lunedì 19 maggio 2025

Elisione e apocope: il duello delle parole mozzate


C
’era una volta, nel cuore della Lingua Italiana, un regno incantato chiamato Grammatica, dove vivevano le parole. Alcune erano solenni e maestose, altre agili e leggere, ma tutte avevano un ruolo fondamentale nel grande equilibrio del lessico.

Nel castello delle Parole Mozzate abitavano due cugine molto particolari, Elisione e Apocope. Erano simili nell’aspetto, ma il loro carattere le rendeva molto diverse, e questa diversità le portava ad accapigliarsi su chi avesse la funzione più importante.

Elisione era elegante e raffinata. Quando una parola terminava in vocale e la successiva cominciava con un’altra vocale, lei interveniva con discrezione, eliminando il suono superfluo ma lasciando sempre un piccolo segno (apostrofo) come testimonianza della sua presenza. Quando si trovava davanti a “lo amico”, per esempio, non ci pensava due volte e diceva: "Sarò gentile e discreta. Da oggi si dirà l’amico!"

Apocope, al contrario, era impulsiva e decisa. Lei non amava lasciare traccia delle sue azioni: se una parola poteva essere abbreviata per rendere il discorso più scorrevole la accorciava senza remore. Quando “bene” cercava di essere più rapido e incisivo, esclamava: "Non c’è bisogno di tante cerimonie! Da oggi si dirà ben fatto!"

Un giorno scoppiò una lite tremenda, fra le tante, tra le due cugine. Elisione sosteneva che il suo metodo garantiva chiarezza e armonia, mentre Apocope ribatteva che il suo intervento rendeva il linguaggio più fluido e immediato. La loro accesa discussione giunse fino al castello della regina Ortografia, la dotta sovrana che vegliava sull’equilibrio delle parole.

Stanca dei loro continui litigi, la regina convocò le due e stabilì alcune regole fondamentali. L’elisione si usa quando una vocale alla fine di una parola ne incontra un’altra all’inizio della parola successiva. Alcuni esempi sono l’arte, dove la arte si elide con l’apostrofo, e d’accordo, dove di accordo si elide con l’apostrofo.

L’apocope avviene, invece, quando si elimina una vocale o una sillaba alla fine di una parola, senza lasciare alcun segno. Alcuni esempi sono gran bellezza, dove grande bellezza si accorcia senza apostrofo, e faccian vedere, dove facciano si abbrevia per fluidità. Insomma: l’elisione elimina una vocale ma lascia un segno visibile (l’apostrofo), mentre l’apocope accorcia la parola senza lasciare alcuna traccia. Con l’occasione rivelò un “segreto” per riconoscere l’elisione: si sostituisce la parola il cui apostrofo è in odore di dubbio con un’altra che comincia con una consonante, se “suona” bene non necessita di apostrofo. Nessun’uomo o nessun uomo?, per esempio. Sostituiamo uomo con libro. Nessun libro “suona” bene, non stride; nessun uomo, quindi, senza apostrofo.

Ma la regina Ortografia non si fermò qui e rivelò alle due cugine la loro vera origine. Elisione derivava dal latino ‘elidere’, che significa “strappare via” o “far cadere”. Apocope proveniva dal greco ‘apokopḗ’, che significa “taglio netto, separazione”.

Elisione e Apocope si guardarono a lungo comprendendo, finalmente, che, pur avendo caratteri diversi, entrambe erano indispensabili per la bellezza e la scorrevolezza della lingua italiana. Da quel giorno smisero di litigare e impararono a rispettarsi, accettando il fatto che ogni parola avesse bisogno ora dell’una, ora dell’altra.

Nel regno di Grammatica la pace fu ristabilita e la meravigliosa lingua italiana continuò a suonare in perfetta armonia. Così, ancora oggi, il loro lavoro continua silenzioso nelle frasi di ogni scrivente (o parlante), rendendo il nostro idioma più armonioso e scorrevole.








 




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