Quante volte ci siamo trovati a scrivere “vicino” e ci è venuto il dubbio: ma qui è un aggettivo o un avverbio? E soprattutto… cambia qualcosa? La risposta è sì, eccome se cambia. In queste noterelle smascheriamo le ambiguità di una parola apparentemente innocua, ma capace di mettere in crisi anche i più navigati tra gli amanti della lingua di Dante. Un piccolo viaggio tra sintassi e buon senso, con esempi chiari e una regola semplice da ricordare. Perché anche le parole più comuni, a volte, nascondono insidie da “SciacquaLingua”.
Il sintagma vicino appartiene quelle parole che possono trarre in inganno: a volte è aggettivo, altre volte è avverbio. Capire la differenza è fondamentale per usare correttamente l’italiano, soprattutto quando si vuole scrivere o parlare con precisione. La chiave per distinguere le due funzioni sta nel contesto e nella forma.
Quando vicino è un aggettivo, accompagna un nome e si accorda con questo in genere e numero. Ciò significa che può diventare vicina, vicini, vicine a seconda del sostantivo che descrive. Per esempio: – Una casa vicina → “vicina” descrive “casa”, che è femminile singolare. – I negozi vicini → “vicini” descrive “negozi”, che è maschile plurale. In questi casi, vicino funziona come qualsiasi altro aggettivo, come grande, bella, nuovo. Se puoi sostituirlo con un aggettivo e la frase continua a funzionare, allora sei di fronte a un aggettivo.
Se, invece, vicino è un avverbio, non si riferisce a un nome e non cambia mai forma: rimane sempre “vicino”. In questa funzione, indica una posizione o una distanza, e modifica il verbo. Per esempio: – Vieni vicino → “vicino” dice dove venire, non descrive un nome. – Abita vicino al centro → “vicino” modifica il verbo “abita”, specificando la posizione. In questi casi, puoi sostituirlo con un altro avverbio come lontano, sopra, dietro, e la frase resta corretta. Questo è un buon “test” (si perdoni il barbarismo) per capire se si sta usando un avverbio. Da ricordare, inoltre, che se si trova davanti a un sostantivo si "trasforma" in una locuzione preposizionale e deve essere seguito, tassativamente, dalla preposizione “a”: Giovanni abita vicino a casa mia. Può essere anche sostantivo quando acquisisce l’accezione di “chi/che si trova accanto”: il mio vicino di pianerottolo; i miei vicini di ombrellone.
Un modo semplice per verificare la funzione di vicino è provare a cambiarlo al femminile o al plurale. Se la frase regge con vicina, vicini, vicine, allora è aggettivo. Se invece "suona male" o non ha senso, è avverbio. Un esempio: – Una casa vicino → suona strano, non è corretto. – Una casa vicina → corretto, aggettivo. – Sta vicino al parco → corretto, avverbio. – Sta vicina al parco → sbagliato, perché “vicina” non modifica il verbo.
Per concludere, vicino è aggettivo quando descrive un nome e si accorda con questo; è avverbio quando indica una posizione e resta invariabile. Basta osservare la frase, provare a cambiare la forma, e magari sostituirlo con un altro aggettivo o avverbio per avere la conferma. Con questa 'regola', il dubbio non dovrebbe più sussistere.

2 commenti:
Leggo: "... se si trova davanti a un sostantivo si "trasforma" in una locuzione preposizionale e deve essere seguito, tassativamente, dalla preposizione “a”".
Noto però che un numero sempre maggiore di parlanti e scriventi colti omette la preposizione: "vicino Roma", "vicino casa mia". Credo che si tratti di un "barbarismo": in inglese, "near" (= vicino) è anche preposizione.
Che fare? Il numero notevole di parlanti e scriventi colti che ignorano la regola suddetta rende accettabile la soppressione della preposizione?
Che fare? Il numero notevole di parlanti e scriventi colti che ignorano la regola suddetta rende accettabile la soppressione della preposizione? A mio avviso NO.
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