venerdì 10 marzo 2023

Sgroi - 146 - Ancora sul pronominale «Mi auspico»


 di Salvatore Claudio Sgroi

 

1. Con riferimento a un nostro intervento di quasi un lustro fa (31 dic. 2018) Sgroi - "Mi auspico" errato? E perché?", il prof. Filippo Brancato, preside di Liceo, ha inviato ora il seguente commento:

«Resto fermamente convinto che la forma riflessiva "auspicarsi" e' errata, frutto di impropria equivalenza con "augurarsi". Tuttavia e' l'uso corrente diffuso ad imporre e legittimare le forme linguistiche; con buona pace, purtroppo, della purezza semantica».

 

2. Ferma restando la legittimità di giudicare (soggettivamente) «errata» ovvero «impropria» la forma pronominale auspicarsi col valore di augurarsi,  il richiamo alla «purezza linguistica» con la giustificazione logicistica («equivalenza con augurarsi») lascia invero non poco perplessi. La nozione di «purezza linguistica» è infatti estranea alle categorie della linguistica moderna, senza dire che la nozione di «purezza» in generale richiama inevitabilmente ideologie politiche d'antan.

L'A. distingue in parte il piano della Norma, ovvero il "giudizio di valore" della forma pronominale (per lui, ripetiamo, «errata»), dalla Regola che ha generato tale forma, ovvero l'essere «frutto di equivalenza con augurarsi». E alla fine è costretto (fortunatamente) a richiamare «l'uso corrente» dei parlanti, che «impone e legittima le forme linguistiche». Un uso da noi esemplificato con una decina di autori, accresciuti anche nel nostro Gli Errori ovvero le Verità nascoste (Palermo, Centro di Studi filologici e linguistici siciliani 2019, pp. 173-77) di un es. ottocentesco: 

 

1858 Ant. Ferrari: «Delusione intorno alle interne migliorie da auspicarsi per impulso del governo» (I misteri d’Italia o gli ultimi suoi sedici anni (1849-1864), Venezia, Cecchini 1866, t. II, p. 199),

3. Se per il nostro lettore l'uso è «errato» (lo Zingarelli 2022 ritiene che auspicarsi p. es. nella frase mi auspico un impegno da parte di tutti «non è consigliabile», con argomentazione logicistica «dal momento che già la forma tr. auspicare significa 'augurarsi'»), per noi invece è "corretto" per una duplice ragione: a) è del tutto comprensibile e b) gli utenti sono italografi colti, senza dire c) dell'avallo di lessicografi come De Mauro 2000 che etichetta tale forma di uso «CO[mune] », noto cioè a laureati e diplomati.




  






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