venerdì 25 settembre 2020

Sgroi - 78 - La "terza via" dell'anti-sessismo linguistico di Vera Gheno

 


di Salvatore Claudio Sgroi

 1. L'evento

Un caro amico, conoscendo la mia scarsa familiarità con Facebook,  ha voluto riportare dalla pagina appunto Facebook della brava sociolinguista Vera Gheno:

https://www.facebook.com/wanderingsociolinguist/posts/10158476343335915

uno "schwpiegone. Post in espansione" relativo al problema di come rendere graficamente il maschile/femminile dei nomi animati recentemente dibattuto da chi crede che la lingua sia morfologicamente sessista.

 2. La lingua grammaticalmente sessista?

Non mi soffermerò qui sul problema del (presunto) sessismo grammaticale della lingua, di cui in passato mi sono più volte occupato (per es. <https://faustoraso.blogspot.com/>): (i) Per smentire la teoria della lingua sessista, 17 gennaio 2017, (ii) Ancora sul sessismo linguistico, 20 gennaio 2017, (iii) La Crusca neo-sessista "con juicio", 25 luglio 2017, (iv) Gli usi dei parlanti e la pseudo-teoria del 'sessismo' linguistico, 23 giugno 2019, (v) Sessismo linguistico e libertà del(la) parlante, 6 luglio 2019, e più accademicamente in (As)saggi di grammatica laica, Ed. dell'Orso 2018, cap. 2).

I sostenitori di tale tesi confondono invero il problema del genere grammaticale (maschile/femminile) col problema del sesso (maschio/femmina) dei referenti dei nomi animati e sottovalutano che la funzione prioritaria del genere grammaticale delle lingue è quella di garantire la coesione sintattica attraverso l'accordo (es. tutti gli uomini sono uguali VS *tutte gli uomine sono uguale, ecc.) e solo secondariamente far riferimento anche al sesso.

         3. Dalla parte della Gheno

Qui invece mi porrò dalla parte di Vera Gheno per discutere con lei come rendere la grafia ambigenere <tutti e tutte>, <tutte e tutti>, ovvero con <tutt*>, <tutt@>, <tutt>, <tuttx>, <tutty>, <tuttu>, <tutte/i>, <tutte e tutti>. O ancora, come ora lei propone, col suono indistinto schwa [ə], per es. in <tuttə>.

 3.1. Plurigrafismo e variabilità sociolinguistica

Che ci siano più alternative ("tante soluzioni diverse" lamenta la Gheno) e non una sola, sembra una preoccupazione invero poco giustificata, per una sociolinguista. Come in altri casi, anche qui la pretesa di una sola regola significa non tener conto della naturale variabilità (socio)linguistica.

 4. Una riflessione teorica sull'analisi morfologica

Ai fini di una discussione critica (costruttiva) è necessario affrontare dal punto di vista della linguistica generale il problema dell'analisi dei morfemi grammaticali femm./masch., sing./plur..

Come sa qualunque studente che abbia fatto un corso di linguistica generale, in un lessema  come car/o-i, car/a-e si distinguono due componenti: la radice (o morfema lessicale) car- e il morfema grammaticale: -o/-i, ed -a/-e, indicante a un tempo inclusivamente il genere (maschile o-i / femminile a-e) e il numero (singolare o-a / plurale i-e).

Detto in altri termini, il morfema grammaticale è saussurianamente un segno linguistico bifacciale, ovvero {-o}, costituito da un /significante/ sonoro (/o/) e da un "significato" grammaticale ("masch. e sing."). Schematizzando:

                               significante /o/

Segno {-o} ---------------------------------

                   significato "masch. e sing."

 4.1. L'asterisco e la chiocciola al vaglio dell'analisi morfologica

Ora nel caso della soluzione grafica con asterisco *, o con chiocciola @, tale segno grafico è sempre un morfema grammaticale, ma puramente grafico: {<*>}, {<@>}. Ovvero si tratta di un segno linguistico bifacciale costituito da un <significante> non però sonoro come (/o/) ma grafico come <*> o <@> e da un "significato" grammaticale cumulativo o inclusivo indicante a un tempo cioè "masch./femm. e sing./plur.". Schematizzando:

                                                 significante /<*>, <@>/

Segno {<*>}, {<@>} ----------------------------------------------

                                    significato "masch./femm., sing./plur."

 4.2. "chi omette l'ultima lettera"

La stessa analisi è applicabile nel caso "chi omette l'ultima lettera", es. car . Il morfema lessicale car è cioè seguito da un "morfema grafematico zero" {Ø}, come se fosse carØ. Tale morfema {Ø} in quanto segno bifacciale è costituito da un /<significante grafematico zero>/ non-sonoro che rinvia a un "significato grammaticale cumulativo". Schematizzando:

                                          significante /<Ø>/

Segno {<Ø>} -----------------------------------------------

                        significato "masch./femm., sing./plur."

 4.3. " chi usa la u, chi la x e chi la y"

Chi utilizza le lettere <u>, <x>, <y> sembra invece proporre una soluzione decisamente ambigua, perché tali lettere dovrebbero avere il valore di significante puramente grafico e non fonologico ma i significanti grafici <u>, <x>, <y>  rimandano decisamente in italiano, soprattutto <u>, al valore fonologico rispettivamente /u/, /ks/, /i/. Schematizzando:

                                  significante grafico <u> sonoro /u/,

                                graf. <x> son. /ks/, graf. <y> son. /i/

Segno {< u, x, y>} ----------------------------------------------

                      significato "masch./femm., sing./plur."

 4.4. "chi usa la barra /" (es. care/i, cari/e)

"Chi preferisce usare la doppia forma, quella forse più comune (es. Un caro benvenuto a tutte e tutti)", opta invece per la grafia alfabetica tradizionale, ovvero adotta una soluzione sintagmatica, che non pone alcun problema strettamente grafico.

 4.5. "chi usa il femminile sovraesteso"

Chi "usa il femminile sovraesteso" -- altra soluzione ricordata dalla Gheno -- ovvero chi "usa il femminile anche là dove ci fossero alcune persone di sesso maschile, 'ribaltando' la regola tradizionale" rimane sempre all'interno della grafia tradizionale ma va controcorrente per quanto riguarda le regole morfologiche della coesione grammaticale legate al genere grammaticale [che non andrebbe confuso, come accennato, col "sesso" (naturale), come invece fa chi accusa o colpevolizza la lingua di essere grammaticalmente sessista].

 5. Asterisco, chiocciola e <Ø> equivalenti a un logogramma

I morfemi grammaticali puramente grafici {<*>}, {<@>} e {<Ø>} che rinviano a un significato grammaticale, come detto, cumulativo o inclusivo sono l'equivalente di un logogramma/ideogramma o di un carattere cinese, il cui disegno non dà indicazioni sulla pronuncia ma solo sul significato. La Gheno osserva sì che asterisco e chiocciola "non hanno un suono", ma sottovaluta la rilevanza teorica di tale fatto, che considera anzi un inconveniente a cui por riparo con il ricorso al suono indistinto dello schwa [ə], es. in <tuttə>.

 6. La soluzione dello schwa <-ə> /ə/ della Gheno alla luce dell'analisi morfologica

Alla luce di quanto sopra, la soluzione dello schwa <-ə> /ə/, proposta dalla Gheno, ovvero <tuttə> col valore inclusivo di 'tutti e tutte' e da leggere con la vocale indistinta /ə/ propria del francese, dell'inglese o del napoletano, risulta di difficile applicabilità, perché combina la scelta teorica con una difficoltà pratica, quella cioè

(i) di indicare sì come nei sistemi ideografici un significato, ovvero cumulativamente il 'genere maschile/femm., sing./pl.', ma nel contempo

(ii) di indicare, come nei sistemi fonologici il suono-fonema /ə/, che tra l'altro non esiste in italiano se non nei dialetti o nell'italiano fortemente regionalizzato partenopeo.

A questo punto, le altre alternative per indicare a un tempo cumulativamente o inclusivamente il genere masch./ femm., sing./pl. sembrano tutte di gran lunga preferibili, sia dal punto di vista teorico che pratico.

 7. Lo schwa graficamente <ə> e fonologicamente /ə/: una "terza via"?

Alla fine, se la Gheno preferisce lo schwa in <tuttə> (a <tutt*>, <tutt@>, <tutt>, <tuttu>, <tutte/i>, <tutte e tutti>, <tutti e tutte>) non può pretendere che la scelta grafica <tuttə> abbia, oltre che valore morfologico-ideografico, anche valore fonologico obbligando gli italiani a imparare un suono a estraneo al sistema fonologico dell'italiano.

Data poi anche la complicazione di andare a pescare il simbolo <ə> rispetto all'asterisco o alla chiocciola, è difficile seguirla in questa scelta.

Più che una "terza via" o un "arricchimento del sistema" la soluzione dello schwa <ə> della Gheno mi sembra invero una proposta poco felice legata a una insufficiente riflessione di teoria linguistica.

 8. Scelta laica: au choix

D'accordo invece con la Gheno ritengo alla fine che "la via da percorrere sia usare il maschile per chi vuole il maschile, il femminile per chi vuole il femminile" mentre per "chi non vuole usare né il femminile né il maschile" lo scrivente -- aggiungo io -- dispone di più scelte: l'asterisco, la chiocciola, l'omissione dell'ultima lettera, ovvero la sbarra, ma anche lo schwa puramente grafico <-ə>, e se proprio vuole le altre possibilità (§ 4.3 e -- decisamente controcorrente -- § 4.5).

 

Sommario

1. L'evento

2. La lingua grammaticalmente sessista?

3. Dalla parte della Gheno

3.1. Plurigrafismo e variabilità sociolinguistica

4. Una riflessione teorica sull'analisi morfologica

4.1. L'asterisco e la chiocciola al vaglio dell'analisi morfologica

4.2. "chi omette l'ultima lettera"

4.3. " chi usa la u, chi la x e chi la y"

4.4. "chi usa la barra /" (es. care/i, cari/e)

4.5. "chi usa il femminile sovraesteso"

5. Asterisco, chiocciola e <Ø> equivalenti a un logogramma

6. La soluzione dello schwa <-ə> /ə/ della Gheno alla luce dell'analisi morfologica

7. Lo schwa graficamente <ə> e fonologicamente /ə/: una "terza via"?

8. Scelta laica: au choix




 

 

 

2 commenti:

Vera Gheno ha detto...

Molte grazie al professor Sgroi per la sua attenta analisi del mio post. Lo ringrazio soprattutto perché, in un clima di generalizata isteria, in molti casi aprioristica, rispetto a tutta la discussione, si è preso la briga di discutere la questione in termini scientifici, senza derubricarla a sciocchezza. Vorrei solo aggiungere alcuni punti che, forse, dalla lettura del solo post su Facebook non sono desumibili.

1) Io non penso affatto che l'italiano sia sessista; casomai, posso pensare che se ne possa fare un uso sessista, in alcuni casi. L'altra questione è che, da "donna bianca etero cisgender", non ho piena consapevolezza di come si possano sentire le persone che non si identificano con i due generi canonici di fronte a quella che loro sentono come una limitazione espressiva (l'esistenza dei due generi grammaticali); e sulla difficoltà di "camminare nelle scarpe degli altri", suggerisco la lettura del volume di Federico Faloppa #Odio.

2) Non vivo l'esistenza di molte soluzioni a tale "limitazione" come un problema; anzi, altrove ho rilevato che proprio tale molteplicità mi pare la miglior risposta a chi pensa che si tratti di una questione sollevata da un'élite che la vuole imporre dall'alto sulla massa dei parlanti. Proprio girando per l'Italia e incontrando persone di associazioni, gruppi, collettivi diversi ho per così dire toccato con mano la grande varietà di soluzioni adottate, e ne sono rimasta decisamente affascinata. Per prima cosa, dunque, ho cercato di censirle. Allo stesso modo, non ho mai preteso di creare una sola regola; anzi.

3) Effettivamente, la mia proposta dello schwa, nata come boutade e come tale semplicemente accennata nel libro "Femminili singolari" (in risposta a chi si lamentava dell'impronunciabilità dell'asterisco) ha, a mio avviso, applicabilità limitatissima. Ed è vero che manca ancora l'approfondimento teorico sulla questione, perché non ci sono ancora arrivata: semplicemente, un elzeviro di Mattia Feltri, che più che altro si è divertito a prendersi superficialmente gioco della questione, ha catalizzato l'attenzione pubblica su un'istanza che, per quanto mi riguarda, è allo stadio iniziale. In altre parole: ho appena iniziato ad approfondire l'argomento, con un occhio anche alle altre lingue; per questo, i contributi come quello del prof. Sgroi sono i benvenuti, perché prendono atto dell'esistenza di una "questione" invece che minimizzarla come quisquilia. Per me, se esistono delle questioni linguistiche che provocano sofferenza anche a una parte molto ristretta della società in cui vivo, queste sono perlomeno degne della mia considerazione di sociolinguista, pur non essendoci, magari, soluzioni a portata di mano.

4) Al momento, dopo qualche mese di discussione, mi pare che lo schwa abbia un unico pregio: è piaciuto ai creativi, forse proprio per la sua "esoticità", come dimostrano il poster creato dal disegnatore Sio per Lucca Comics e la pubblicità dell'impresa funebre Taffo (in entrambi i casi, consiglio di soffermarsi soprattutto sulle reazioni scaturite da tali prese di posizione). In questo caso, sia l'estraneità dello schwa al sistema linguistico italiano sia la sua circolazione piuttosto circoscritta, limitata a chi ha incontrato, per motivi di studio, l'Alfabeto Fonetico Internazionale, hanno agito come elementi di attrazione invece che come ostacolo. Sembra, quindi, che lo schwa possa davvero fare da "evidenziatore" di un'istanza (la ricerca di soluzioni non binarie), lungi dall'essere una soluzione.

Vera Gheno ha detto...

(E ovviamente grazie a Fausto Raso per avere dato spazio a questo scambio)