Il sintagma verbale scartare è uno di quei lessemi che, a prima vista, sembrano semplici, quasi trasparenti. Ma basta soffermarsi un momento per scoprire che dietro quella parola si cela un ventaglio di significati, ciascuno con una propria etimologia, e non riconducibili a un unico gesto originario, bensì a più azioni e contesti che nel tempo ne hanno modellato l’uso.
Una delle accezioni più antiche affonda nel mondo del gioco, dove scartare significa togliere una carta dal mazzo. In questo caso, l’etimologia è chiara: dal latino ex- (“fuori”) e carta, indica l’atto di mettere da parte ciò che non serve alla strategia. Da qui si è sviluppato il significato figurato di rifiutare, eliminare ciò che non è utile. Si scarta una maglietta perché rovinata, una proposta perché inadatta, un’idea perché il tempo non è quello giusto. È un gesto silenzioso ma deciso, che dice: “questo non fa per me”. Non è solo eliminazione: è anche discernimento.
Poi c’è lo scartare che profuma di festa, di attesa, di mani che fremono. È quello dei regali, della carta che si strappa per rivelare ciò che è nascosto. In questo caso, l’origine è diversa: deriva dal verbo incartare, con il prefisso privativo s- che indica la rimozione della carta. Qui scartare non è rifiuto, ma scoperta. Si scartano i doni di Natale con gli occhi pieni di luce, si scarta una caramella prima di gustarla, si scarta un pacco appena arrivato, col cuore che batte. È un gesto che apre, che rivela.
In altri contesti, il verbo assume una connotazione dinamica. Nel movimento, nello sport, scartare descrive un’azione rapida con cui si evita un ostacolo, si supera un avversario. Un calciatore può scartare l’altro con un abile gioco di gambe, un cavallo può scartare di lato per non inciampare, e persino un’auto può scartare bruscamente per evitare un pericolo improvviso. In questo caso, l’etimologia risale al francese écarter, a sua volta dal latino ex- e quartare (“dividere in quarti”), che nel tempo ha assunto il significato di deviare, allontanarsi, evitare.
Infine, scartare è anche il verbo di chi seleziona con cura. L’esperto di vini che mette da parte una bottiglia non all’altezza, il regista che elimina una scena per dare ritmo al racconto, il direttore che sceglie cosa resta e cosa va. È una forma di rispetto verso ciò che si vuole conservare, e verso ciò che, pur non entrando nella scelta finale, ha avuto il suo spazio.
In tutte queste sfumature, scartare si mostra come verbo polisemico, capace di adattarsi a contesti diversi, ciascuno con una propria logica e una propria origine. È il verbo del distacco, della decisione, della soglia tra ciò che resta e ciò che si lascia andare. È un gesto che parla di noi, delle nostre preferenze, delle nostre rinunce, delle nostre scoperte.

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