Una volta, durante un seminario universitario, un giovane economista parlò con passione di “manovre inflattive” davanti a una platea attenta. Al termine, un docente gli si avvicinò con garbo e gli disse: “Ottima analisi, ma attento: le parole sono strumenti, non approssimazioni.” Quel piccolo scarto — una “t” di troppo — aveva tradito una disattenzione non solo formale, ma concettuale. Da allora, quel giovane imparò che la precisione linguistica non è pedanteria: è rigore, è rispetto, è chiarezza.
Nel linguaggio tecnico della linguistica e dell’economia, il lessema inflativo si affaccia con discrezione ma con una funzione ben precisa. Eppure, come accade per suppletivo, anche inflativo è spesso vittima di una grafia errata: inflattivo, con due “t”. Un errore che, sebbene diffuso, merita di essere corretto, non solo per rispetto della forma, ma per la comprensione profonda del significato e dell’origine dell’aggettivo.
Il sintagma inflativo proviene, dunque, dal latino inflatio, dal verbo inflare, “gonfiare”, “soffiare dentro”. Da qui, in ambito economico, inflazione indica l’aumento generale dei prezzi, e inflativo diventa l’aggettivo che indica ciò che tende a causare o accompagnare l’inflazione.
Non vi è alcuna base etimologica per la geminazione della “t”: il verbo inflare non contiene una doppia consonante, né la forma inflatio giustifica l’aggiunta. La grafia inflattivo è dunque una deformazione, probabilmente influenzata da parole come correttivo, attrattivo, distrattivo, dove la doppia “t” è giustificata dal verbo di origine (correggere, attrarre, distrarre). Ma inflativo non segue questa logica: non deriva da inflattare, verbo inesistente, bensì da inflare, che, come abbiamo visto, non ha geminazione.
In grammatica, inflativo si può adoperare per descrivere strutture o fenomeni che “gonfiano” il significato, che amplificano, che aggiungono enfasi o ridondanza. In economia, invece, è impiegato per qualificare politiche, tendenze o effetti che contribuiscono all’aumento dei prezzi: “una manovra inflativa”, “un effetto inflativo sul mercato”.
La forma inflattivo, oltre a essere tremendamente errata, rischia di confondere il lettore, suggerendo un’origine verbale che non esiste distorcendo anche la logica morfologica della parola.
Come nel caso di suppletivo, anche inflativo ci ricorda che le parole non sono semplici etichette: sono organismi con una storia, una struttura, una coerenza interna. Usarle correttamente significa rispettare la lingua come sistema, e non come somma arbitraria di suoni.
In conclusione, inflativo è la sola forma legittima. Adoperarla con cura è un gesto di consapevolezza linguistica, un piccolo atto di resistenza contro la superficialità lessicale. Perché anche le parole, come le idee, meritano precisione.
“Chi gonfia le parole, sgonfia il pensiero.” (anonimo)
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Senza parole!

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