giovedì 14 agosto 2025

La favola della sessantata

 

C’era una volta, nel lontano Regno del Tempo, un villaggio chiamato Minutopoli, dove vivevano i minuti, piccoli esseri nervosi, sempre di corsa, sempre in ritardo. Tutti i giorni, sessanta di loro si mettevano in fila per formare un’Ora, una creatura elegante ma un po’ rigida, che si vantava di essere l’unità ufficiale del tempo civile.

L’Ora era rispettata, certo, ma anche temuta. “Un’ora di riunione,” dicevano gli abitanti, e già sbuffavano. “Un’ora di attesa,” e già si lamentavano. I minuti, stanchi di essere solo numeri, cominciarono a sognare qualcosa di diverso. Fu allora che, in una notte di luna piena e ticchettii sommessi, nacque Sessantata, figlia ribelle dell’Ora e dei minuti stanchi. Sessantata non voleva essere solo una misura. Voleva essere anche un’esperienza.

“Non sono un’ora qualunque,” esclamò, con voce morbida e decisa. “Sono un arco di tempo vissuto con intenzione. Una passeggiata, una lettura, una chiacchierata. Sessanta minuti, sì, ma pieni di significato.”

Il sovrano del Tempo, incuriosito, convocò i Saggi della Lingua. Uno di loro, il vecchio Etimologio, spiegò:

“Il nuovo termine sessantata nasce dall’unione di sessanta e del suffisso -ata, che in italiano indica durata o evento. Come mattinata è il mattino vissuto, sessantata è l’ora sentita, assaporata, non solo contata. Da non confondere con sessantina, che ha tutt'altro significato”.

I sudditi, entusiasti, applaudirono. E da quel giorno, chi voleva indicare “un’ora” ma con più gusto, più anima, più stile, diceva sessantata.

Il neologismo lessicale cominciò a circolare tra le vie del villaggio, come un profumo nuovo. La sarta, sistemando rocchetti e aghi, diceva:

“Mi prendo una sessantata di cucito, poi vado al mercato.”

          Il poeta, seduto sotto il salice, sussurrava:

“Ho vissuto una sessantata di silenzio, e ho trovato un verso.”

          Il fornaio, impastando con mani esperte, rideva:

“Una sessantata di lievitazione e il pane canta!”

          E i bambini, correndo tra le siepi, gridavano:

“Facciamo una sessantata di nascondino, poi merenda!”

Così sessantata divenne un modo per dire che il tempo non è solo quantità, ma anche qualità. Non si trattava più di cronometrare, ma di “vivere”. E chi diceva sessantata non contava i minuti, li abbracciava.

Da quel giorno, nel Regno del Tempo, non si parlò più soltanto di ore, minuti e secondi. La sessantata aveva insegnato a tutti che il tempo non è un tiranno, ma un compagno. Che ogni arco di sessanta minuti può essere una piccola avventura, un respiro, un gesto d’amore.

E anche l’Ora, che all’inizio era un po’ rigida, imparò a sorridere. Si prese una sessantata di riposo, poi una sessantata di ascolto. E capì che non c’è nulla di più prezioso del tempo vissuto con intenzione.

Così, tra cuciture, versi, impasti e giochi, Minutopoli divenne il villaggio dove il tempo non correva, danzava...





Nessun commento: