giovedì 28 novembre 2019

Fatturare e adulterare


Breve viaggio attraverso la foresta del vocabolario alla ricerca di parole omofone (parole che hanno la medesima grafia e il medesimo suono) ma di significato diverso di cui la nostra lingua è molto ricca. Prendiamo, per esempio, il termine fattura, parola omofona, appunto, ma con diversi significati.
     Quello più comune è noto a tutti; se non altro basta aprire un qualsivoglia vocabolario e leggere: «l’atto e l’effetto del fare; l’opera di artigiani in genere e lista nella quale è annotato l’importo delle spese occorse per compiere un lavoro e quello richiesto, da chi l’ha eseguito, per la sua prestazione».
     Ma fattura vale anche stregoneria, malia. C’è fattura e… fattura, quindi. Questa stessa parola, dunque, come può contenere significati così diversi tra loro? La diversità è solo apparente in quanto la matrice è unica: il latino factura, tratto da factus, participio passato di facere (fare). A questo punto possiamo dire che la fattura, propriamente, è l’ azione del fare.
     Un sarto, per esempio, quando fattura un abito non compie l’azione del fare (un vestito)? Quindi lo… fattura. La medesima cosa vale per la fattura commerciale. Colui che compila la lista del lavoro svolto con il relativo costo non fa altro che compiere l’azione del fare… la lista. Bene. La medesima cosa fa colui che compie una stregoneria.
     In origine, però, la fattura non valeva stregoneria come la intendiamo oggi, bensì fare sacrifici agli dèi, attendere alle cose sacre. E in latino si diceva, infatti, facere rem sacram, fare una cosa sacra, vale a dire compiere l’azione del fare una cosa sacra operando con la mano. Di qui il significato estensivo di compiere l’azione del fare filtri, incantesimi e via dicendo. Da questa azione è nato il verbo denominale fatturare con i relativi significati: annotare in fattura le vendite effettuate; compiere un incantesimo; affatturare e manipolare; adulterare; sofisticare; alterare una sostanza mescolandovi materie estranee.
     A questo proposito occorre notare, però, che non sempre adulterare e fatturare sono sinonimi l’uno dell’altro, vale a dire che non necessariamente fatturare ha un valore negativo come il cugino adulterare. E spiega benissimo questo concetto Giuseppe Cusmano nel suo Dizionario metodico-alfabetico di viticoltura ed enologia. Vediamo.
     «Un vino può essere adulterato, e può essere fatturato. Si adultera un vino aggiungendogli sostanze nocive alla salute, come acido solforico, fucsina (un colorante, ndr) ecc.; si fattura unendogli sostanze innocue alla salute, come alcol, zucchero».
     Di matrice diversa, invece, le due accezioni di scampo, altra parola omofona incontrata in questo viaggio. Il primo significato, quello di salvezza da un pericolo, da un grave rischio viene dal verbo scampare, composto della particella s e il sostantivo campo e propriamente vale uscir salvo dal campo (di battaglia): non c’è più scampo.
     La seconda accezione, quella di crostaceo marino commestibile (scampo, appunto), proviene da una voce veneziana composta sempre della particella s più il sostantivo greco hippocampos e divenuto scampo per la caduta delle sillabe iniziali hippo


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La parola proposta da questo portale e non a lemma nei vocabolari dell'uso: nebulento.  Aggettivo denominale che sta per "nuvoloso", "nebbioso", tratto dal  latino  nebula (nuvola).

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La lingua "biforcuta" della stampa

Politica|

La deputata Wanda  Ferro nominata commissario regionale di Fratelli d'Italia in Calabria
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Forse i titolisti del giornale non sanno che nella lingua di Dante il femminile di commissario è commissaria. Ora lo sanno.
"Sapere.it" (De Agostini): Il femminile regolare di commissario è commissaria, e così si può chiamare una donna che abbia il compito o il ruolo di commissario. Alcuni preferiscono però chiamare una donna commissario, al maschile, specialmente se il ruolo è di alto livello. Si tratta di una scelta che non ha basi linguistiche ma sociologiche, e che comunque può creare, nel discorso, qualche problema per le concordanze.



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