sabato 21 dicembre 2024

Sgroi – 189 - Il congiuntivo: modo semantico o a-semantico?

 



di Salvatore Claudio Sgroi 

 

 

1. Il congiuntivo semantico 


Diciamo subito che la risposta alla domanda presente nel titolo di questo intervento richiede la preliminare distinzione tra cong. presente nelle frasi principali e cong. presente nelle frasi dipendenti. 

Nelle frasi principali non c’è dubbio infatti che il cong. sia un modo semantico, che trasmette cioè un preciso significato diverso da quello dell’indicativo, come dimostrano i seguenti esempi. 

(i). Cong. dubitativo, es. Che Michele abbia ragione?, Che Michele avesse ragione? 

(ii). Cong. desiderativo (o ottativo), es. (Magari) Avesse ragione Michele! 

(iii) Cong. imperativo, ess. Si accomodi (pure), Faccia pure! 

 

2. Il congiuntivo a-semantico? 


Contrariamente a quanto indicato dalla grammatica scolastica tradizionale, il cong. nelle frasi dipendenti non è un modo con valore semantico, come dimostrano ess. quali (i) Credo che Dio esista in bocca a credenti, (ii) Il fatto che Michele non sia potuto venire non è dipeso da lui, (iii) Mi è dispiaciuto che Michele non sia venuto, (iv.a) Sono sicuro che ha detto la verità e con prolessi (iv.b) Che abbia detto la verità ne sono sicuro. Opportunamente Gualberto Alvino nella sua Maledetta grammatica (Pref. di Claudio Giovanardi, Eboli (SA), Caffèorchidea 2023), respinge la spiegazione tradizionale ed errata del valore del cong. (modo dell’incertezza) rispetto all’indic. (modo della certezza), a proposito di ess. quali “Accadde che fosse accusato di rapina” (p. 75) e “Sono contento che tu sia stato promosso” (ibid.), dove “la promozione è certamente avvenuta” (ibid.) e dove il cong. “serve esclusivamente a segnalare la subordinazione” (ibid.). Pur non senza qualche successiva contraddizione, quando scrive che in ess. quali “Luca afferma che Piero sia stato promosso per compassione” (p. 116), “Lo stesso autore dichiarò che il romanzo fosse nato da un fatto realmente accaduto” (ibid.) “i verbi esprimono certezza, per cui consiglierei il modo indicativo” (ibid.).  

 

2.1. Cong. vel Indic.: variazione diafasica 


L’alternanza cong./indic. nelle frasi dipendenti indica invece un modo  formale, più elegante del congiuntivo rispetto all’indicativo, decisamente informale; si tratta cioè di una “variazione diafasica, così in ess. come (i) Non so se sia/è venuto, (ii) Non capisco perché me l’abbia/l’ha detto, (iii) Se l’avessi saputo l’avrei fatto / Se lo sapevo lo facevo. 

Opportunamente Gualberto Alvino nella citata Maledetta grammatica  fa correttamente presente che “il modo congiuntivo è più elegante dell’indicativo” (p. 121) e che “ambo i modi sono corretti” (ibid.) in frasi quali “È singolare che a stracciarsi le vesti sono/siano sempre quelli che non hanno mai letto un libro” (ibid.); “Ricordo il viaggio per Roma come uno dei più emozionanti che ho/abbia fatto” (p. 239).  

 

3. Un dubbio


In una coppia di frasi quali (i) Marco sostenne che io fossi colpevole” vs (ii) Marco sostenne che io ero colpevole”  citate da Alvino (p. 105), è invero forte la tentazione di avvalorare la spiegazione tradizionale, per cui in Marco sostenne che io fossi colpevole” la colpevolezza è dubbia e invece è certa in “Marco sostenne che io ero colpevole”.  

Ma la prolessi (i.a) “Che io fossi colpevole, Marco lo sostenne” e (ii.a) “Che io ero colpevole Marco lo sostenne”  serve a avvalorare la spiegazione della variazione diafasica del cong. più formale ed elegante dell’indic. informale. 

Una ulteriore variazioneMarco sostenne che Michele fosse colpevole” vs (ii) “Marco sostenne che Michele era colpevole”, con l’eliminazione cioè della voce narrante (“io”), suggeritami da un caro amico e collega, toglie ogni dubbio sulla validità della differenza diafasica del costrutto   

Quando hai un verbo come sostenere, orientato argomentativamente verso la realtà, che cosa può fare il congiuntivo?”, continua il mio amico. “Nel tuo esempio c'è la complicazione della polifonia: sostenere è attribuito a Marco, l'eventuale falsità al parlante. Ma se è così il gioco vale anche per la realtà presunta collegata all'indicativo.... In questo caso, però, il parlante entrerebbe in conflitto con se stesso. E se al posto di io metti un soggetto terzo, cambia qualcosa: “_Marco sostenne che Luca fosse colpevole vs Marco sostenne che Luca era colpevole. Alla fine, pensare che il congiuntivo retto da un verbo non abbia (sic) un valore proprio è l'ipotesi più razionale e coerente”.  

 

3.1. Tentazione 

La tentazione di opporre (i) “Marco sostenne che io fossi colpevole” (dubbio) vs (ii) “Marco sostenne che io ero colpevole” (certezza), concludendo, è probabilmente giustificata dal fatto che la frase (i) è come se fosse analizzabile in “Marco sostenne: che io fossi colpevole?”, ovvero un periodo con due coordinate: “principale + principale con cong. dubitativo”, mentre la frase (ii) “Marco sostenne che io ero colpevole” è un periodo formato da “una principale + una dipendente argomentale oggettiva”.

Sommario

1. Il congiuntivo semantico

2. Il Congiuntivo a-semantico?

2.1. Cong. vel Indic.: variazione diafasica

3. Un dubbio

3.1. Tentazione






























(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)

4 commenti:

Luca ha detto...

Intervento ineccepibile del Prof. Sgroi che spiega la natura vera del congiuntivo italiano: essenzialmente diafasica, alla faccia delle grammatiche scolastiche e delle maestrine della scuola dell'obbligo che continuano a promulgare fantagrammatica.

Detto questo, cercandola con il lanternino, un'eccezione ce l'avrei. Propongo questa situazione in cui, anche nella subordinata, il congiuntivo un pò di valore semantico ce l'ha.

Gabriel ammette che le moglie lo tradisce (suo malgrado è cornuto e lui non lo nega)

Gabriel ammette che la moglie lo tradisca (è cornuto, ma, per qualche motivo, gli va anche bene. Questi giovani d'oggi, chi li capisce?)

Vale anche la pena di notare che, nelle finali introdotte da perché, il congiuntivo è necessario per disambiguare dalle causali.

Ti ho chiamato perché tu sai <=> Ti ho chiamato perché tu sappia.

Ovviamente siamo tutti consapevoli che il congiuntivo è irrimediabilmente avvertito come formale e i parlanti ripiegano normalmente su "Ti ho chiamato per farti sapere" (o anche semplicemente "per dirti") risolvendo la questione senza compulsare le grammatiche.

Luca Passani

Anonimo ha detto...

Devo dire di non cogliere la differenza semantica indicata dall’attento lettore, dr. Luca Passani, tra la frase (i) “Gabriel ammette che la moglie lo tradisce (suo malgrado è cornuto e lui non lo nega)” e la frase (ii) “Gabriel ammette che la moglie lo tradisca (è cornuto, ma, per qualche motivo, gli va anche bene. Questi giovani d'oggi, chi li capisce?)”. Per me perfettamente “omo-semantiche”, la prima peraltro più naturale.

Non c’è dubbio invece riguardo alla differenza semantica tra il “perché” causale (‘in quanto’, ‘dal momento che’) in “Ti ho chiamato perché (‘in quanto’) tu sai” e il “perché” finale (‘affinché’) in “Ti ho chiamato perché (‘affinché’) tu sappia”. La differenza semantica dipende comunque dal diverso valore della congiunzione “perché” (‘in quanto’ e ‘affinché’) e non già dal cong./indic.

Salvatore Claudio Sgroi

Luca ha detto...

Per prima cosa, ringrazio moltissimo il Prof. Sgroi per la gentilezza nel rispondermi. Spero che non me ne abbia se aggiungo una considerazione (non un'obiezione) da linguista amatoriale che vede l'evoluzione della lingua come l'acqua di un fiume che scende a valle, e che trovandosi la strada sbarrata da una frana, trova alternative a volte buffe e inaspettate.
Da questo punto di vista, verissimo che 'perché' abbia due funzioni nettamente distinte, ma i parlanti non lo sanno! E mentre negli altri casi il congiuntivo può essere rimpiazzato dall'indicativo senza particolari problemi (proprio in virtù della sostanziale mancanza di "apporto semantico" descritta nell'articolo), a causa della polisemia di perché questo non può avvenire con le finali per il rischio di ritrovarsi con frasi ambigue. A quel punto, ecco farsi strada la perifrasi "per far fare qualcosa" (se non fossi un linguista amatoriale, probabilmente conoscerei il nome per identificare precisamente questo tipo di costrutto). Che dire? Ci sta. L'economia linguistica è una delle forze trainanti dell'evoluzione di una lingua (e forse uno dei motivi per cui l'inglese riesce a fare incursioni tanto brutali nel nostro "latino parlato").

Buon Natale a tutti.

Salvatore Claudio Sgroi ha detto...

I linguisti “amatoriali”, come si definisce il nostro lettore, hanno il pregio di obbligare i linguisti tout court a giocare a carte scoperte, ovvero a esplicitare, col vantaggio di far riflettere su aspetti ling. trascurati (qui il riferimento in 1.c all’it. pop.).

1.a) FINALE implicita solo con sogg. uguale nella princ.:

[io]Ti ho chiamato per dirtelo [io]

1.b). FINALE esplicita con sogg. diverso nella princ.:

“Ti ho chiamato perché (‘affinché’) tu lo sappia”,

1.c) con sogg. diverso sa di it. pop.

“Ti ho chiamato per saperlo tu”.

2) CAUSALE sempre esplicita, con sogg. uguale o diverso:

“Ti ho chiamato perché (‘in quanto’) tu lo sai”, perché io lo so;

3) Che i parlanti “non sappiano” delle “due funzioni nettamente distinte” del “perché” (finale e causale), non direi. Direi piuttosto che ne hanno una conoscenza inconscia, perché colgono la differenza semantica attraverso la sostituzione di perché con a) ‘dal momento che’ e con b) ‘affinché’, senza sapere che l’uno si definisce tecnicamente “finale” e l’altro “causale”.

Salvatore Claudio Sgroi