mercoledì 6 agosto 2025

Sgroi – 200 - “INCINTA”: CORRETTO O SBAGLIATO, AVVERBIO O AGGETTIVO?

 


di Salvatore Caudio Sgroi


  1. Costrutto marcato diatopicamente?

Un lettore (Luca) commentando il mio ultimo intervento (n. 199) “Donne incintA/incintE?” di domenica 3 agosto 2025, si è chiesto “se l'uso di incinta come avverbio in enunciati” quali (i) donne incintA e in gravidanza” e (ii) Nella sua vita aveva messo incintA due donnenon sia diatopicamente marcato, ovvero prevalente nel centro e nel nord dell'Italia”.

Il che ci ha stimolato a una mini-ricerca con 19 colleghi e amici a cui abbiamo chiesto: “(i) il costrutto ti è noto?, (ii) lo usi?”.

Diverse le reazioni. Per qualcuno, informante n. 1. (romano), la risposta è stata: Ovviamente lo conosco, e altrettanto ovviamente non lo uso. Trattasi di it. Popolare con reinterpretazione dell'oggetto come avverbio”, addirittura un “popolarismo panitaliano”.

L’informante n. 2. (romano) ha dichiarato: “1. conosco il costrutto "donnE incintA" […]; non ho mai sentito, ma posso ricordare male, "ha messo incintA due donnE", 2. non lo uso”.

Anche l’informante n. 3. (romano) ha precisato: “Lo conoscevo, non lo uso”.

L’informante n. 4 (romano): “Nel mio uso, c'è solo l'aggettivo. Riconosco di aver sentito anche l'uso indeclinato senza rimanerne scandalizzato”.

L’informante n. 5 (romano): “ho sentito molte volte il costrutto donne incinta”.

Ma un altro informante n. 6, (piemontese), ha invece puntualizzato: “avevo letto il sintagma, ma non ricordo dove. Non lo uso. […] Sicuro che non sia un uso meridionale? Mi pare che al nord Italia non ci sia. A Firenze nemmeno, come ovvio”.

Ignoto l’uso per altri informanti, tutti piemontesi. Il n. 7.: “non lo conoscevo, non lo uso”; il n. 8.: “1) no. Non l'avevo mai notato 2) vedi 1)”. E così per l’informante n. 9 (ligure): “Non lo conosco, non lo uso”.

E analogamente per altri informanti del Nord Italia Il n. 10. (Emilia-Romagna): “sì, il costrutto lo conosco […]”, ed ha anche mostrato la “meraviglia per la sua progressiva diffusione”; “certamente non lo uso; però, pare anche a me che si stia diffondendo sempre di più, anche nei media, tanto scritti quanto parlati”. Il collega n. 11. (Emilia-Romagna): “rispondo NO a tutti i […] quesiti”. L’informante n. 12 (Emilia-Romagna): “Non avevo mai sentito questa espressione”. Ancora il n. 13. (Lombardia): “non avevo mai sentito il costrutto. Non lo userei mai”. E poi i due informanti veneti: n. 14. “1) Non conoscevo questo costrutto 2) mai usato” e il n. 15.: “Non lo conoscevo”; l’informante n. 16. (Sicilia): “Mai sentito. Mai usato”; l'informante n. 19 (Lombardia) "1) no) 2 non lo uso".

Alla luce di quanto sopra, il sintagma marcato “donne incintA”, per me poco naturale, non è certamente meridionale-siciliano, né settentrionale, né centrale. Sembrerebbe quindi un uso romano (cfr. Informanti nn. 1-2-3-4-5). Ma il Vocabolario del romanesco contemporaneo. Le parole del dialetto e dell’italiano di Roma di P. D’Achille e C. Giovanardi (N. Compton 2023) non lo registra.


 2. Costrutto errato?

Quanto al giudizio normativo su tale costrutto domina certamente il giudizio di uso errato, implicitamente espresso da chi lo conosce, così l’informante n. 1. (romano): “ovviamente non lo uso”; l’informante n.2. (romano): “2. non lo uso”; l’informante n. 3. (romano): “Lo conoscevo, non lo uso”. Per l’informante n. 6. (piemontese) “è un semplice strafalcione”; secondo l’informante n. 14. (veneto): “Al momento potrebbe essere un semplice errore di esecuzione”; l’informante n. 15. (veneto): “non ne riconosco la legittimità”; l’informante n. 16. (siciliano): “Lo trovo agrammaticale”; l''informante n. 19 (lombardo): "aggettivo (da p.p.p.) male accordato".  Per l’informante n. 10. (Reggio-Emilia): “per me rimane un errore: ma, come sempre, ‘usus facit legem’, quindi può darsi che prima o poi venga riconosciuto come standard”.

Più tollerante l’informante n. 12.(Emilia-Romagna): “Benché la cosa mi lasci interdetto, mi sentirei di trattare la cosa con indulgenza”.

Però, va ricordato che si tratta di un costrutto usato anche da parlanti colti: vedi link <https://www.pampers.it/gravidanza/esperti/donne-incinta-ed-ingravidanza>, a cura della Dott.ssa Antonella Sagone, mentre l’informante n. 2 (romano) puntualizza: “1. conosco il costrutto ‘donnE incintA’” e “lo sento spesso usare, anche da persone di buona cultura”; ancora stando al collega n. 17 (Emilia-Romagna): “Le colleghe [di quale città?] sentivano "normale" la forma per me singolare senza concordanza al plurale”.


  1. Incinta agg. o avv.?

Alla mia domanda 3. “per te è un avverbio?” anche qui diverse le risposte.


3.1. Aggettivo

Senza contare il compianto Luca Serianni: “alcuni hanno creduto di aver che fare con una specie di avverbio. Ma è un errore marchiano.».(“La Crusca per voi” n° 16, aprile 1998, p. 15).

L’informante n. 13.: “Non mi sento di pensare a un avverbio per due ragioni. La distribuzione non è comunque quella di un avverbio, a differenza di quanto accade per esempio in piove forte. Inoltre, la forma di aggettivo usata come avverbio è la forma non marcata del maschile singolare”.

L’Informante n. 2.: “per me è aggettivo, collegato al participio (Serianni)”; l’informante n. 11.: anche l'incingersi dantesco [citato da Serianni] mi pare una retroformazione, un'invenzione, quasi abusiva, dal participio incinta, che significa semplicemente 'non cinta' (cfr. discinta).[…]. L'aggettivo è variabilissimo come testimonia il maschile incinto, se ricordo bene nel titolo di un film comico”.

Per l’informante n. 18.: “io l'ho sempre considerato aggettivo (quindi donne incinte)”.

Informante n. 9,: “non è un avv.”.

Informante n. 8.: “non 'vedo' proprio un incinta avverbio”.

Informante n. 19.: "aggettivo (da p.p.p.) male accordato".

Informante n. 15.: “ha ragione Serianni, non è un avverbio”.

Informante n. 7.: “per me è solo aggettivo e va concordato con donna/donne”.

Informante n. 14.: “mai usato: del resto mai dubitato che "incinta" sia un aggettivo”. Ma confronta anche § 3.2.

Informante n. 5.: “A mio avviso incinta viene percepito come un aggettivo invariabile anche perché viene analizzato come in- + il sostantivo femminile cinta” [cfr. § 3.2).


3.2. Conversione, avverbio

L'informante n. 1.:" Trattasi di it. Popolare con reinterpretazione dell'oggetto come avverbio";              "Lo ritengo avverbio, dal momento che è indeclinato".

L’informante n. 12.: “Evidentemente, come tu osservi, viene reinterpretata avverbialmente da alcuni, forse molti”.

Informante n. 3.: “Lo conoscevo, non lo uso, mi persuade la transcategorizzazione come avverbio e la riconduzione paretimologica a cinta” [cfr. § 3.1].

Informante n. 17.: “Solo il mio studente di allora, oggi ricercatore tenure track a Verona (nato nel 1987) mi aveva interpretato la parola come un sintagma: in cinta, senza però chiedersi dell'origine”.

Informante n. 4.: “Certo, è facile adire l'uso aggettivale pieno quando la struttura frasale ti ci porti per : mano: nella stanza ci sono due donne incinte, whatelse?. Se invece incinta entra a far parte di costruzioni tipo collocazioni V+i., restare, rimanere, mettere i., il mio orecchio non si sbalordisce dell'uso indeclinato (incinta come avverbio, un avverbio modale un po' particolare, certo, badando alla semantica...)”

Informante n. 14.: dopo aver affermato:“del resto mai dubitato che incinta sia un aggettivo” (cfr. § 3.1.), osserva: “ mah, se la mancanza di accordo si espandesse [cfr. § 1 informante n. 10] tra i parlanti, si potrebbe ragionare sul cambio di categoria.[…], per cui si tratta l'espressione come una specie di verbo sintagmatico”.

Informante n. 10.: “Penso anch'io che l'unica spiegazione possibile sia che chi lo usa ricategorizzi inconsciamente incinta come avverbio, analogamente ai casi di aggettivi in -e e in -o che tu citi. C'è una differenza importante, però: in tutti gli esempi che tu citi, questi aggettivi ricategorizzati in avverbi accompagnano un verbo; mentre nel caso di donne incinta funge da modificatore del nome”.


4. Conclusione

Confermo, concludendo, il carattere avverbiale di incinta, in quanto formalmente invariabile, e in quanto semanticamente sin. della loc. avverb “in gravidanzA”; all’informante n. 10. rispondo che uguale può modificare anche il verbo, es. “sono uguale (‘egualmente’) bravi; ovvero può avere la stessa “distribuzione” degli avv. (informante n. 13.).

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Sommario

  1. Costrutto marcato diatopicamente?

  2. Costrutto errato?

  3. Incinta agg. o avv.?

    1. Aggettivo

3.2. Conversione, avverbio

4. Conclusione

















(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)








14 commenti:

Pier Paolo Falcone ha detto...

Resto un po' perplesso leggendo le considerazioni del prof. Sgroi tese a giustificare, o addirittura a legittimare, la locuzione "donne incinta".
Mi colpisce in particolare l'affermazione: "Confermo, concludendo, il carattere avverbiale di incinta, in quanto formalmente invariabile, e in quanto semanticamente sin. della loc. avverb. “in gravidanzA”.
Penso ad una situazione analoga: "donna malata", ovvero, come si dice in contesto lavorativo e normativo, "donna in malattia". Potremmo quindi dire "donne malata", considerando "in malattiA" una locuzione avverbiale?

Salvatore Claudio Sgroi ha detto...

--1) Nel mio intervento ho riportato i giudizi di uso erroneo riguardo all’espressione “donne incinta, in gravidanza”. Ma nello stesso tempo ho sottolineato che è un uso di scriventi colti, come dimostrato dal link della dott.ssa Antonella Sagone, mentre l’informante romano n.2 ha osservato: “lo sento spesso usare, anche da persone di buona cultura”; e l’informante n. 10 ha anche avanzato la previsione: “ma, come sempre, ‘usus facit legem’, quindi può darsi che prima o poi venga riconosciuto come standard”. Dinanzi a ciò la “legittimazione” non è tanto mia quanto nei fatti, nei comportamenti dei parlanti.
-- 2) Se si dicesse “donne malata, in malattia” analogamente a “donne incinta, in gravidanza” l’analisi linguistica sarebbe certamente analoga con malata “avverbio”. Ma va anche detto che l'es. è puramente ipotetico, non documentabile con “Google libri ricerca avanzata”, come ho potuto verificare.

SALVATORE CLAUDIO SGROI

Luca ha detto...

Ho sempre saputo che "incinta" non è avverbio secondo l'uso dotto, eppure, quando scrivo, puntualmente è il mio superego linguistico che interviene a segnalare la questione. Per me, l'anima vera di "incinta" è avverbiale.
Preferisco scrivere "Ha messo incinta due donne". Scrivere "ha messo incinte" avrebbe un sapore letterario che normalmente non intendo conferire ai miei scritti.
Infine, Falcone nel suo commento non ha capito che il prof. Sgroi descrive quello che vede analizzando l'uso vero della lingua. Cosa abbiano scritto o detto linguisti del passato sulla lingua del loro tempo interessa, ma solo fino ad un certo punto.

Pier Paolo Falcone ha detto...

Tramite il link indicato dal prof. Sgroi, ho trovato l'articolo (pubblicità Pampers) della dott.ssa Sagone. Nell'articolo la "donna" compare SEMPRE al singolare:
… la donna riesce …
… la donna può sentirsi sola …
… la donna non è sola proprio mai …
… da un lato da [forse La] donna sperimenta il senso di stanchezza …
… La gravidanza dà e prende allo stesso tempo, sia al corpo che alla psiche materna: se da un lato offre la possibilità di provare, specie dopo i primi mesi, un senso di potenza e di invulnerabilità, la sensazione che proprio tutto sia possibile, dall’altro è accompagnato [forse accompagnatA: il soggetto è la gravidanza] da un senso di impotenza dovuto all’ineluttabilità del processo …
… un passo ineluttabile riguardo al quale la donna non ha alcun controllo.
… permette alla donna di apprendere a gestire la propria vita …
… prendendosi cura del corpo della futura mamma …
… occasione per la donna di ritrovare …
Ho indicato anche due errori di "stampa". Concludo: il titolo "Donne incinta" è, a mio parere, nient'altro che un errore. Ne ho trovati anche nel sito della dott.ssa Sagone; ne cito uno: "innumerevoli articoli in stampa e sul web; traduzioni e revisioni / adattaento di libri su temi psicologici e pedagogici …". Forse si tratta di "adattamento"?

Pier Paolo Falcone ha detto...

Gentile sig. Luca,
purtroppo nell' "uso vero" della lingua, anche da parte di molti parlanti dotti (non negli scritti, grazie al correttore automatico), imperversano: "presempio", "le fila" (invece delle file), "evacuare" riferito alle persone fatte allontanare da casa, "dalla Regione Lazio e Puglia" (preso da un giornale), nonché altre perle consimili.
Mi permetto quindi di correggerla: non è vero che "non capisco"; dica piuttosto che mi rifiuto categoricamente di capire.

s.c.s. ha detto...

Negli ess. della pubblicità Pampers riportati dal lettore Pier Paolo Falcone, come da lui ribadito, la “donna” è sempre al singolare. Ed è normale che sia così. Egli riporta anche dei refusi, su cui non si può non essere d’accordo. Ma nel contempo trae la conclusione che “il titolo "Donne incinta" è, a [suo] parere, nient'altro che un errore”. In realtà, non può essere un errore perché, come dimostrato nel mio intervento, tutti gli informanti romani -- ben 5 –  conoscevano il costrutto, pur non usandolo, il n. 6 piemontese l’aveva letto da qualche parte, il n. 10 (Emilia-Romagna) era meravigliato “per la sua progressiva diffusione”;“Le colleghe dell’informante n. 17 (Emilia-Romagna) sentivano "normale" tale forma. Con tanti testimoni il refuso è quindi assolutamente da escludere. Stupisce quindi il suo “rifiuto categorico di capire”: non è un refuso.
Salvatore Claudio Sgroi

Pier Paolo Falcone ha detto...

Io non ho la possibilità di rivolgermi a degli "informanti". Segnalo però che tutte le persone, con le quali, in passato, ho avuto occasione di confrontarmi, conoscono costrutti del tipo: "le fila del partito X", "gli abitanti sono stati fatti evacuare", ecc. Costrutti che sentono - o leggono - moltissime volte e che continuano a considerare errati.
Per quanto concerne la pubblicità Pampers, varrebbe forse la pena di verificare se questa azienda ha avuto effettivamente la volontà di contribuire alla diffusione di quella variante lessicale. Altri titoli del sito: "Incinta durante l'allattamento"; "Mamma e figlio: una squadra formidabile"; "Da madre a madre"; "Abbigliamento firmato donna"
Segnalo anche che in alcune pubblicità compaiono volutamente strafalcioni grossolani o frasi senza senso: hanno la funzione di richiamare l'attenzione di un pubblico sempre più distratto, non di contribuire alla evoluzione del linguaggio.
Tornando a "Mamme incinta", ho riletto le dichiarazioni degli "informanti" citati dal prof. Sgroi: non mi sembra che tutti considerino corretta l'espressione. L'ipotesi del prof. Sgroi è che lo sia; la mia è che si tratti di un errore. L'epistemologia ci dice che nessuna ipotesi può essere dimostrata "assolutamente vera".

s.c.s. ha detto...

Il lettore Pier Paolo Falcone mette insieme tante cose. E mi permetto di invitarlo a leggere con più attenzione i miei due interventi, senza attribuirmi affermazioni che non ho assolutamente fatto.
Occorre in primo luogo distinguere: 1) il concetto di “Errore” ovvero “uso giudicato errato”, in base a criteri non sempre esplicitati e 2) Regola che genera un uso legittimamente o meno giudicato errato. Per i primi ess. giudicati “errati”, da lui citati, bisognerebbe: a) esplicitare il criterio alla base di tale giudizio e b) individuare le Regole che li hanno generati, ovvero prodotti.
--Quanto alla Pubblicità, d’accordo sulle finalità di attirare l’attenzione, ma anche qui occorre individuare le Regole alla base degli “strafalcioni”. E si tratta certamente di “evoluzione del linguaggio”. L’“evoluzione del linguaggio” si sottrae al giudizio di essere buona o cattiva!
--Quanto ai miei informanti, ma chi aveva mai detto che “tutti considerino corretta l’espressione”? Io avevo anzi subito anticipato che “domina certamente il giudizio di uso errato”. E avevo anche ricordato: (i) l’uso di una parlante colta (la dott.ssa A. Sagone), (ii) i dati dell’informante n. 2 “lo sento spesso usare, anche da persone di buona cultura”; (iii) e del collega n. 17 : “Le colleghe sentivano "normale" la forma per me singolare senza concordanza al plurale”. Per cui il costrutto può anche essere giudicato “corretto”, come osservava l’informante n. 10: “come sempre, ‘usus facit legem’, quindi può darsi che prima o poi venga riconosciuto come standard”.
Il nostro lettore si schiera con chi giudica assolutamente “errato” tale uso, ma così facendo chiude gli occhi sulla realtà linguistica, sul fatto cioè che l’uso sta cambiando.
Savatore Claudio Sgroi

Pier Paolo Falcone ha detto...

Scusi prof. Sgroi se mi permetto di scrivere ancora. Certamente non intendo competere con lei sulle questioni linguistiche, ma solo sul piano della logica.
1. Mi rimprovera di non leggere con attenzione i suoi interventi; forse anche lei non ha letto con attenzione i miei. Ha scritto: "Stupisce quindi il suo “rifiuto categorico di capire”: non è un refuso." Questo mio "rifiuto categorico" non era rivolto a lei, ma al sig. Luca, che parlava di "uso vero della lingua", e concludeva "Cosa abbiano scritto o detto linguisti del passato sulla lingua del loro tempo interessa, ma solo fino ad un certo punto". E' al sig. Luca che mi rivolgevo, citando come esempi di uso vero della lingua "presempio", "le fila" (invece delle file), "evacuare" riferito alle persone fatte allontanare da casa. Personalmente, resto convinto che l'uso ripetuto di "presempio" non lo faccia diventare corretto; altrimenti dovremmo accettare anche che una bugia ripetuta molte volte diventi una verità.
2. Non capisco per quale ragione lei concluda: "Con tanti testimoni il refuso è quindi assolutamente da escludere." Mentre gli altri che ho segnalato lo siano davvero. “Come sempre, ‘usus facit legem’, quindi può darsi che prima o poi venga riconosciuto come standard”: torno a "presempio", all'indicativo imperfetto invece del congiuntivo quando riferito al passato, al futuro nelle frasi ipotetiche ("penso che domani potrà piovere"). Non sempre "usus facit legem": il fatto che ci siano molti borseggiatori non rende legittima tale pratica.

s.c.s. ha detto...

Caro Signor Pier Paolo Falcone, apprezzo la sua voglia di capire, e mi sposto con lei “sul piano della logica”. Il fatto è che la “logica della lingua” è ben diversa dalla “logica della vita”. Una distinzione essenziale che lei non fa, anche perché ignorata dalla scuola (e dalla grammatica) tradizionale. Così la “bugia ripetuta molte volte” o l’esistenza di “molti borseggiatori” da lei equiparati metaforicamente ai fatti linguistici non hanno nulla a che fare con la “logica della lingua”. Gli ess. linguistici che lei fa non mi sono molto chiari: indic. imperf. pro cong. (es.?). L’es. di “futuro nelle frasi ipotetiche (‘penso che domani potrà piovere’)”: non è affatto un es. di frase ipotetica, ma si tratta di un’oggettiva. Per capire di più, l’unica cosa che potrei consigliarle è di studiare un po' di linguistica generale, a partire da un manuale di quelli universitari, previsti nel triennio.
P.S. Il suo es. è citato (come uso corretto) nel De Mauro “le autorità hanno evacuato le popolazioni alluvionate”; lo stesso De Mauro indica “le fila” come “pl. rar.”. L’uso di “presempio” è un regionalismo cfr. “Google libri ricerca avanzata”.
Salvatore Claudio Sgroi

Pier Paolo Falcone ha detto...

Gentile prof. Sgroi,
torno alla questione “Donne incinta ed in gravidanza”. Ho scritto direttamente alla Dott.ssa Antonella Sagone; la risposta è stata decisamente chiarificatrice. Ne riporto qualche brano:
“… penso che il titolo sia stato sostituito da loro [Pampers] … Non uso la D eufonica prima di vocali che non siano la stessa che precede … In particolare poi dubito di aver potuto scrivere un titolo del genere, perché … non avrei mai associato due termini [incinta – in gravidanza] che, sostanzialmente, significano la stessa cosa … Incinta è un participio passato (da incingere) … e va declinato come tale (per analogia, si pensi a un termine affine come "discinta", anch'esso da declinare). Non si tratta di una parola composta (in-cinta, così come si direbbe in casa, o in carrozza, ecc.) … da cui il senso avverbiale …”.
Mi permetto quindi di contestare la sua certezza assoluta che il titolo incriminato sia un “uso di scriventi colti, come dimostrato dal link della dott.ssa Antonella Sagone.”

s.c.s. ha detto...

Eliminiamo la dott.ssa A. Sagone come scrivente colta, in quanto lei si è dissociata dal costrutto "Donne incinta ed in gravidanza", che ha attribuito a una manipolazione della Pampers. Rimane però il fatto che l'informante n.2 (romano) aveva precisato: il costrutto “lo sento spesso usare, anche da persone di buona cultura”, mentre il collega n. 17 (Emilia-Romagna) aveva detto: “Le colleghe [universitarie] sentivano "normale" la forma per me singolare senza concordanza al plurale”. L'uso non è quindi esclusivo dell'italiano popolare. L'informante Il n. 10. (Emilia-Romagna) aveva dichiarato “meraviglia per la sua progressiva diffusione”; e "pare anche a me che si stia diffondendo sempre di più, anche nei media, tanto scritti quanto parlati”; e ancora: "come sempre, ‘usus facit legem’, quindi può darsi che prima o poi venga riconosciuto come standard". L'erroneità del costrutto non è quindi assoluta, l'uso essendo in espansione presso parlanti non-popolari.
Salvatore Claudio Sgroi

Pier Paolo Falcone ha detto...

Gentile prof. Sgroi,
Non trovo simpatico il suo “Eliminiamo la dott.ssa A. Sagone come scrivente colta”. Scritto così, sembra che la voglia escludere dal novero degli scriventi colti; ma forse intende solo eliminarla dal novero dei sostenitori della correttezza dell’espressione di cui si discute.
Non ho mai contestato che detta espressione sia in uso, come del resto molti altri errori (ho già citato ‘presempio’; sarà magari un regionalismo, ma lo sento da parlanti colti del Nord, del Centro e del Sud): contesto l’assolutezza del criterio ‘usus facit legem’. Questa non può diventare l’unica regola vigente.
Non mi è chiara poi la distinzione tra “logica della lingua” e “logica della vita”. La lingua serve per comunicare dei contenuti: io mi riferivo alla logica dei contenuti. Logica è (copio da Treccani): “condurre il ragionamento, l’argomentazione, il discorso in modo che le idee siano tra loro connesse …”
Non sembra logica la sua affermazione “Con tanti testimoni il refuso è quindi assolutamente da escludere. Stupisce quindi il suo 'rifiuto categorico di capire': non è un refuso”. Tra questi testimoni (o informanti), come lei stesso scrive, “domina certamente il giudizio di uso errato”. Ecco la sua “logica”: domina il giudizio di uso errato; quindi è assolutamente da escludere che sia un refuso.
Comunque, BUON FERRAGOSTO!

Salvatore Claudio Sgroi ha detto...

Egregio Signor Pier Paolo Falcone, la dott.ssa A. Sagone è per definizione "scrivente colta" che, non adoperando l'espressione incriminata come da lei stessa precisato, non può essere inserita nel novero degli utenti colti di tale espressione. Per il resto, rinuncio a disquisire sui criteri per definire l'Errore, ecc. E le ricambio gli auguri di un sereno Ferragosto.
S.C.S.