È una Regola scolastica tradizionale [R-1] ben diffusa quella secondo cui i monosillabi omografi, ma con significati diversi vanno distinti mediante (segn)accento, così dà (verbo) vs da (prep.), -- è (verbo) vs e cong., -- là avv. vs la art., -- lì avv. vs li (pron., clitico), -- né avv. vs ne pron., -- sé pron. vs se cong., sì avv. vs si pron., -- tè s.m. vs te pron., ecc.
Così si legge infatti nella Grammatica istituzionale dell'italiano di L. Serianni (1988): "L'accento grafico deve essere segnato [...] sui monosillabi che rischierebbero di confondersi con omografi" (ried. 1997, I § 177). E così si ribadisce nella sua Prima lezione di grammatica (Laterza 2006): "Quanto all'accento obbligatorio, esso va, com'è noto, [...] su un ben definito gruppo di monosillabi di grande frequenza, per evitare di confonderli con gli omografi: dà, è, là, lì, né, sé, sì, tè (e [...] ché 'perché')" (p. 115).
In tali casi l'accento grafico, ovvero il segnaccento, avrebbe funzione non fonica ma morfo-semantica. Si tratterebbe quindi di un morfo-grafo, ovvero di una Regola-1 [R-1] morfo-semantica, facile anche da memorizzare per il suo esplicito riferimento al significato.
A questo punto però L. Serianni nella citata Grammatica (1988) osserva -- logicisticamente -- che è "Senza reale utilità la regola [1] di non accentare sé quando sia seguito da stesso o medesimo, giacché in questo caso non potrebbe confondersi con la congiunzione" (ried. 1997 I§ 178). E quindi a suo giudizio: "è preferibile non introdurre inutili eccezioni e scrivere sé stesso, sé medesimo".
Nella Prima lezione l'A. definisce tale regola "una regoletta inutile e fastidiosa" (p. 115). Ritiene "un argomento fallace" la giustificazione dell'annullamento della distinzione semantica in "se stesso" data la presenza di stesso. L'ambiguità si ripresenterebbe peraltro nel caso di se [io] stéssi, se [lui] stésse.
Nel Nuovo Devoto-Oli [Serianni-Trifone] 2018, nel riquadro delle "parole minate" con stesso, si ribadisce che "la regola di non accentare sé davanti a stesso non ha una reale utilità e introduce una eccezione che invece di semplificare le cose finisce per complicarle".
Per C. Marazzini nell'appendice al Vocabolario italiano di E. De Felice - A. Duro (SEI 1993) "la grafia se stesso, senza accento, pur largamente utilizzata nell'italiano d'oggi, non risponde alla reale pronuncia [?] ed è, o può essere, equivoca" (p. 2287).
Per il Treccani-Simone (2005-2009) "il pron. [sé] è scritto spesso, ma senza valide ragioni che lo giustifichino, senza accento: se stesso, se medesimo".
Nel Primo tesoro della lingua letteraria italiana del Novecento, comprendente 100 testi del Premio Strega, apparsi tra il 1947 e il 2006 (De Mauro 2007), "se stesso" è presente in 92 opere con 879 occorrenze; "se stessa" in 77 opere con 459 occorrenze; (scartiamo i polisemici "se stessi" e "se stesse").
La variante "se medesimo" in 9 opere con 9 occorrenze; "se medesima" in 2 opere con 3 ess.; "sé medesimi in 4 opere con 6 occorrenze; "se medesime" in 2 testi con 2 ess.. A fronte "sé medesima" in 2 opere con 3 occorrenze; nessun es. di "sé medesimo/-i/-e".
Peraltro nel Gattopardo lampedusiano 1959 accanto a un es. di "sé stesso" ("Di colpo vide sé stesso come una persona canuta"), ne occorrono 13 non accentati: "se stesso" (10 ess.), "se stessa" (2 ess.) e "se stessi" (un es.). Il che farebbe pensare a un refuso.
In realtà, una verifica nel testo del Gattopardo, dattiloscritto in parte, com'è noto, da Francesco Orlando, alla base dell'edizione postuma curata da G. Bassani, e una verifica nell'autografo ("completo") di Tomasi di Lampedusa (donatici in fotocopia più di 20 anni fa da Gioacchino Lanza Tomasi), consentono di accertare che la norma grafica di Tomasi di Lampedusa è stata sempre quella con segnaccento, per di più grave e non acuto: "sè stesso/-a/-i/". La grafia quindi "se stesso" è dovuta a una normalizzazione dell'editore, Giorgio Bassani, che l'aveva adottata per es. nei 24 ess. delle sue Storie ferraresi (1956): "se stesso" (4 volte), "se stessa" (13), "se stessi" (5, pronominali), "se stesse" (2, pronom.).
Nell'edizione bassaniana (1959) del Gattopardo l'es. accentato di sé stesso, più che un refuso, si spiega quindi in quanto sfuggito alla normalizzazione del curatore. Nell'edizione standard 1969 del Gattopardo ("completo"), il "sè stesso" è invece stato secondariamente normalizzato riguardo al segnaccento, passato da grave in acuto ("sé stesso").
Infine, nell'edizione "completa" (1969), il "sé stessi" non appare più in seguito a un ritocco della frase ("gli avvenimenti in sè stessi" del dattilo erano infatti diventati nell'autografo "gli avvenimenti che si preparavano").
Nell'ambito lessicografico, prevale il riconoscimento del carattere normativo delle due varianti. Per De Mauro 2000 se stesso/medesimo: "è considerata tradizionalmente più corretta la grafia senza accento".
Lo Zingarelli 2019 sub accento ricorda che sé stesso "si può anche scrivere senza l'accento"; idem sub sé; mentre sub "Errore" nella "Nota d'uso" giudica "corretto" se stesso e "preferito" sé stesso.
Per Sabatini-Coletti 2007 sé "si può non accentare prima di stesso, medesimo".
L'Accademia della Crusca nella risposta di M. Cainelli (2007) dichiara che "è preferibile considerare non censurabili entrambe le scelte".
Invece attardato è Garzanti-Patota 2013: "può anche, se pur meno correttamente, essere scritto senza l'accento". Per Canepari 2000 (il DiPI) sarebbero "assurdi e cervellotici" se stesso, se medesimo. Per il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, "frequenti ma non giustificate le varianti se stesso, se medesimo, invece di sé stesso, sé medesimo".
A. Viviani alla voce Accento nell'Enciclopedia dell'italiano (Treccani 2011, anche on line) osserva che "di solito si sceglie la soluzione senza accento se stesso/-i, se medesimo", che "non ha [!] motivazione né grafica né fonologica", sicché "il sé di sé stesso si scrive con accento (come in questa Enciclopedia)" (p. 1640). Analogamente P. Petricola alla voce se stesso nella stessa sede.
La coppia mi (nota) lessema tonico e mi (pronome) lessema atono -- privi di ogni diacritico -- dimostra chiaramente come il paradigma delle note musicali si caratterizza per la sua autonomia rispetto alle Regole-1/2 della funzione semantica/fonica del segnaccento.
In due ess. su sette, la Regola-1 sembrerebbe agire nel caso di la (nota) vs là (avv.) e di si (nota) vs sì (avv.), ma resta l'omografia tra la (nota) e la (art./pron.) e si nota e si (pron.) e quindi non si può invocare tale Regola, trattandosi invece di una pura coincidenza.
In altri due casi su sette, do (nota) sembra opporsi (semanticamente) a (ti)dò, e fa (nota) a (mi) fà, entrambe grafie non canoniche (cfr. Canepari) ed entrambe lessemi tonici. Ma si tratta di segnaccento sintagmatico, presente cioè nei sintagmi /ti'dɔ/ e /mi'fa/, in cui agisce cioè la R-2 del segnaccento con funzione tonica. Lo Zingarelli 2019 sub accento ricorre alla Regola-1 per sostenere che su dò canonico "si può segnare l'accento per non confonderl[o] con do (nota musicale)".
7.1. Una eccezione? Un contro-esempio?
Un caro amico e collega, avendo letto il testo, ha avanzato la seguente obiezione alla mia proposta: "se fosse dirimente il criterio della tonicità per l'uso dell'accento grafico, dovremmo scrivere e stato, e vero, perché non c'è dubbio che l'è è atono".
A cui, riflettendoci, risponderei così:
1) Per <è> /ε/ verbo andrebbe distinto il valore di predicato verbale tonico, per es. Dio è, non angosciarti per ciò che non è; chi è?, cos'è?, così è, quant'è?, ecc., dalla valenza di ausiliare/copula, atono (<è stato, è vero>) VS <e> /e/ (cong.) sempre atona (fatto fondamentale).
2) Una volta creata l'opposizione grafica tra <è> /ε/ verbo tonico VS <e> /e/ cong. sempre atona, l'<è> /ε/ predicato pur diventato atono come ausiliare/copula conserva tuttavia il segnaccento (è stato, è-vvero).
A ben vedere, il caso di <è> in <è stato> ausiliare atono ma con segnaccento è analogo al <sé> di <sé stesso> atono ma con segnaccento e preferito da L. Serianni. Ovvero il <se> cong. atona senz'accento (punto fondamentale) si oppone (VS) a <sé> pron. tonico tout court accentato, ma con <sé> atono con segnaccento (facoltativo) in <sé stesso/se stesso>.
7.2.
Regola generale del segnaccento
A monte della variabilità degli usi del
segnaccento, e del loro carattere normativo, va infine ricordato che la Regola
grafica generale è la seguente: nei sintagmi o nelle parole bi-plurisillabiche
lo scrivente mette il segnaccento sulla sillaba tonica finale (es. bontà, con sé, perché, ahimè, ma fare, dimmelo, ecc.). Normativamente poi, ovvero distinguendo gli
usi colti da quelli popolari o presunti tali, l’applicazione di tale regola può
essere censurata (*), per es. <*due
giorni fà>, <*ti fà>
/ti'fa/ vs <tifa> /'tifa/; -- <*gli stà> /λi'sta/; -- <*sono
quì> /sonok'kwi/ ma: <a cui>
/ak'kui/; -- <*è quà> /ε k'kwa/
-- <*il rè> /il're/; -- <(*)un pò> /um'po/; -- <(*)ti dò> /ti'dɔ/; -- <*lo sò> /lo'so/; -- <*non và> /non'va/; -- <*per
tè> /per'te/, <*per mè>
/per'me/; -- <(*)vado sù>, ecc.
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