Nel cuore del paese di Ortografia viveva Lucio, un bambino curioso e vivace, che amava scrivere storie. Ma aveva un piccolo vizio: non rispettava mai le regole della lingua. Saltava gli accenti, confondeva i tempi verbali, e metteva le virgole dove capitava, come fossero coriandoli.
Un giorno, mentre scriveva una fiaba su un drago che mangiava dizionari, accadde qualcosa di strano: la parola libertà sparì dal suo quaderno. Al suo posto, solo uno spazio vuoto. Lucio provò a riscriverla, ma ogni volta che la penna toccava la carta, la parola svaniva.
Spaventato, corse dalla maestra Sintassi, che lo guardò severa: «Quando si maltrattano le parole, alcune decidono di andarsene. La lingua non è solo un mezzo: è una casa. E tu, Lucio, hai lasciato le finestre aperte al caos.»
La maestra lo indirizzò allora al Dipartimento di Polizia Linguistica, un edificio austero con colonne di punti e virgole e porte che si aprivano solo con parole ben coniugate. Lì lo accolse l’ispettore Grammatico, un uomo alto e magro, con gli occhiali a forma di parentesi.
«Hai perso libertà?» chiese l’ispettore. «Non sei il primo. Ogni giorno riceviamo denunce di parole smarrite, frasi ferite, significati travisati. Ma c’è una speranza: devi affrontare il Percorso del Rimedio.»
Lucio accettò. Il percorso era lungo e difficile. Doveva riordinare una frase scomposta da un tornado di avverbi, salvare un congiuntivo imprigionato in una gabbia di condizionali, riconoscere il significato vero di parole abusate come epico, letteralmente e iconico.
Durante il cammino, l’ispettore Grammatico lo portò in missione, per mostrargli come agisce la Polizia Linguistica nel mondo reale.
Nel villaggio di ParlaComeScrivi, un giovane presentatore televisivo aveva dichiarato: «Se io sarei famoso, farei un corso di dizione.» Il congiuntivo, ferito e umiliato, era stato rinchiuso in una gabbia di condizionali. La Polizia Linguistica intervenne con sirene verbali e agenti in divisa semantica. L’ispettore ordinò: «Liberate il congiuntivo! E correggete la frase: Se io fossi famoso, farei un corso di dizione.» Lucio osservò stupito. «Ma è solo una frase!» - «Una frase può educare o confondere migliaia di menti. Le parole sono semi: scegli bene cosa pianti.»
Poco dopo, nel mercato di Scrivonia, il cartello di un fruttivendolo recitava: PESCA a 2 euro. Senza accento. Ma nessuno capiva se si trattasse del frutto o del verbo. La Polizia Linguistica arrivò con il reparto ortografico. L’agente Lessicò indagò e disse: «Qui manca un accento, e con lui è sparita la chiarezza. Restituiamo il senso: Pèsca è il frutto, pésca è l’azione.» Lucio rise. «Un segno così piccolo cambia tutto?» - «Come una virgola in una dichiarazione d’amore. O una pausa in una poesia. La lingua è fatta di dettagli che contano.»
Infine, nel quartiere di Ipérbole, un ragazzo gridava: «Mi è letteralmente esplosa la testa quando ho visto quel video!» La Polizia Linguistica intervenne con il reparto Figurativo. L’agente Metafò spiegò: «La parola letteralmente è stata usata in modo figurato. È un abuso. Se la tua testa fosse letteralmente esplosa, non saresti qui a parlare.» Lucio chiese: «Ma non si può giocare con le parole?» - «Sì, ma bisogna sapere quando si gioca e quando si informa. La lingua è libertà, ma anche responsabilità.»
Alla fine della giornata, Lucio tornò a casa con un nuovo quaderno. Sulla prima pagina scrisse:
“La lingua è come una città: puoi esplorarla, abitarla, reinventarla. Ma non distruggerla.”
Arpista: un termine, due percorsi semantici
Nel linguaggio comune, arpista designa il musicista che suona l’arpa, strumento antico e raffinato, noto per il suo suono etereo e la tecnica elegante. Tuttavia, in alcuni contesti gergali, il termine assume un significato sorprendente: quello di ladro.
Questa accezione nasce da un’analogia gestuale. Il movimento delle dita che pizzicano le corde dell’arpa è simile a quello impiegato da chi, con destrezza e discrezione, sottrae oggetti dalle tasche altrui. Da qui l’uso figurato del termine per indicare chi “suona” portafogli anziché strumenti musicali.
Il termine arpa deriva dal germanico harpa, attestato già nel latino medievale come harpa, e indica lo strumento a corde verticali. Da qui, arpista come derivato regolare per il suonatore. L’estensione gergale a “ladro” è di tipo metonimico: si trasferisce il gesto tecnico (il pizzicare rapido e preciso) dal contesto musicale a quello furtivo. È un esempio di slittamento semantico basato sull’analogia motoria, frequente nei linguaggi settoriali e nel gergo urbano.
Una curiosità linguistica che mostra quanto la padronanza delle mani possa rivelarsi… polivalente.
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Nota d’autore. Questo articolo esplora le ambiguità semantiche del termine arpista, senza alcuna intenzione diffamatoria o allusiva verso persone o categorie professionali. L’analisi si muove esclusivamente sul piano linguistico, tra etimologia, gergo e uso figurato. Ogni riferimento a pratiche illecite è da intendersi come parte di una riflessione sul linguaggio, non come attribuzione di comportamenti reali.
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La lingua “biforcuta” della stampa
Un aereo militare di Mosca è stato rilevato nello spazio aereo vicino dell’Alaska
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Se esistesse il reato di “lessicocidio” e una legge comminasse, ove occorresse, l’ergastolo, la stampa cesserebbe d’esistere. Per mancanza di personale.

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