giovedì 4 settembre 2025

Quando piantare non c’entra con le piante

 

Il linguaggio è un organismo vivente: cresce, si ramifica, si contorce, talvolta fiorisce in direzioni impreviste. Alcuni verbi, più di altri, raccontano questa metamorfosi con sorprendente eloquenza. Piantare è uno di questi: nato per descrivere un gesto agricolo, ha finito con l’indicare abbandoni, rotture, ostinazioni e persino scenate teatrali. Queste noterelle sono un piccolo viaggio nella sua storia, dalle radici latine alle fronde idiomatiche dell’italiano contemporaneo.

Il verbo piantare, dunque, ha una storia linguistica affascinante, che attraversa secoli e si ramifica in significati molto diversi tra loro. La sua origine risale al latino plantare, derivato da planta, ovvero "pianta", "germoglio". Originariamente plantare significava semplicemente "mettere a dimora una pianta", "collocare nel terreno qualcosa che deve crescere". Questo significato concreto è rimasto intatto nel tempo: ancora oggi, piantare un albero conserva esattamente quel senso agricolo e materiale.

Ma già nel latino tardo e nel volgare romanzo, il sintagma comincia a espandersi semanticamente. Piantare diventa anche "stabilire", "fondare", come nel caso di piantare una colonia o piantare una bandiera, dove l’atto fisico di conficcare qualcosa nel terreno si trasforma in un gesto simbolico di affermazione o possesso. Questo slittamento dal concreto al simbolico è una dinamica comune nei mutamenti semantici: il gesto materiale diventa metafora di un’azione astratta.

Nel passaggio all’italiano volgare e poi all’italiano moderno, piantare continua a moltiplicare le sue accezioni. Una delle più curiose è quella che indica l’abbandono improvviso: piantare in asso qualcuno, cioè lasciarlo solo, senza spiegazioni. L’origine di questa espressione è probabilmente una deformazione popolare di Nasso, l’isola greca dove, secondo il mito, Arianna fu abbandonata da Teseo dopo averlo aiutato a uscire dal labirinto. Il dolore e la solitudine di Arianna diventano così simbolo dell’abbandono crudele e improvviso. Nel tempo, Nasso sarebbe stato reinterpretato come asso, forse per assonanza o per via della familiarità con il termine nel gioco delle carte, dove rappresenta spesso una figura solitaria. Ma l’interpretazione mitologica resta forte e suggestiva.

Da qui deriva anche l’espressione piantare baracca e burattini, che indica l’interruzione netta di un’attività o di una situazione, spesso con un tono ironico o drammatico. Il verbo piantare assume quindi il senso di "lasciare", "mollare", "abbandonare".

Un altro sviluppo semantico riguarda l’uso imperativo del verbo: piantala! è un’esclamazione che significa "smettila!", "finiscila!" In questo caso, piantare si è evoluto in senso negativo, come sinonimo di interrompere un comportamento molesto o fastidioso. È interessante notare come il verbo, da gesto generativo (piantare per far crescere), si sia trasformato in gesto terminale (piantare per farla finita). Questo rovesciamento semantico è particolarmente evidente nell’espressione piantare una scenata, dove il verbo designa l’inizio di un comportamento emotivo e teatrale, ma che spesso si conclude con una rottura.

In contesti più colloquiali, piantare può anche significare installare, collocare con decisione: piantare il computiere sul tavolo, piantarsi davanti alla TV. Qui il lessema conserva una traccia del suo significato originario, ma lo applica a oggetti e situazioni moderne, con un tono spesso ironico o enfatico.

Infine, c’è l’uso riflessivo o passivo: piantarsi, che può indicare un arresto improvviso, come nel caso di un motore che si blocca (l’automobile si è piantata), oppure di una persona che si ostina in una posizione (si è piantato lì e non si è più mosso). Anche qui, il verbo conserva l’idea di fissità, ma la trasforma in ostinazione. 

In sintesi, per concludere queste noterelle, piantare è un verbo che ha germogliato significati in ogni direzione: dalla crescita alla rottura, dalla fondazione all’abbandono, dalla concretezza alla metafora. È un esempio perfetto di come la lingua, come una pianta, si adatti, si espanda e si trasformi nel tempo, seguendo le esigenze e le creatività di chi la parla.









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