Nel cuore del Giardino della Grammatica, tra le aiuole profumate dei Verbi e le fontane scintillanti dei Nomi, viveva una banda vivace e imprevedibile: i Pronomi Birichini. Erano piccoli, agili, e amavano giocare a 'nasconderello' tra le frasi. Nessuno li vedeva arrivare, ma tutti sentivano il loro effetto: bastava un “io” o un “tu” per cambiare il senso di un’intera proposizione.
Io, il capo del gruppo, era vanitoso e sempre al centro dell’attenzione. Si pavoneggiava tra le frasi principali, convinto che senza di lui nulla potesse iniziare. Tu era curioso e ficcanaso, sempre pronto a fare domande e a infilarsi nei dialoghi più accesi. Lui e Lei si divertivano a cambiare posto con Egli e Ella, confondendo i poeti e facendo impazzire gli studenti. Noi e Voi erano gli organizzatori delle feste grammaticali, dove tutti si sentivano inclusi, anche gli articoli più timidi. Loro, invece, erano misteriosi: si presentavano solo all'occorrenza, poi sparivano tra le virgole e i punti e virgola.
Un giorno, il saggio verbo Essere, personalità autorevole e rispettata da tutte le parti del discorso, li convocò sotto il grande albero della Sintassi. Le sue radici affondavano nella Storia della Lingua, e le sue foglie erano fatte di congiunzioni e avverbi.
«Pronomi», disse con voce grave, «siete indispensabili, ma ultimamente fate troppi scherzi. Le frasi non si capiscono più! I testi scolastici sembrano indovinelli, e persino i poeti si lamentano.»
Io sbuffò: «Ma noi rendiamo tutto più veloce!» Tu rise: «E più divertente!» Lui si nascose dietro una virgola, mentre Lei faceva l’occhiolino a un aggettivo possessivo. Noi proposero una soluzione: «Facciamo un patto. Continueremo a giocare, ma con regole chiare. Ogni frase ci userà solo se ci capisce davvero.»
Poi, con tono più serio, Io aggiunse: «Noi non siamo solo parole. Siamo il cuore del dialogo. Senza di noi, le frasi non saprebbero a chi rivolgersi.» Tu annuì: «Vogliamo rendere il linguaggio vivo. Non solo corretto, ma sentito. Vogliamo che ogni “io” sia un’identità, ogni “tu” un invito, ogni “noi” una condivisione.»
Il saggio Essere sorrise: «Allora il vostro gioco ha uno scopo. Continuate, ma fate in modo che ogni frase parli davvero a qualcuno.»
Da quel giorno, i Pronomi Birichini continuarono a saltellare tra le proposizioni, ma con più rispetto. Le frasi divennero più armoniose, i testi più comprensibili, e il linguaggio, grazie a loro, più fluido, più umano, più vicino.
E se oggi, leggendo o scrivendo, ti capita di sorridere per un “noi” ben piazzato o un “tu” che ti parla direttamente… forse è merito loro. I Pronomi Birichini non hanno smesso di giocare. Hanno solo imparato a farlo con grazia.
In Italia, ogni anno milioni di cittadini si rivolgono ai CAF - Centri di Assistenza Fiscale - per compilare l’ISEE, trasmettere la dichiarazione dei redditi, gestire successioni, bonus, pensioni, pratiche INPS e INAIL. I CAF sono diventati snodi vitali della burocrazia quotidiana, eppure il linguaggio non ha ancora dato un nome specifico a chi vi lavora. Si parla genericamente di “operatori”, “impiegati”, “addetti”, ma nessuno di questi termini coglie con precisione la funzione svolta.
Proponiamo, dunque, il neologismo caffista: parola agile, trasparente, morfologicamente coerente con la tradizione italiana (commercialista, giornalista, ecc.), e semanticamente centrata. Il caffista è colui o colei che lavora in un CAF, gestendo pratiche fiscali e previdenziali per conto dell’utenza. Non è un consulente tributario né un semplice addetto allo sportello: è un mediatore tra cittadino e sistema, un interprete della norma, un risolutore di moduli.
Il termine nasce dalla fusione della sigla CAF con il suffisso “-ista” che designa chi esercita una determinata attività, professione o aderisce a un ambito di pensiero. Il raddoppiamento della F (caffista, anziché cafista) è motivato da esigenze fonetiche: garantisce una pronuncia più fluida e naturale, evitando l’ambiguità o la durezza di cafista, che potrebbe essere percepito come cacofonico o incerto.
La forza della neoformazione sta nella chiarezza: caffista dice subito chi è e cosa fa. È una parola che si pronuncia con naturalezza, si declina senza ambiguità, e può essere impiegata anche in funzione attributiva: servizio caffista, assistenza caffista, sportello caffista.
In un’epoca in cui la burocrazia è sempre più digitale ma non sempre più comprensibile, il caffista è figura chiave per garantire accesso, equità e orientamento. Dare un nome a questa professione significa riconoscerne il valore, legittimarne la funzione, e restituire dignità linguistica a chi ogni giorno traduce la complessità in operatività.
Eventuale lemmatizzazione:
caffista /cafˈfis.ta/ s.m. e f. (pl. caffisti) – Impiegato o operatore di un CAF (Centro di Assistenza Fiscale), incaricato di assistere i cittadini nella compilazione, trasmissione e gestione di pratiche fiscali, previdenziali e amministrative. Etim. sigla CAF + suff. -ista, con raddoppiamento fonetico della F per miglior fluidità e pronuncia. Uso tecnico-descrittivo in ambito burocratico e fiscale.
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Navigando in Rete ci siamo imbattuti in "caffista" con un significato totalmente diverso da quello proposto. La neoformazione si potrebbe ritenere, pertanto, un neologismo semantico. Si veda qui.
Guerra Ucraina - Russia, le news. Trump: “Aiuteremo a difendere la Polonia in caso di escalation russa”
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Il verbo aiutare regge, di norma, un complemento oggetto, non una proposizione con a + infinito. A parte gli anglismi, il titolo corretto, in buona lingua italiana: Trump: “Aiuteremo la Polonia a difendersi in caso di escalation da parte della Russia”.

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