Il 7 agosto scorso abbiamo speso due parole sulla corretta
"posizione" dell'aggettivo nel corpo della proposizione; oggi
vogliamo spendere due parole sull'avverbio ché spesso è usato malamente.
L'avverbio, dunque (è
il latino ad verbum e letteralmente
significa "(posto) accanto al verbo"), come riportano le normali
grammatiche scolastiche, "è quella parte invariabile del discorso che si
pone vicino al verbo per completarne o modificarne il significato" (ma può
anche modificare o completare il significato di un aggettivo o di un altro
avverbio): Giovanni camminava frettolosamente;
quel quadro è molto bello; Piero legge
troppo lentamente.
Spesso, dicevamo,
è adoperato malamente o "mal coniato". Vediamo, "sbirciando"
come il solito tra le varie pubblicazioni, alcuni esempi di avverbi adoperati
malamente (in parentesi quelli appropriati, a nostro avviso).
Delle volte (a
volte) mi rendo conto di avere esagerato nell'educazione "spartana"
di mio figlio; il nipote della vicina di casa era decisamente (veramente) un
angelo, mi aiutava in tutto; che abbia o no l'autorizzazione del direttore dopo
tutto (in conclusione) non ha importanza; se mi farai il favore che ti ho
chiesto ti sarò grato: diversamente (altrimenti) mi rivolgerò ad altri; il
giovane era benvoluto da tutti, tanto come (tanto) era cortese e affidabile; il
poverino è stato ricoverato in ospedale in gravissime condizioni, magari
(probabilmente) morirà in giornata; se sarai tu a parlargli tanto meglio: del resto (altrimenti) lo farò io; poi fammi
sapere se quel film ti è piaciuto o meno (no).
Sperando di essere riusciti nel
nostro intento concludiamo con un pensiero di Henry James: "Sono contento
che vi piacciano gli avverbi. Io li adoro".
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