In un borgo del regno di Parolonia ogni vocabolo aveva un suo colore e una sua forma. Alcune parole erano soffici e rotonde, come ciambella e morbido, altre appuntite e taglienti, come spigoloso e acuto. Ma c’erano termini che nessuno capiva davvero, parole strane, misteriose, buffe, stravaganti.
Il giovane conte Baldo, studioso appassionato della lingua, aveva sempre avvertito una fascinazione particolare per queste parole insolite. Fin da bambino, si divertiva a immaginare che ogni vocabolo nascesse da una storia segreta, da un frammento di vita dimenticato nei secoli. Ora, diventato un ricercatore instancabile, decise di intraprendere un viaggio alla ricerca di parole più singolari del regno.
Si imbatté subito in gattabuia (dal latino cavea buia, “gabbia oscura”). Sentendo il termine, Baldo si fermò un istante, rabbrividendo al pensiero delle celle umide e buie delle prigioni medievali. Gli tornò in mente un racconto sentito anni prima: nei piccoli borghi italiani si diceva scherzosamente che chi finiva in prigione fosse "andato a trovare i gatti". Il giovane conte si domandò se quel detto avesse contribuito a dare forma alla parola stessa.
Poi incontrò scarabocchio (probabilmente dal francese escarbot, “scarabeo”). Baldo rimase affascinato dalle storie degli amanuensi medievali che, stanchi di copiare manoscritti, riempivano i margini con segni disordinati. Il suo cuore si accese d’entusiasmo: non erano solo tratti casuali, ma frammenti di creatività spontanea, ribellione silenziosa contro la rigidità del compito. Si immaginò uno di quegli amanuensi, chino sulla pergamena, lasciar vagare la mano in un impulso artistico improvviso.
Proseguendo, Baldo incrociò abbozzare (verbo parasintetico derivato da bozza, documentato già nel XVI secolo). Incontrando l’anziano fabbro del villaggio, il conte fu rapito dal suo racconto: nel Rinascimento, gli scultori usavano questo termine per indicare il primo colpo dato al marmo, un abbozzo che lasciava intuire la futura forma della statua, ancora grezza e imperfetta. Baldo si perse per un istante nei suoi pensieri, riflettendo su quanto la parola abbozzare potesse rappresentare l’essenza della creazione stessa, un inizio incerto, un sogno ancora da definire.
Ma la parola più enigmatica che colpì Baldo fu strampalato (la cui etimologia è incerta; secondo alcuni studiosi potrebbe derivare dal longobardo stramb, “sbilenco, disordinato”). Il giovane conte rise tra sé e sé quando sentì la storia dei mercanti eccentrici che vendevano merci insolite e venivano chiamati strambalati. Gli parve quasi di vederli: uomini esuberanti, dalla parlantina veloce e imprevedibile, con mercanzie bizzarre stipate nei loro carretti. Baldo, che aveva sempre avuto uno spirito curioso e un po' fuori dagli schemi, sentì che quella parola lo rispecchiava più di quanto avesse immaginato.
Scoprì poi pasticcio (dal latino popolare pastīcium, derivato di pasta), il termine nacque nelle cucine rinascimentali, quando i cuochi mescolavano vari ingredienti per creare piatti improvvisati. Baldo era cresciuto con il gusto per le parole e anche per i sapori, così gli parve quasi di sentire il profumo di una torta sfogliata, un capolavoro culinario nato dall’improvvisazione. E pensò che il linguaggio fosse proprio come la cucina: un insieme di elementi mescolati con fantasia, creatività e un pizzico di azzardo.
Infine, il conte Baldo si lasciò incantare dalla storia della tarantella (forse dal nome della città di Taranto, ma anche legata alla tarantola). Quando seppe della credenza popolare secondo cui il morso della tarantola provocava una frenesia curabile solo ballando, si ritrovò a immaginare uomini e donne che, senza scelta, si abbandonavano al ritmo della danza per scacciare il veleno dal corpo. In quel momento Baldo capì che le parole non erano solo segni su un foglio, ma vibrazioni, movimenti, musica.
Alla conclusione del suo viaggio, Baldo si rese conto di aver intrapreso un cammino che andava ben oltre lo studio linguistico. Aveva scoperto che ogni parola possiede un’anima, un suono che ne riflette la storia, un’essenza nascosta. Decise allora di raccontare a tutti il suo istruttivo viaggio, affinché nessuna parola curiosa fosse mai dimenticata. E così Parolonia divenne un luogo dove le parole non solo venivano pronunciate, ma anche celebrate come piccoli tesori linguistici da tramandare ai posteri.
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Intùito e intuìto
Si presti attenzione ai due termini perché spesso si confondono. Il primo, con l’accento sulla “u”, è un sostantivo e vale “capacità di comprendere”; il secondo, con l’accento sulla “i”, è il participio passato del verbo intuire (capito, compreso).

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