mercoledì 21 maggio 2025

Il vento e il re: la vera resilienza

 

In un Paese lontano, ai confini del mondo, tra le colline smeraldine e le foreste incantate, sorgeva il potente Regno di Querciaforte, governato da un sovrano fiero e inflessibile, il re Roverius. Le mura della reggia erano alte, le leggi incise sulla pietra, e la sua armata marciava con passo rigido, senza mai deviare dalla rotta.

In un villaggio del regno, lungo i placidi argini del Fiume dei Sussurri, vivevano i popoli delle Terre Flessuose, guidati dalla saggia dama Cannella. Qui, le case erano fatte di giunchi intrecciati, le insegne dei mercanti danzavano con il vento, e le parole si adattavano ai suoni della brezza.

Re Roverius, scrutando quel mondo mutevole, scoteva il capo con disprezzo. "Noi siamo forti perché non cambiamo mai! Voi, invece, vi piegate alla minima difficoltà!"

L’illuminata dama Cannella sorrise, conoscendo bene il segreto del tempo.

Un giorno d’inverno, un vento furioso scese dalle Montagne Selvagge, portando con sé la tempesta più ‘furiosa’ che il regno avesse mai visto. Le imponenti torri del palazzo reale vacillavano, le strade sprofondavano creando immense voragini, e persino le leggi incise sulla pietra vennero cancellate dalla furia degli elementi.

Re Roverius, serrando i pugni, ordinò ai suoi uomini di resistere, di non indietreggiare. Ma più combattevano contro il vento, più il regno cadeva in rovina.

Nelle Terre Flessuose, nessuno oppose resistenza. La gente si piegava lasciandosi sfiorare dal vento, i tetti ondeggiavano senza cedere e, quando l'uragano passò, tutto rimase intatto.

Fu allora che la verità divenne chiara.

La resilienza non è rigidità, non è opporsi a tutto, non è rifiutare il cambiamento. Il termine veniva dai saggi dell'antico Impero, dal latino resilire, “saltare indietro”, “rimbalzare”. In origine il vocabolo era proprio dei fabbri e dei costruttori, che lo usavano per indicare i metalli capaci di assorbire gli urti senza spezzarsi. Poi i filosofi lo fecero loro, parlando di quella stessa capacità negli uomini: superare le difficoltà adattandosi, non opponendosi ciecamente.

Ma nel mondo degli uomini, la parola aveva perso il suo significato. I cronisti scrivevano di "re resiliente, che non cambia mai idea", di "mercanti resilienti, che difendono la loro strategia a ogni costo". Ritenevano, insomma, che resilienza fosse sinonimo di inflessibilità, rigidità e simili.

Quel giorno, re Roverius capì il suo errore. Osservando le rovine di Querciaforte comprese che la vera forza non era resistere fino alla distruzione, ma adattarsi, trovare nuove vie, flettersi senza spezzarsi.

La saggia dama Cannella gli offrì la mano. "Ora lo sai, caro re Roverius. Il vento non è un nemico, ma un maestro."

E così, nel Regno di Querciaforte, ebbe inizio una nuova era.


* * *

I porchi comodi...

Qualcuno - se non tutti - strabuzzerà gli occhi: “porchi”!? Come è possibile un simile strafalcione? No, amici, non è uno strafalcione. Tutti i “sacri testi” che abbiamo consultato tacciono sull’argomento, ma “porchi” è forma correttissima. Quando il sostantivo ‘porco’ è usato in funzione aggettivale con il significato di “spregevole”, “indecente”, “orribile” e simili, nella forma maschile plurale “può” prendere la desinenza “-chi” in luogo di quella comunemente in uso “-ci”. A voler sottilizzare, anzi, porchi ‘sarebbe’ la sola forma corretta perché i sostantivi in “-co” piani (con l’accento tonico sulla penultima sillaba) nel plurale conservano il suono gutturale; quelli sdruccioli, invece, lo perdono. Naturalmente non mancano le eccezioni e porco è una di queste; in funzione di sostantivo, infatti, il plurale “corretto” è porci.


1 commento:

Pier Paolo Falcone ha detto...

Non è corretto dire che "in origine il vocabolo era proprio dei fabbri e dei costruttori, che lo usavano per indicare i metalli capaci di assorbire gli urti senza spezzarsi." Questa caratteristica (non spezzarsi) è indicata da "infrangibilità, resistenza, robustezza". La resilienza è invece la capacità di un corpo solido di tornare alla forma originaria dopo essere stato sottoposto ad una deformazione. L'esempio classico è la molla, purché non deformata oltre un certo limite (snervamento). Non a caso la derivazione è dal latino resilire, “saltare indietro”, “rimbalzare”. Verbi che richiamano effettivamente il comportamento di una molla.