martedì 20 agosto 2019

Avverbi "mal coniati" (o adoperati malamente)

Il 7 agosto scorso abbiamo speso due parole sulla corretta "posizione" dell'aggettivo nel corpo della proposizione; oggi vogliamo spendere due parole sull'avverbio ché  spesso è usato malamente.   
    L'avverbio, dunque (è il latino ad verbum e letteralmente significa "(posto) accanto al verbo"), come riportano le normali grammatiche scolastiche, "è quella parte invariabile del discorso che si pone vicino al verbo per completarne o modificarne il significato" (ma può anche modificare o completare il significato di un aggettivo o di un altro avverbio): Giovanni camminava frettolosamente; quel quadro è molto bello; Piero legge troppo lentamente.
     Spesso, dicevamo, è adoperato malamente o "mal coniato". Vediamo, "sbirciando" come il solito tra le varie pubblicazioni, alcuni esempi di avverbi adoperati malamente (in parentesi quelli appropriati, a nostro avviso).
    Delle volte (a volte) mi rendo conto di avere esagerato nell'educazione "spartana" di mio figlio; il nipote della vicina di casa era decisamente (veramente) un angelo, mi aiutava in tutto; che abbia o no l'autorizzazione del direttore dopo tutto (in conclusione) non ha importanza; se mi farai il favore che ti ho chiesto ti sarò grato: diversamente (altrimenti) mi rivolgerò ad altri; il giovane era benvoluto da tutti, tanto come (tanto) era cortese e affidabile; il poverino è stato ricoverato in ospedale in gravissime condizioni, magari (probabilmente) morirà in giornata; se sarai tu a parlargli tanto meglio:  del resto (altrimenti) lo farò io; poi fammi sapere se quel film ti è piaciuto o meno (no).
    Sperando di essere riusciti nel nostro intento concludiamo con un pensiero di Henry James: "Sono contento che vi piacciano gli avverbi. Io li adoro".

Nessun commento: