mercoledì 21 agosto 2019

Considerazioni sull'uso "corretto" dell'italico idioma


I porchi comodi...

Qualcuno - se non tutti - strabuzzerà gli occhi: “porchi”!? Come è possibile un simile strafalcione? No, amici, non è uno strafalcione.
Tutti i “sacri testi” che abbiamo consultato tacciono sull’argomento, ma “porchi” è forma correttissima. Quando il sostantivo ‘porco’ è usato in funzione aggettivale con il significato di “spregevole”, “indecente”, “orribile” e simili, nella forma maschile plurale “può” prendere la desinenza “-chi” in luogo di quella comunemente in uso “-ci”. A voler sottilizzare, anzi, porchi ‘sarebbe’ la sola forma corretta perché i sostantivi in “-co” piani (con l’accento tonico sulla penultima sillaba) nel plurale conservano il suono gutturale; quelli sdruccioli, invece, lo perdono. Naturalmente non mancano le eccezioni e porco è una di queste; in funzione di sostantivo, infatti, il plurale “corretto” è porci.

Malevole? No, malevolo
Navigando in Internet abbiamo scoperto che buona parte delle persone “di cultura” ritengono che si dica “malevole” e non, correttamente, malevolo. Credono, insomma, che l’aggettivo in oggetto appartenga alla seconda classe, come “facile”, per esempio e abbia, quindi, un’unica desinenza, tanto per il maschile quanto per il femminile ('-e', maschile e femminile singolare; 'i', maschile e femminile plurale). No, la forma corretta è malevolo perché viene dall’aggettivo latino ‘malévolus’, della seconda declinazione, e la desinenza ‘-us’ latina si tramuta normalmente nella terminazione ‘-o’ del maschile italiano. È, quindi, un aggettivo della prima classe, come “buono”, le cui desinenze sono ‘-o’ e ‘-i’ per il maschile singolare e plurale, ‘-a’ e ‘-e’ per il femminile singolare e plurale. Diremo, quindi, “uno scritto malevolo”, con il plurale “malevoli” e “una critica malevola” con il plurale “malevole”. Identico discorso per “benevolo”.

Divisione sillabica "particolare"
Abbiamo notato che molte persone si trovano in difficoltà sulla divisione delle sillabe in fin di riga (o di rigo) con le parole formate con prefissi “speciali”: ben-in-mal-cis-dis-pos-trans- tras-. Le parole così composte possono dividersi in sillaba senza tener conto del prefisso (che fa sillaba a sé) oppure considerare il prefisso parte integrante della parola. Ci spieghiamo meglio con un esempio. Dispiacere si può dividere considerando il prefisso sillaba a sé; avremo, quindi, dis-pia-ce-re, oppure, “normalmente”, di-spia-ce-re. Trastevere – altro esempio – si può dividere secondo l’una o l’altra “regola”: Tras-te-ve-re o Tra-ste-ve-re. Consigliamo vivamente, a coloro che non sono in grado di distinguere con assoluta certezza i prefissi componenti, di attenersi – nell’andare “a capo” – alla normale divisione sillabica. Eviteranno, in questo modo, di incorrere in spiacevoli strafalcioni. In caso di dubbio si può consultare una buona grammatica dove, nel sillabo, sono riportati tutti gli argomenti trattati, messi anche in ordine alfabetico. 

Colui/colei senza il "che"
Probabilmente ci attireremo gli strali di qualche linguista se sosteniamo che non è scorretto l'uso di colui (o colei) - in funzione di soggetto e di complemento - non seguito dal pronome relativo (colui che, colei che). Abbiamo l'avallo di Luciano Satta, che riporta gli esempi di autorevoli scrittori: «- Buon giorno - disse colui scappellandosi...» (Bacchelli); «... Ella ha amato a tal punto colei da poter quindi pronunciarsi» (Santucci).
 
Aggettivi della terza classe

Buona parte delle comuni grammatiche della lingua italiana dividono gli aggettivi in due classi: bello (I classe); facile (II classe). C'è anche una terza classe. Appartengono a questa categoria gli aggettivi che al maschile singolare finiscono in -cida, -ista, -asta e -ita. Hanno un'unica desinenza (-a) sia per il maschile singolare sia per il femminile singolare: un uomo egoista, una donna egoista. Nella forma plurale, invece, mutano la desinenza -a in -i per il maschile e in -e per il femminile: due uomini egoisti, due donne egoiste.


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La lingua "biforcuta" della stampa

Tentano di sradicare un bancomat con il carroattrezzi: fermati dai carabinieri
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"Piú corretto": carro attrezzi.
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Spaccia cocaina davanti Scala: fermato pusher 55enne con le dosi negli slip
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Davanti richiede la preposizione "a". Correttamente: davanti alla Scala. Vocabolario Palazzi: davànti
davànti prep. (usata in unione con la prep: a, raramente con di) in presenza, in cospetto, dinanzi: davanti al re (l di faccia, di fronte: davanti alla casa c'è l'albergo il avv. prima, innanzi: la fanfara era davanti il mettere davanti, presentare; mettersi davanti, mettersi in mostra, profferirsi il levarsi davanti, andar via il nella parte anteriore: vestito aperto davanti II in forza di agg., anteriore: i denti davanti II in forza di sm. il davanti della casa, del vestito ll N. innanzi, prima l contr. dietro.


 

 
 

 


 
 

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