Se vogliamo dare, però, ai nostri scritti uno "stile aulico" è bene adoperare verbi piú appropriati, naturalmente a seconda del contesto. Vediamo alcuni esempi dei verbi "abusati", tratti da varie pubblicazioni, mettendo in parentesi il verbo che fa alla bisogna.
Il giovanotto - dopo un lungo digiuno, per protesta - mangiò (divorò) quel pezzo di pane in un batter d'occhio; la giovane mamma disse alla figliola di mangiare (assaggiare) quel pezzettino di torta: "sentirai che bontà!"; il bimbo ha bevuto (trangugiato) tutto d'un fiato quello sciroppo, tanto era amaro e disgustoso; il piccolo atleta, giunto a casa con una gran sete, riempí il bicchiere di una bibita fresca e la bevve (tracannò) in un secondo; quei due ragazzi hanno mangiato e bevuto (gozzovigliato) tutta la notte; il ferito, ricoverato in ospedale, ha potuto appena bere (sorseggiare) una tazza di tè; la mamma ha fatto mangiare per forza (ingozzare) un cibo che al piccolo non piaceva; il vino era veramente eccellente e gli ospiti lo hanno bevuto lentamente (centellinato) per gustarlo.
Potremmo continuare ma non vogliamo - come è nostro costume - tediarvi oltre misura; ci auguriamo, però, di aver raggiunto il nostro scopo.
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La lingua "biforcuta" della stampa
Insulti a vigilessa perché pugliese, imprenditore trentino
condannato a risarcire 10mila euro-----------
Non ci stancheremo mai di ripetere che il femminile di vigile è... vigile (la vigile). Dal Treccani: L’uso di riferirsi con i derivati in -essa a mogli di chi ricopre una determinata carica (generalessa, prefettessa) è ormai antiquato; il suffisso è usato talora con valore ironico o spreg.: vigilessa, medichessa.
Nota d'uso di "Sapere.it" (De Agostini):
Il nome vigile, secondo le normali regole della lingua italiana, è maschile o femminile secondo se si riferisce a uomo o a donna: il vigile, la vigile. È in uso anche vigilessa, che però può avere anche tono scherzoso o valore spregiativo, come tradizionalmente hanno avuto diversi femminili in -essa. Alcuni poi preferiscono utilizzare il nome vigile al maschile anche per una donna. Si tratta di una scelta che non ha basi linguistiche, ma sociologiche, e che comunque può creare, nel discorso, qualche problema per le concordanze.
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