Il sintagma "accidente", come buona parte dei lessemi del nostro idioma, ci porta direttamente al cuore della lingua latina. In italiano moderno, "accidente" si può catalogare tra le parole polisemiche perché può significare cose diverse a seconda del contesto in cui viene utilizzato, ma le varie accezioni ci rimandano, tutte, all'idea di un cambiamento improvviso o di una modifica.
In un contesto colloquiale, per esempio, quando
diciamo "accidente", ci riferiamo a un malanno o a una
disgrazia che capita improvvisamente. L'origine del sostantivo –
come accennavamo all’inizio – risale al verbo latino "accidĕre",
che significa "accadere", "succedere" e simili.
Questo termine è rimasto nell'italiano per designare eventi negativi
che accadono senza preavviso e portano conseguenze spiacevoli. Quando
qualcuno, in un momento di rabbia, esclama "che ti venga un
accidente!" sta augurando a qualcun altro di subire
un'improvvisa disgrazia o malattia.
Tuttavia, il lemma in
oggetto acquisisce un significato completamente diverso quando
entriamo nel campo della linguistica, ecco perché parlavamo di
polisemia. In questo ambito parliamo di "accidenti" (meglio
l’uso del plurale) ossia delle modificazioni morfologiche che le
parole subiscono; queste modificazioni sono chiamate anche
"determinazioni flessive". Prendiamo come esempio il verbo
"amare" quando cambia forma in "amo" (prima
persona singolare del presente indicativo) o "amiamo"
(prima persona plurale), queste sono tutte manifestazioni di
accidenti linguistici.
Vediamo, per
maggiore chiarezza, come queste due accezioni di "accidente"
possano essere collegate attraverso l'idea di un cambiamento
improvviso. In ambi i contesti, sia che si parli di un malanno
inatteso che colpisce una persona sia che si parli di un mutamento
grammaticale che altera la forma di una parola, l’ "accidente"
rappresenta un cambiamento significativo e improvviso.
Qualche
altro esempio ancora. Quando qualcuno dice "mi è venuto un
accidente", possiamo ‘visualizzare’ un evento improvviso e
sfortunato, come un mal di testa o un attacco di febbre, che
stravolge la giornata. Allo stesso modo, quando in linguistica
osserviamo come il verbo "amare" si trasformi in "amo"
o "amiamo" vediamo come la forma verbale cambi per
riflettere le necessità grammaticali del contesto, proprio come un
accidente “salutare” altera improvvisamente il benessere di una
persona.
***
Ancora un verbo - a nostro modo di vedere - adoperato, molto spesso, impropriamente e con l’avallo di buona parte dei vocabolari. Stiamo parlando del verbo procurare, il cui significato proprio è “ottenere”, “fare avere”, “procacciare” e simili: ti procurerò il denaro necessario per il viaggio. Alcuni lo adoperano dandogli un significato che, ripetiamo, a nostro avviso non ha: “causare”, “provocare”, “arrecare”, “cagionare” e simili. Si legge, spesso, sulla stampa: «L’alluvione ha procurato ingenti danni al tetto», oppure «L’ansia gli ha procurato intere notti in bianco». In casi del genere i verbi appropriati si possono scegliere tra quelli su menzionati, vale a dire “arrecare”, “provocare”, “causare” ecc.
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