sabato 25 gennaio 2025

La resistenza agli anglicismi 

 


di Claudio Antonelli (da Montréal)

Per molti, in Italia, gli anglicismi sono inarrestabili. In Francia, invece, esistono regole dirette ad impedire l’abuso di anglicismi, e di esse è fatto un uso efficace grazie all’Académie française e a governanti che nonostante i tanti difetti mai e poi mai abbasserebbe la dignità della propria Nazione dando un nome inglese ad una sua legge. Del resto, il computer in Francia si chiama ordinateur, mentre il mouse è chiamato souris. Di che far scompisciare gli italiani… Nel linguaggio istituzionale in Francia non sono ammessi termini che non siano francesi. In Québec, dove io risiedo, l’Office québécois de la langue française produce lessici per fornire l’equivalente francese dei termini inglesi, con continui aggiornamenti. In Italia, il minimo tentativo di protezione della lingua nazionale suscita sarcasmi e derisioni, non solo, ma persino denunce e accuse di voler far rinascere il fascismo. Un fascismo che è vivo e vegeto, allora, in Svizzera, in Francia, in Belgio, in Spagna e in tutti quei paesi dove esistono regole dirette a proteggere la lingua nazionale. 

Tentativi di italianizzare certi termini talvolta avvengono nel Bel Paese, grazie ad iniziative estemporanee. Ad esempio “to set” (predisporre, configurare) ha generato settare, e “to master” ha fatto nascere masterizzare (“fare copie di un disco ottico”), “to implement" (realizzare, condurre a termine, specie nel campo informatico) ha dato luogo a implementare, e "to post" ha dato nascita ad un italianissimo postare. Questi adattamenti, secondo me, indicano la strada da seguire. So che la cosa farà sobbalzare gli ossessionati dal “suona bene - suona male” e alle orecchie dei quali sia killer che killeraggio suonano molto bene, vintage procura loro addirittura un orgasmo, mentre settare (eppure abbiamo già rassettare) e masterizzare danno loro i brividi e mandano i loro nervi in tilt. 

L’inglese, prescindendo dalla sua efficacia comunicativa, è la lingua di scelta per gli italiani a causa anche del presunto innalzamento culturale ch’essa dà a chi la usa. È la lingua del padrone se proprio vogliamo, e quindi anche i subordinati ne fanno uso tra di loro nei quartieri della servitù. Ma in cucina, fortunatamente, la nostra lingua ricchissima di termini anche dialettali, designanti la grandissima varietà di alimenti e specialità, non teme rivali. Basti pensare alla varietà dei tipi di pasta, ognuno col suo glorioso nome, cui io contrappongo l’hot dog simbolo della cucina a stelle e strisce. E a questo proposito posso dire che in un mio articolo proposi di ribattezzare “cane caldo” l’hot dog, seguendo l’ammirevole esempio linguistico dei franco-quebecchesi che hanno coniato, con successo, il termine “chien chaud”. 

 Se l'uso dell’inglese da parte del potere e degli intellettuali e da parte del popolo fosse dovuto unicamente alla capacità espressiva dell’inglese, noi non troveremmo anglicismi erronei o imprecisi, oppure ridotti ad una sola delle connotazioni che hanno in inglese. Basti pensare alla parola box, di cui gli italiani non si servono mai nel senso di scatola che pur è il suo uso più diffuso nella lingua originaria. Il termine trolley, nell’uso italiano, si riferisce unicamente alla valigia, la normale valigia provvista di rotelle. Boss è usato soprattutto in riferimento alla malavita. Qualunque malavitoso per gli italiani merita l’appellativo di boss. Da parte mia non dirò, né in italiano né in inglese, quale appellativo meriterebbero questi italiani pateticamente e balordamente aspiranti anglofoni. 



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)


4 commenti:

Pier Paolo Falcone ha detto...

Qualche tempo fa (12 gennaio) ho segnalato quanto segue:
temo che, ormai, chi si ispira alla perfida Albione e alla sua figlia d’oltre Atlantico nel proprio eloquio stia superando ogni ragionevole limite: non si tratta più solo di vocabolario, ma anche di fonetica.
Mi spiego: quattro giorni fa, nel corso di un telegiornale, la lettrice – parlando di intelligenza artificiale – ha citato l’acronimo “ài éi”; ha cioè pronunciato in inglese l’italianissimo IA. Ignora forse la suddetta che l’acronimo inglese è esattamente l’opposto, cioè AI? O forse l’intelligenza artificiale le ha fatto perdere quella naturale?
La stessa signora, ieri, ha parlato tranquillamente di USA, senza sentire il bisogno di fare sfoggio della propria pronuncia inglese (che in questo caso sarebbe stata adeguata).

Anonimo ha detto...

Antonelli (?), l'aver soggiornato a Ladispoli e trascorso un anno sabbatico in Italia (o altre amenità simili) non giustifica la sua maleducazione.
G. Verna

Claudio Antonelli ha detto...

Questa sua osservazione mi fa venire alla mente, mutatis mutandis, la sigla OTAN che in italiano sta per “Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord”. Ma OTAN è una sigla che gli italiani mai usano. È stato l’utero linguistico in affitto inglese ad aver dato la luce, anche per noi, a NATO = “North Atlantic Treaty Organization”.
In francese l’“Organisation du traité de l'Atlantique nord“ è all’origine invece di OTAN. In spagnolo l’“Organización del Tratado del Atlántico Norte” genera OTAN. Ma nella Penisola, da sempre “anello debole della NATO” (ma molto meno oggi con la Meloni), l’OTAN venendo alla luce è linguisticamente degenerato per noi in NATO.
Non dispiaccia la cosa alla Meloni, ma noi usciamo per un momento dalla NATO.
Similmente gli italiani, disposti ad anglicizzare tutto, usano l’acrostico AIDS al posto di SIDA = Sindrome da immunodeficienza acquisita. Gli spagnoli logicamente dicono “el sida”, che sta per “Síndrome de inmunodeficiencia adquirida”, e cosi’ fanno i francesi, per i quali “le sida” è la “Syndrome d'immunodéficience acquise”. Gli italiani sono invece degli incondizionati di “aids”, perché rifiutano l’aid di chi inutilmente cerca di istruirli sulle stranezze del loro anglo italiano.

Claudio Antonelli ha detto...

Ma quale maleducazione? A cosa si riferisce? Con quella mia risposta, che lei ridicolizza, io ho voluto semplicemente controbattere alla tesi secondo la quale chi vive all’estero non avrebbe che i giornali per giudicare della lingua italiana parlata nella Penisola. Tutto qui. Visto che lei insiste sul mio cognome “Antonelli”, al quale lei appone, molto stranamente, un punto interrogativo quasi che fosse un cognome abusivo, ebbene le diro’ che non lo condivido con Giuseppe, il noto linguista, bensi’ con Laura Antonelli, la mia compianta sorella (morta a Ladispoli), un tempo attrice famosa. Concludo dicendo che non capisco il suo livore nei miei confronti.