mercoledì 14 agosto 2019

Inerente: il suo uso corretto

Abbiamo notato, con "stupore", che buona parte delle cosí dette grandi firme del giornalismo fanno seguire l'aggettivo "inerente" dall'articolo e non, correttamente, dalla preposizione "a" (semplice o articolata). È un orrore che grida vendetta al cospetto del Divino. Diamo la "parola" all'insigne linguista Aldo Gabrielli.

Questo inerente è il participio presente di un verbo inerire ormai pressoché scomparso dal comune linguaggio, e perciò generalmente non registrato dai minori dizionari; esso affiora solo tratto tratto in certi linguaggi particolari, come in quello giuridico e filosofico, per esempio. Oggi solo inerente è nell’uso, e non sempre si costruisce a dovere; tanto che frasi come “atti inerenti la causa”, “indagini inerenti il delitto” si riscontrano sempre più di frequente negli atti giudiziari soprattutto. Sono frasi sbagliate perché il verbo inerire, etimologicamente affine ad aderire, si costruisce, come questo, col complemento di termine e non col complemento oggetto: “atti inerenti alla causa”, “indagini inerenti al delitto”.

Inerire viene dal latino inhaerère, propriamente “essere attaccato” e significa “avere stretta connessione con qualche cosa”, “direttamente riferirsi”, “essere attinente” e simili. I latini costruivano questo verbo col dativo (che corrisponde appunto al nostro complemento di termine), ma anche con l’ad e l’accusativo o con l’in e l’ablativo. L’italiano si attiene comunemente al dativo: “Ragioni inerenti alla sostanza e all’origine delle cose” (Tommaseo); “La libertà di Dio inerisce alla sua eterna ragione” (Croce); con l’in, ormai disusato, trovo un esempio del Magalotti: “Facoltà ... inerenti in un fondo dell’istessa natura”. Niente complemento oggetto, dunque, erroraccio assolutamente da evitare. Il quale complemento, certo, deriva da un’errata analogia con altri verbi, come concernere e riguardare, che si costruiscono infatti col complemento oggetto: “Atti concernenti la causa”, “Indagini riguardanti il delitto”.

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C'è l'acme e... l'acne

Si presti attenzione all’uso corretto di questi sostantivi che non sono, come molti credono, una variante l’uno dell’altro (come lo sono i vocaboli barbari comfort e confort, anche se provengono da lingue diverse). Innanzi tutto sono entrambi di genere femminile. Il primo, acme, indica, come dicono i vocabolari, il punto culminante di qualcosa (che si muove): l’acme della febbre; l’acme del successo. Acme, insomma, significa vertice, apice. L’acne, invece, è una malattia della pelle che si manifesta con pustole.


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La lingua "biforcuta" della stampa
Case-vacanze, per la Finanza due su tre sono irregolari
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Correttamente: case-vacanza (meglio senza trattino). Perché? Perché il plurale dei sostantivi accostati (o accoppiati) si ottiene modificando solo il primo elemento: asilo nido/asili nido.

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Cronaca
 Donna subisce violenza di gruppo per 10 dieci anni: cinque arresti 
A Corigliano Rossano, in Calabria. Gli indagati accusati anche di estorsione
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Se qualcuno non lo avesse capito: DIECI.


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La sentenza

 La Cassazione ferma i super-risarcimenti ai medici specializzandi utilizzati in corsia

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Le persone - in questo caso i medici - non si utilizzano, si impiegano.

 
 

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