Vivevano una volta, nel villaggio di Diversità, due cugini molto diversi tra loro: Razziale e Razzista. Il primo era un giovane curioso e molto rispettoso. Amava esplorare le diverse culture e tradizioni locali. Studiava le lingue, amava le danze, i cibi e le storie di ogni gruppo etnico. Razziale era fermamente convinto che la diversità fosse una ricchezza e che conoscere le differenze tra le persone fosse un modo per costruire ponti di comprensione e amicizia. Se doveva trattare di questioni relative alle varie razze, lo faceva con rispetto e interesse, cercando sempre di imparare e valorizzare ogni tipo di cultura.
Razzista, al contrario, era un giovane
arrogante e chiuso mentalmente. Non rispettava le differenze e
credeva che la sua cultura fosse superiore a tutte le altre. Snobbava
e trattava male chiunque fosse diverso da lui. Adoperava parole
offensive per ferire gli altri. Credeva, insomma, che le persone
dovessero essere giudicate e trattate in base al colore della loro
pelle o alla loro etnìa.
Un giorno, nel villaggio, scoppiò una
furibonda lite tra i giovani che seguivano le orme di Razziale e
quelli che inneggiavano alle bravate di Razzista. Dovette intervenire
il maestro Linguaggio per sedare gli animi. Questi spiegò ai giovani
del villaggio che la parola "razziale" si riferisce a tutto
ciò che riguarda le razze umane e le loro caratteristiche. È un
termine neutro che può essere adoperato per descrivere studi,
politiche o questioni che riguardano le diverse etnìe. Si può
parlare, per esempio, di "diversità razziale" o di
"uguaglianza razziale" in modo positivo e rispettoso.
"Razzista", invece, ha un’accezione negativa e si
riferisce a comportamenti, atteggiamenti o ideologie che discriminano
o trattano ingiustamente le persone in base alla loro razza. Essere
razzisti – continuò il maestro - significa credere nella
superiorità di una razza rispetto alle altre e comportarsi di
conseguenza, causando dolore e divisione.
Alla fine tutti i
giovani del villaggio capirono l'importanza di usare correttamente i
termini "razziale" e "razzista". Promisero di
seguire l'esempio di Razziale, rispettando e valorizzando le
differenze, e di evitare i comportamenti di Razzista, che portavano
solo odio.
E così il villaggio di Diversità continuò a
prosperare in armonia, grazie alla comprensione e al rispetto
reciproco tra i suoi abitanti.
*
"La diversità
razziale è il colore che dipinge il mondo."
"L'armonia
razziale nasce dalla comprensione reciproca."
"La
ricchezza razziale è un tesoro da custodire con cura."
"Il razzismo è
un'ombra che oscura il cuore."
"Chi semina razzismo
raccoglie divisione."
"Il razzismo è un veleno che
corrode l'anima."
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
1 commento:
Trovo molto utile eolgtre che giusta questa distinzione tra razziale e razzista, e a questo proposito trovo interessante riferire cio' che un grande antropologo disse circa la differenza esistente tra il terminie "razzismo" e il termine "xenofobia".
Nel 1971 Claude Lévi-Strauss, nel corso della conferenza intitolata “Razza e cultura”, tenuta all’UNESCO, osò dire che vi era differenza tra razzismo e xenofobia. Spiegherà in seguito così la sua presa di posizione, allora tanto criticata: “Reagii contro la tendenza che consiste nel banalizzare la nozione del razzismo – dottrina falsa ma precisa – e che consiste altresì nel denunciare come razzisti l’attaccamento a determinati valori e la non predilezione per altri valori (atteggiamenti scusabili o biasimevoli, ma profondamente radicati nelle comunità umane)”.
Ciò che l’antropologo ci dice è che si dovrebbe tener conto dell’uomo qual esso è e non quale esso “dovrebbe essere”. Io aggiungerei che l’uomo può essere lentamente “migliorato” ma non certo riplasmato, cambiandone i meccanismi psicologici fondamentali, quasi fosse un robot. I nostri rivoluzionari rossi vi hanno provato, andandoci giù pesante, ma con risultati all’incontrario. Ed oggi, per risanare, rieducare (democraticamente), far tornare alla normalità i popoli che hanno vissuto sotto un regime comunista occorrono un paio di generazioni.
Secondo Lévi-Strauss “l’umanità ha saputo trovare la sua originalità solo in un certo equilibrio tra isolamento e comunicazione. Era necessario che le culture comunicassero, altrimenti si sarebbero sclerotizzate. Tuttavia, non dovevano comunicare troppo rapidamente per darsi il tempo di assimilare, di far proprio quello che attingevano all’esterno. La scommessa è che, secondo me, questo continuerà”. Egli previde che “man mano che vedremo l’umanità omogeneizzarsi, al suo interno si creeranno nuove differenze”. E indicò nella proliferazione delle sette in California e nella “crescente difficoltà di comunicazione tra le generazioni” i primi sintomi di questo fenomeno.
Più la società si fa grossa – spiegò – e meno trasparente e permeabile diviene al suo interno. In un Occidente omogeneizzato all’americana, io vedo manifestarsi questo fenomeno nella proliferazione del multiculturalismo e del “comunitarismo”, che spezzetta la Nazione in clan, comunità etnoreligiose, centri di interesse, movimenti, sette, gruppi transnazionali… Oggi su tutte spicca la “comunità” LGBTQ+ di fronte alla quale inginocchiarsi è d’obbligo. Secondo Lévi-Strauss, la lotta “contro ogni forma di discriminazione”, pur in apparenza lodevole, si inscrive nella stessa dinamica che “convoglia l’umanità verso una civiltà mondiale, distruttrice di quei vecchi particolarismi ai quali spetta l’onore di aver creato i valori estetici e spirituali che aggiungono valore alla vita, e che noi raccogliamo preziosamente nelle biblioteche e nei musei perché ci sentiamo di meno in meno capaci di produrli”.
Scrisse inoltre che “L’etnologo esita a credere, benché vi si senta spinto da ogni dove, che la diffusione del sapere e lo sviluppo della comunicazione tra gli uomini riusciranno un giorno a farli vivere in buona armonia, nell’accettazione e nel rispetto della loro diversità”.
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