martedì 7 gennaio 2025

C'è accidente e... accidente


Il sintagma "accidente", come buona parte dei lessemi del nostro idioma, ci porta direttamente al cuore della lingua latina. In italiano moderno, "accidente" si può catalogare tra le parole polisemiche perché può significare cose diverse a seconda del contesto in cui viene utilizzato, ma le varie accezioni ci rimandano, tutte, all'idea di un cambiamento improvviso o di una modifica.

In un contesto colloquiale, per esempio, quando diciamo "accidente", ci riferiamo a un malanno o a una disgrazia che capita improvvisamente. L'origine del sostantivo – come accennavamo all’inizio – risale al verbo latino "accidĕre", che significa "accadere", "succedere" e simili. Questo termine è rimasto nell'italiano per designare eventi negativi che accadono senza preavviso e portano conseguenze spiacevoli. Quando qualcuno, in un momento di rabbia, esclama "che ti venga un accidente!" sta augurando a qualcun altro di subire un'improvvisa disgrazia o malattia.

T
uttavia, il lemma in oggetto acquisisce un significato completamente diverso quando entriamo nel campo della linguistica, ecco perché parlavamo di polisemia. In questo ambito parliamo di "accidenti" (meglio l’uso del plurale) ossia delle modificazioni morfologiche che le parole subiscono; queste modificazioni sono chiamate anche "determinazioni flessive". Prendiamo come esempio il verbo "amare" quando cambia forma in "amo" (prima persona singolare del presente indicativo) o "amiamo" (prima persona plurale), queste sono tutte manifestazioni di accidenti linguistici.

Vediamo, per maggiore chiarezza, come queste due accezioni di "accidente" possano essere collegate attraverso l'idea di un cambiamento improvviso. In ambi i contesti, sia che si parli di un malanno inatteso che colpisce una persona sia che si parli di un mutamento grammaticale che altera la forma di una parola, l’ "accidente" rappresenta un cambiamento significativo e improvviso.

Q
ualche altro esempio ancora. Quando qualcuno dice "mi è venuto un accidente", possiamo ‘visualizzare’ un evento improvviso e sfortunato, come un mal di testa o un attacco di febbre, che stravolge la giornata. Allo stesso modo, quando in linguistica osserviamo come il verbo "amare" si trasformi in "amo" o "amiamo" vediamo come la forma verbale cambi per riflettere le necessità grammaticali del contesto, proprio come un accidente “salutare” altera improvvisamente il benessere di una persona.


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 Ancora un verbo - a nostro modo di vedere - adoperato, molto spesso, impropriamente e con l’avallo di buona parte dei vocabolari. Stiamo parlando del verbo procurare, il cui significato proprio è “ottenere”, “fare avere”, “procacciare” e simili: ti procurerò il denaro necessario per il viaggio. Alcuni lo adoperano dandogli un significato che, ripetiamo, a nostro avviso non ha: “causare”, “provocare”, “arrecare”, “cagionare” e simili. Si legge, spesso, sulla stampa: «L’alluvione ha procurato ingenti danni al tetto», oppure «L’ansia gli ha procurato intere notti in bianco». In casi del genere i verbi appropriati si possono scegliere tra quelli su menzionati, vale a dire “arrecare”, “provocare”, “causare” ecc.



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)




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