza è inconfutabile.
   Si può scrivere e dire benissimo, per esempio, che Giovanni parla il francese piú bene di Antonio, anche se, per la verità, è preferibile la forma meglio. Per le leggi che regolano la nostra lingua entrambi i comparativi sono, dunque, corretti.
    È bene precisare, tuttavia, che l'uso di meglio in luogo di piú bene è da preferire quando il comparativo assume valore avverbiale con l'accezione di "in modo migliore": quel pacco è stato confezionato meglio (in modo migliore) dell'altro; si preferirà  piú bene quando l'aggettivo ha valore di sostantivo con il significato di un "bene maggiore": ha fatto piú bene lui alla nostra causa, in cinque giorni, che non Luigi in cinque anni.

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